lunedì 31 marzo 2014

"Camminare verso le promesse" - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
31 marzo 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
"seguire Gesù, non fare del turismo esistenziale"

Non girovagare per la vita, compresa quella dello spirito, ma andare diritti alla meta che per un cristiano vuol dire seguire le promesse di Dio, che mai deludono. È l’insegnamento che Papa Francesco ha tratto dalle letture di oggi, spiegate all’omelia della Messa presieduta in Casa S. Marta. 

Ci sono cristiani che si fidano delle promesse di Dio e le seguono lungo l’arco della vita. Poi vi sono altri la cui vita di fede ristagna e altri ancora convinti di progredire e che invece fanno solo del “turismo esistenziale”. Papa Francesco distingue fra tre categorie di credenti, accomunate dal sapere che la vita cristiana è un itinerario ma divergenti nel modo di percorrerlo o non percorrerlo affatto. Anzitutto, spiega il Papa rifacendosi al brano di Isaia della prima Lettura, Dio sempre “prima di chiedere qualcosa, promette”. La sua promessa è quella di una vita nuova e di una vita di “gioia”. Qui, afferma, c’è il “fondamento principale della virtù della speranza: fidarsi delle promesse di Dio” – sapendo che Lui mai “le delude” – e c’è l’essenza della vita cristiana, cioè “camminare verso le promesse”. Poi, riconosce, ci sono anche altri cristiani che hanno “la tentazione di fermarsi”:
“Tanti cristiani fermi! Ne abbiamo tanti dietro che hanno una debole speranza. Sì, credono che ci sarà il Cielo e tutto andrà bene. Sta bene che lo credano, ma non lo cercano! Compiono i comandamenti, i precetti: tutto, tutto… Ma sono fermi. Il Signore non può fare di loro lievito nel suo popolo, perché non camminano. E questo è un problema: i fermi. Poi, ci sono altri fra loro e noi, che sbagliano la strada: tutti noi alcune volte abbiamo sbagliato la strada, quello lo sappiamo. Il problema non è sbagliare di strada; il problema è non tornare quando uno si accorge che ha sbagliato”.
Il modello di chi crede e segue ciò che la fede gli indica è il funzionario del re descritto nel Vangelo, che chiede a Gesù la guarigione per il figlio malato e non dubita un istante nel mettersi in cammino verso casa quando il Maestro gli assicura di averla ottenuta. All’opposto di quest’uomo, afferma Papa Francesco, c’è invece forse il gruppo “più pericoloso”, in cui ci sono coloro che “ingannano se stessi: quelli che camminano ma non fanno strada”
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“La Quaresima è un bel tempo per pensare se io sono in cammino o se io sono troppo fermo: convertiti. O se io ho sbagliato strada: ma vai a confessarti e riprendi la strada. O se io sono un turista teologale, uno di questi che fanno il giro della vita ma mai fanno un passo avanti. E chiedo al Signore la grazia di riprendere la strada, di metterci in cammino, ma verso le promesse”.


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Omelia di mons. Rosario Gisana nuovo Vescovo di Piazza Armerina (video)

Fraternità Carmelitana di Pozzo di Pozzo di Gotto

IV Domenica di Quaresima anno A
30-03-2014

Omelia di mons. Rosario Gisana 
nuovo Vescovo di Piazza Armerina


La liturgia della quarta domenica di quaresima è dedicata, come avete sentito, alla luce perché la luce, la luminosità crea evidentemente un atteggiamento, un'apertura, un senso di festa, tanto è vero che viene chiamata domenica in laetare, una domenica di gioia, di festa e alla luce delle scritture che abbiamo ascoltato credo che non sia così difficile capire quale sia la ragione che ci porta ad essere gioiosi.
Io penso che la nostra gioia è datata al fatto che come oggi, ma quando lo vogliamo possiamo incontrare il Signore e avere con Lui una relazione intima, forte, amicale, continuativa...

