giovedì 17 luglio 2014

BASTA!!!


BASTA!!!



A me non interessa se erano israeliani o palestinesi. A me interessa che erano bambini. Bambini che stavano giocando a pallone sulla spiaggia. 
Il primo missile li ha sorvolati, lasciandoli increduli. Possibile che la guerra potesse ruggire proprio lì, tra gli alberghi e i capanni del lungomare? Sono scappati col pallone sotto l’ascella. Qualcuno è corso verso un gruppo di giornalisti stranieri appena usciti da un hotel. Qualcun altro si è rifugiato dentro un capanno, nell’illusione che al riparo di un tetto il male sparisse o facesse meno danni. È a quel punto che il secondo missile li ha colpiti. Sono morti in quattro, tutti della stessa famiglia. Il più piccolo aveva nove anni. Il più grande dodici. I feriti perdevano sangue dalla testa e si tenevano le mani sullo stomaco, urlando di spavento e di dolore. 
Immaginate i parenti di quei piccoli, l’odio senza tempo che da oggi germinerà nei loro cuori. A me non interessa più capire questa guerra, distinguere tra atti bellici e atti terroristici, soppesare i torti e le ragioni. A me interessano quei quattro bambini. E i tre adolescenti della parte opposta uccisi a freddo nei giorni scorsi. La mattanza di futuro ha raggiunto ritmi insostenibili persino per un mondo in overdose perenne d’indignazione come il nostro. Nel tentativo di dare almeno una forma all’orrore, scrivo i nomi delle sette vittime, senz’altra distinzione che non sia la loro comune appartenenza alla razza umana: Eyal Yifrah, 19 anni, Gilad Shaar (16), Naftali Fraenkel (16), Ramez Bakr (11), Ahed Bakr (10), Zakaria Bakr (10), Mohammad Bakr (9). Nove anni. 
Scrivo i loro nomi e urlo il mio infantile, inutile, definitivo: basta.
Massimo Gramellini
 

Il piccolo porto di Gaza è uno dei luoghi più pittoreschi della città. In questi giorni, le barche dei pescatori sono rimaste ormeggiate placide nel porticciolo, uniche testimoni, da parte marina, delle incursioni aree israeliane e del lancio di razzi da parte dei gruppi militanti palestinesi.
Una sottile lingua di terra parte della costa, proprio davanti ai quattro alberghi che ospitano la maggior parte dei giornalisti internazionali venuti a “coprire” l’ennesimo confronto militare.
Proprio su questo lembo di terra e blocchi di cemento, che mette al riparo le barche dalle mareggiate, ci sono un paio di baracche e un piccolo container utilizzato dai pescatori per aggiustare le reti e difendersi dal solleone.
Alle quattro e trenta circa, un colpo di artiglieria colpisce il porto. Io e due colleghi fotografi ci affacciamo immediatamente alla finestra. Il porto dista circa 200 metri dal nostro edificio. Poi un secondo colpo. Stiamo già correndo giù dalle scale, macchina fotografica in mano, provando a indossare il giubbotto antiproiettile in corsa...

Vedi anche i nostri post precedenti: