martedì 25 marzo 2014

Sud Sudan: guerra, povertà, fame, malattie, morte. Una drammatica realtà che non può lasciarci indifferenti.

“Senza pace non può esserci sviluppo”: lo scrive a chiare lettere Papa Francesco nel suo messaggio all’arcivescovo di Juba, mons. Paulino Lukudu Loro. Un’affermazione quanto mai calzante per il Sud Sudan: nazione giovane, divenuta indipendente solo tre anni fa, nel dicembre del 2013 ha visto esplodere un conflitto etnico tra le forze governative del presidente Kiir, di etnia dinka, e quelle fedeli all'ex vicepresidente Machar, di etnia nuer. Una guerra che, sottolinea il Pontefice, è costata la vita a persone innocenti, provocando divisioni e causando “povertà, fame, malattie, morte”. “Non possiamo rimanere indifferenti di fronte a questa realtà”, sottolinea il Papa, che non dimentica “la drammatica situazione” di sfollati e rifugiati costretti all’esilio, in condizioni “abiette per la loro dignità”, in cui non sono considerati più persone, bensì “statistiche senza nome”. 
Di qui, “il pressante appello” del Pontefice affinché tutte le parti in causa, con il supporto della comunità internazionale, pongano fine alle violenze, assicurino “l’accesso agli aiuti umanitari per i bisognosi” e cerchino “senza sosta soluzioni pacifiche, per far prevalere il bene comune sugli interessi particolari”. Per questo, il messaggio pontificio richiama la necessità di “promuovere la cultura dell’incontro”, che implica innanzitutto il rifiuto dell’egoismo e la capacità di vedere nell’altro “non un nemico, ma un fratello da accettare e con cui lavorare insieme”. L’impegno a creare un clima sociale “costruttivo”, afferma il Papa, deve prevalere sulla “brama di potere” personale, con il “chiaro riconoscimento che gli esseri umani, con le loro legittime aspirazioni morali, etiche e sociali”, vengono sempre “prima dello Stato e dei diversi poteri che cercano di sottometterli”...

Una guerra nella guerra, forse più feroce e spietata di quella che si combatte con le armi: la guerra contro la fame. “Non so cosa dare da mangiare ai miei sette figli, da tempo si nutrono soltanto con radici di ninfea”. Sono le parole di Rebecca Nyakang , che vive con i suoi bambini, il marito e qualche altra famiglia su un isolotto, ad un’ora di canoa dalla cittadina di Nyal, nella contea di Panyjar, nell’Unity State. Le radici di ninfea contengono poche calorie e sostanze nutritive appena sufficienti per sopravvivere.
La violenza e il dolore cono dappertutto e se la guerra civile che si sta combattendo miete giornalmente vittime, la fame uccide ugualmente. Gli sfollati sono quasi un milione e raggiungono i campi profughi sia all’interno del Sud-Sudan, sia nei Paesi limitrofi, esausti e denutriti. Quattrocentomila sfollati hanno meno di diciotto anni, seimila sono bambini al di sotto dei cinque.
La situazione è drammatica, perché le guerre da combattere, a questo punto, sono ben due. Una è quella civile, la seconda è quella della fame: procurarsi del cibo che non c’è, anche a causa delle terribili alluvioni che hanno colpito sette dei dieci Stati della nazione più giovane del mondo, è quasi impossibile. Inoltre i commercianti non sono disposti a mettere a rischio la loro vita per comprare e vendere derrate alimentari...

Stefano Bolzonello è un cooperante italiano che ha vissuto gli ultimi due anni a Juba, capitale del Sud Sudan. Non si parla praticamente mai della situazione del più “giovane” Paese del mondo, nato con il referendum del 2011. Dopo il brevissimo periodo di euforia per l’indipendenza, il Sud Sudan ha dovuto fare i conti con la guerra e la povertà, mali endemici in Africa. Come per il vicino conflitto centrafricano le ragioni delle violenze vanno ricercate sicuramente in dissidi etnici, ma soprattutto negli appetiti economici delle grandi potenze globali. In questa intervista concessa a Unimondo, Bolzonello, non ignaro di questo scenario, cerca di raccontarci cosa succede tra la popolazione, con uno sguardo “dal basso” che ci fa capire la situazione molto meglio dei “lanci di agenzia” del circuito mediatico internazionale...