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"Il nocciolo duro di papa Francesco" di Lorenzo Mondo


Il nocciolo duro di papa Francesco
"Pane al pane", la rubrica su La Stampa 
di Lorenzo Mondo


Questo Papa non finisce di sorprenderci. Piaceva, a tanti, imprigionarlo nella corazza molle della mansuetudine, di una bonarietà espressa dall’abbraccio e dal sorriso, di un perdonismo a tutto campo che non battesse troppo sull’assunzione di responsabilità e sul pentimento. Ed anche il suo attaccamento ai poveri finiva per stemperarsi, aneddoticamente, sulle scarpe grosse, sulla modestia dell’auto, sui pasti presi in comune nel refettorio di Santa Marta.
Bene, chi intendeva raffigurarsi questa specie di santino ha avuto negli ultimi giorni occasioni per ricredersi.
Prendiamo la messa celebrata in San Pietro per gli uomini politici. Erano in cinquecento, tra ministri e parlamentari, e molti, come irriguardosa carta da visita, avevano affollato piazza Sant’Uffizio di auto blu. La predica alla «casta» è stata inopinatamente severa. Papa Francesco ha parlato di «una classe dirigenziale che al tempo di Gesù si era allontanata dal popolo, lo aveva abbandonato». Per egoismo, avidità, insensibilità nei confronti dei poveri e dei reietti. E il trapasso ai tempi nostri, ha dettato al pontefice una durissima reprimenda: sui «peccatori che scivolano in corrotti, il cui cuore si è indurito. I primi saranno perdonati perché possono redimersi, i secondi no, sono fissati nel loro errore». Nessun sorriso o battuta scherzosa, nessun cenno di saluto. La cerimonia si è svolta e conclusa in un clima di manifesta freddezza. Inutilmente qualcuno si è affrettato a dire, con ovvietà, che il Papa non alludeva alla corruzione di ordine penale e, con minore plausibilità, che si rivolgeva a tutti i credenti. Insinuando quasi che la corruzione se ne stesse confinata nei recessi del cuore anziché riversarsi nei quotidiani comportamenti.
Una settimana fa, papa Francesco aveva partecipato alla giornata, promossa da Don Ciotti, in memoria delle centinaia di vittime innocenti di tutte le mafie.
Un contesto ben diverso, trattandosi qui della più efferata, devastante criminalità. Ma interessa la forza della parola, il giudizio senza remissione, anche se espresso con voce pacata e perfino implorante. Era un invito pressante rivolto ai mafiosi perché si convertano: «Ancora c’è tempo, per non finire nell’inferno, è quello che vi aspetta se continuate su questa strada». La corruzione che si avvita su se stessa senza possibilità di riscatto, l’inferno che, per quanto screditato dalla morale corrente, punisce le mani insanguinate dei mafiosi recidivi. E’ una dolcezza, quella di Francesco, che fiorisce stupendamente su un solido terreno, che non ottunde il nocciolo duro di una persuasione, di una fede incarnata nella verità e nella giustizia.

Vedi i nostri precedenti post: 


domenica 30 marzo 2014

Angelus del 30 marzo 2014 - Testo e video



 Piazza San Pietro 
 30/03/2014 


Cari fratelli e sorelle, buongiorno

il Vangelo odierno ci presenta l’episodio dell’uomo cieco dalla nascita, al quale Gesù dona la vista. Il lungo racconto si apre con un cieco che comincia a vedere e si chiude – è curioso questo - con dei presunti vedenti che continuano a rimanere ciechi nell’anima. Il miracolo è narrato da Giovanni in appena due versetti, perché l’evangelista vuole attirare l’attenzione non sul miracolo in sé, ma su quello che succede dopo, sulle discussioni che suscita; anche sulle chiacchiere, tante volte un’opera buona, un’opera di carità suscita chiacchiere e discussioni, perché ci sono alcuni che non vogliono vedere la verità. L’evangelista Giovanni vuol attirare l’attenzione su questo che accade anche ai nostri giorni quando si fa un’opera buona. 
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Dopo l'Angelus:
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Un particolare saluto rivolgo ai militari italiani che hanno compiuto un pellegrinaggio a piedi da Loreto a Roma, pregando per la pacifica e giusta risoluzione delle contese. E questo è molto bello: Gesù nelle beatitudini dice che sono beati coloro che lavorano per la pace.
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E non dimenticate oggi: a casa, prendere il Vangelo di Giovanni, capitolo 9 e leggere questa storia del cieco che è diventato vedente e dei presunti vedenti che si sono affondati di più nella loro cecità

A tutti auguro una buona domenica e un buon pranzo. Arrivederci!


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Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - IV domenica di Quaresima - anno A






Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) 



Preghiera dei Fedeli


30 marzo 2014

IL CIECO NATO di Carlo Maria Martini (VIDEO)

IL CIECO NATO 
di Carlo Maria Martini

(Milano, 20.03.1981)




"... Sullo sfondo di queste scene stanno i farisei, essi stanno fermi, sanno tutto di Dio, non cambiano, non si lasciano provocare dai segni misteriosi in cui Dio si manifesta, essi giudicano Gesù un peccatore, perché non corrisponde all'idea che essi si sono fatti di Dio e del suo Messia, ma proprio essi che credono di vedere e sapere tutto finiscono per non vedere la gloria di Dio presente nelle opere di Gesù...
Il cieco nato va fino in fondo nel suo incontro con Gesù, perché è un uomo illuminato.
Il cieco è modello dell'itinerario di fede con cui l'uomo va incontro a Cristo....." (Carlo Maria Martini)


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Omelia di don Angelo Casati nella IV Domenica di Quaresima



Omelia di don Angelo Casati
nella IV Domenica di Quaresima
Anno A - 30 marzo 2014




1Sam 16,1b.4a.6-7.10-13
Sal 22
Ef 5,8-14
Gv 9, 1-41



Non possiamo sfuggire al contrasto, che non è marginale, non è alla superficie, è di fondo: un contrasto che attraversa tutto l'episodio del Vangelo, che oggi abbiamo ascoltato: quel cieco, di cui non è detto il nome, e quel gruppo di farisei.
Un contrasto insanabile che dilaga in tutto il racconto. Al punto che Gesù è confinato all'inizio e alla fine.
E il cieco, che ora ha gli occhi aperti, sorprendentemente aperti, il cieco in apparenza solo - Gesù è assente - solo, a sostenere la contrapposizione. Dura, estenuante contrapposizione! E c'è un termine che ricorre più volte, insistente nel brano del Vangelo, il termine "peccato": lo apre e lo chiude.
"Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?": all'inizio.
E alla fine: "Siccome dite: noi vediamo, il vostro peccato rimane".
E non è solo all'inizio e alla fine! Sulle labbra di quei farisei il termine "peccato" è il più ricorrente, quasi un'ossessione.
Una religione ridotta a questioni di peccato. La questione è il peccato.
E andiamo adagio ad attribuire questa ossessione solo a quel gruppo di farisei. Non ne erano esenti nemmeno i discepoli, tant'è che vedendo il cieco, nato cieco, loro disquisiscono. Su che cosa? Sul peccato: "Rabbi, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?".
Come se il peccato fosse l'unica categoria interpretativa della realtà o la categoria più decisiva della fede.
E Gesù sbarazza subito il campo: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio". Come a dire: non inaridite la fede, non impoveritela in una questione di peccati. La fede è stare in attesa dell'opera di Dio. È sconsolante dirlo, ma a quel gruppo di farisei -ma non solo a loro, succede anche a noi- non interessava l'opera di Dio, anzi la negavano: l'avevano davanti agli occhi nella figura del cieco nato, ma a loro non interessava, perché più delle sorprese di Dio per loro contava la categoria del peccato, le loro classificazioni circa il peccato.
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Sull'altro versante assistiamo invece a un'illuminazione, progressiva, emozionante del cieco.
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Hanno così complicato la religione, che non guardano più in faccia la vita.
La fede in Gesù lo rende leggero, estraneo a tutte le complicazioni dogmatiche, moralistiche: va al cuore, al cuore della persona, al cuore del problema, al cuore della questione.
A chi assomigliamo come chiesa? Come chiesa, ma anche come singoli cristiani?
Uno ti incontra e dice: Ma che luce che ha dentro, e come fa bene, com'è bello stare e camminare con lui.
Uno ti incontra e dice: Parla come un libro stampato! Questi sa tutto. Che presunzione, che noia!
A chi assomigliamo? Il Signore ci renda luminosi, luminosi dentro e sul volto, come Mosè sul monte.

Leggi tutto: Omelia di don Angelo nella IV Domenica di Quaresima


sabato 29 marzo 2014

"Un cuore che ascolta - lev shomea' " - n. 19/2013-2014 (A) di Santino Coppolino

'Un cuore che ascolta - lev shomea'
"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)
Traccia di riflessione sul Vangelo
di Santino Coppolino



Vangelo: Gv 9,1-41






Il capitolo 9 del Vangelo di Giovanni è un meraviglioso inno a Dio Creatore, il Dio che ha plasmato con le Sue mani la polvere del suolo e con il soffio della Sua bocca ha comunicato all'uomo la Sua stessa vita (cf, Gen 2,7). E' lo stesso Dio che, nella carne di Gesù di Nazareth, "ha piantato la sua tenda in mezzo a noi", che ci rifà nuovi gli occhi perché possiamo contemplare ancora il suo volto di misericordia, di tenerezza e d'amore. E' l'incontro con Gesù "luce del mondo" (9,5) che apre i nostri occhi sulla storia dell'uomo, una storia che "fin dal principio" è fatta di sopraffazione, di oppressione e di morte. Il Signore Gesù, nella la sua Vita e nella sua Parola, impastate con la nostra fragilità, ci ridona la capacità di contemplare la realtà umana con gli occhi stessi di Dio, ci ridona la libertà e la dignità perdute, fa di noi persone totalmente nuove, dei figli ad immagine sua, "il Figlio unigenito Dio che è nel seno del Padre"(1,18). La sua presenza in noi, nelle nostre parole, nei nostri gesti, nelle nostre relazioni, ci renderà irriconoscibili agli occhi di quanti giudicano secondo parametri umani (9,8-9) anche se rivestiti di sacralità religiosa, costoro sì ciechi, perché incapaci di vedere ed accogliere il Dio Vivente che in Cristo Gesù è venuto a ridonarci la vita.
Come Paolo di Tarso che, "apertisquae oculis nihil videbat"(At 9,8), nonostante avesse gli occhi bene aperti, conoscesse cioè profondamente la Torah e fosse irreprensibile nella sua osservanza (cf Fil 3,6), non aveva ancora compreso bene che la Legge di Dio è data all'uomo affinché egli "viva, sia fecondo... e felice lui e i suoi figli dopo di  lui"(Dt 4,40; 30,16). Se così non è, essa diventa strumento di oppressione, giogo insopportabile, strumento che, invece di promuovere e difendere la vita, è dispensatore soltanto di sofferenze e di morte. 
E' il tradimento dell'Alleanza, l'oscuramento della Gloria, una Vita che non può più dirsi tale.
Che cadano allora le scaglie dagli occhi.


Carlo Maria Martini: fedele alla storia, fedele all'Eterno - Incontro promosso dalla Fondazione Carlo Maria Martini a Torino (Testo, audio e video)

Carlo Maria Martini: 
fedele alla storia, fedele all'Eterno 
Incontro promosso dalla Fondazione Carlo Maria Martini a Torino 
(Testo, audio e video)




Lunedì 3 marzo 2014 la Fondazione Carlo Maria Martini con il patrocinio della Città di Torino, ha promosso un incontro per ricordare la figura del Cardinale, a meno di un mese dall’anniversario della sua nascita, avvenuta proprio a Torino il 15.02.1927.
Dopo il saluto del Sindaco Piero Fassino e l’introduzione di p. Carlo Casalone SJ, Provinciale dei Gesuiti d’Italia e presidente della Fondazione Carlo Maria Martini, sono intervenuti l’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte e il professor David Meghnagi, direttore del Master in Didattica della Shoah presso l’Università Roma Tre. L'incontro è stato moderato da Giulia Facchini Martini e si è concluso con un contributo musicale Miriam Meghnagi.




Il Cardinale Martini

Mediatore tra fede e umanità
di 

Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto


"Il Card. Martini è uno di quei maestri verso i quali la distanza temporale non solo non fa diminuire l’interesse, ma in qualche modo l’accresce, portando a scoprire nuove risonanze e significati inediti del messaggio che ci hanno lasciato. Qual è questo messaggio nel caso di Martini? Provo a riassumerne le linee portanti: fedele alla storia, fedele all’Eterno, egli ha provato di continuo a coniugare queste due fedeltà. L’urgenza di essere fedele alla storia nasceva in lui dalla convinzione che per il cristiano la trascendenza divina va intesa sempre anche come un’imminenza, che tocca e trasforma dal di dentro il cuore umano. Ispiratore di questa concezione era il pensiero di un altro grande gesuita, Karl Rahner, che aveva saputo coniugare i diritti del soggetto, rivendicati dalla ragione moderna, con quelli della verità oggettiva, postulati dal pensiero classico: l’uomo non è né un soggetto prigioniero del proprio mondo interiore, incomunicabile all’altro, né un semplice caso dell’universale, misurato da leggi astratte e assolute. Essere dell’apertura verso il Trascendente, l’uomo è l’“uditore della Parola”, proiettato fuori di sé in un esodo liberamente orientato all’avvento di Dio. Questa visione si ritrova nel pensiero di Martini anzitutto nella struttura dialogica che sempre vi ritorna, nell’accento posto sul rapporto d’alleanza fra l’uomo che esce da sé e il Dio che viene a lui. È però interessante rilevare i correttivi che Martini introduce nella concezione di Rahner: lì dove questa rischia di essere eccessivamente ottimista e di oscurare la realtà tragica del peccato e dei suoi effetti, Martini attinge dalla Scrittura e dalla sapienza pastorale della Chiesa il senso del dramma del male e delle sue conseguenze (si pensi all’analisi del Salmo 50, il Miserere). Lì dove l’attenzione all’individuo potrebbe prevalere sulla necessità della mediazione comunitaria, in Martini è molto marcato il senso dell’appartenenza alla Chiesa. È possibile allora rilevare come le intuizioni di Rahner abbiano trovato nel Cardinale un mediatore creativo, che ha saputo adattarle alle esigenze con cui il servizio pastorale lo ha messo in contatto, per aiutare la fede e l’amore al prossimo nel vissuto della sua gente. Un secondo tratto del messaggio che ci ha lasciato Martini è costituito dalla sua volontà di essere fermamente fedele all’Eterno. Sia che esalti la dimensione contemplativa della vita, sia che inviti a porsi in ascolto della Parola di Dio, sia che evidenzi la centralità dell’eucaristia e l’esigenza che ne scaturisce di farsi prossimo, Martini ha presente come meta e criterio la ricerca di Dio e della sua gloria. Risuonano qui alcuni motivi fondamentali degli Esercizi ignaziani: “L’uomo è creato per lodare, rispettare e servire Dio, nostro Signore, e con ciò salvare la propria anima. Le altre cose sulla faccia della terra sono create per l’uomo, per aiutarlo a conseguire il fine per il quale è stato creato” (Principio e fondamento). ..." (Bruno Forte)
Leggi tutto:



GUARDA IL SERVIZIO
Relazione tenuta dal Cardinale Martini all'International Council of Christians and Jews (Vallombrosa, 9 luglio 1984) e pubblicata in Israele, radice santa, Vita e Pensiero - ITL, Milano 1993



"Il primo Papa incontra i pagani" di Silvano Fausti

"Il primo Papa incontra i pagani" 
di Silvano Fausti

Gesuita, biblista e scrittore




«Sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone» (leggi Atti 10, 23b-48 e 11, 1-18)

Il Padre, per smuovere Pietro ad andare dai pagani, mobilita truppe celesti e terrestri. Scomoda anche se stesso e lo Spirito Santo. È in gioco l’identità del Figlio e sua. Il primo Papa, futuro vescovo di Roma pagana, pur riluttante e con molti distinguo è costretto a incontrare chi vorrebbe evitare. Pietro ignora il senso della sua visione e perché debba seguire i tre uomini. Neppure sa che dire o che fare con Cornelio. Capirà lentamente, da ciò che avviene. La realtà è l’unica maestra.
A malincuore e scortato da sei fratelli (At 11,12), segue il soldato e i due che hanno ricevuto l’ordine di «tradurlo» a Cesarea. Cornelio lo aspetta da quattro giorni. Al vederlo, gli si getta ai piedi per adorarlo. Ma Pietro lo rialza dicendo: «Sono uomo anch’io!». È la grande conversione: Pietro si riconosce uomo, come ogni altro; come il Figlio dell’uomo, Figlio di Dio. 

Entrando in casa, «trova riuniti molti». Tra questi ci siamo anche noi. Dietro quella porta c’è la moltitudine del mondo pagano in cui Pietro entra come ospite. Ospite è chi si adatta a chi lo ospita. La vera dimora del cristiano non è la Chiesa, ma il mondo, quel mondo perduto, per il quale il Padre ha dato suo Figlio.
Pietro si premura di dire subito che lui, giudeo, non potrebbe entrare. Ma Dio gli «ha mostrato che non si deve dire immondo nessun uomo». Lui e Cornelio si raccontano le loro visioni. Sono così importanti che, nei capitoli 10 e 11, sono ripetute di continuo: quattro volte quella di Cornelio e tre quella di Pietro. Bisogna ricordarle spesso. Dicono le verità più importanti. Quelle che tendiamo a dimenticare, degradandole a ovvietà scontate. Nessuno dei due sa come finirà la storia. 
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venerdì 28 marzo 2014

"Questa nostalgia amorevole di Dio... che non si stanca, aspetta e perdona." - Papa Francesco - S. Messa Cappella della Casa Santa Marta - (video e testo)


S. Messa - Cappella della Casa Santa Marta, Vaticano
28 marzo 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 



Papa Francesco:
"Dio è fedele, non si stanca di perdonare"

Dio ama, “non sa fare altra cosa”. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani a Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che il Signore sempre ci aspetta e ci perdona, è “il Dio della misericordia” che ci fa festa quando torniamo da Lui.

Dio ha nostalgia di noi, quando ci allontaniamo da Lui. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dal Libro del Profeta Osea, nella prima Lettura. Il Signore, ha osservato, ci parla con tenerezza. Anche quando “ci invita alla conversione” e questa parola ci “suona un po’ forte”, ha evidenziato, dentro c’è “questa nostalgia amorevole di Dio”. C’è l’esortazione del Padre che dice al figlio: “Torna, è ora di tornare a casa”. Quindi, ha rilevato che già “soltanto con questa parola possiamo passare tante ore di preghiera”:
“E’ il cuore di nostro Padre, è così Dio: non si stanca, non si stanca! E per tanti secoli ha fatto questo, con tanta apostasia, tanta apostasia del popolo. E Lui sempre torna, perché il nostro Dio è un Dio che aspetta. Da quel pomeriggio nel Paradiso terrestre, Adamo è uscito dal Paradiso con una pena e anche una promessa. E Lui è fedele, il Signore è fedele alla sua promessa, perché non può rinnegare se stesso. E’ fedele. E così ha aspettato tutti noi, lungo la storia. E’ il Dio che ci aspetta, sempre”.
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Dio che aspetta e anche Dio che perdona. E’ il Dio della misericordia: non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere il perdono, ma Lui non si stanca. Settanta volte sette: sempre; avanti con il perdono. E dal punto di vista di un’azienda, il bilancio è negativo. Lui sempre perde: perde nel bilancio delle cose, ma vince nell’amore”.
E questo, ha proseguito, perché Lui “è il primo che compie il comandamento dell’amore”. “Lui ama – ha detto il Papa – non sa fare altra cosa”. 
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La vita di ogni persona, di ogni uomo, ogni donna, che ha il coraggio di avvicinarsi al Signore, troverà la gioia della festa di Dio. Così, che questa parola ci aiuti a pensare al nostro Padre, Padre che ci aspetta sempre, che ci perdona sempre e che fa festa quando noi torniamo”.


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"24 ore per il Signore" - FESTA DEL PERDONO - 28/29 marzo


"24 ore per il Signore", un'intera giornata dedicata al sacramento della riconciliazione. Venerdì 28 marzo. Sarà Papa Francesco ad aprire l'iniziativa quaresimale del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, il cui presidente monsignor Rino Fisichella, ha spiegato che la giornata vuole "consentire a quanti lo desiderano di accostarsi al sacramento della penitenza, meglio se in un contesto di adorazione eucaristica". Alla giornata hanno aderito anche le diocesi. 
Francesco presiederà, alle 17, nella basilica di San Pietro una celebrazione penitenziale, durante la quale confesserà alcuni fedeli. In serata, a partire dalle 20, in tre chiese del centro storico di Roma - Sant'Agnese in Agone, Santa Maria in Trastevere e Santissime Stimmate - saranno disponibili confessori per la celebrazione individuale del sacramento della penitenza, nel contesto dell'adorazione eucaristica, che si protrarrà fino a notte inoltrata.
In questi tre punti, ha riferito il presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione monsignor Rino Fisichella, ci saranno giovani appartenenti a varie realtà ecclesiali che avranno il compito di fare da "nuovi evangelizzatori" dei loro coetanei, invitandoli a entrare in chiesa, dove troveranno confessori e sacerdoti disponibili all'ascolto. Sarà possibile confessarsi anche sabato 29, presso la rettoria di Sant'Agnese in Agone, fino alle 16. La giornata si concluderà alle 17, con la celebrazione dei primi vespri della quarta domenica di quaresima nella chiesa di Santo Spirito in Sassia, santuario cittadino della Divina Misericordia. 
(fonte: Avvenire)

Sarà un giorno per ritrovare «la verità su stessi» e la luce della misericordia nelle tante notti che circondano l’uomo. Così l’arcivescovo Rino Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, presenta24 ore per il Signore, l’iniziativa, promossa dallo stesso dicastero, in programma i prossimi 28 e 29 marzo a Roma. Un evento che verrà vissuto in concomitanza in numerose diocesi del mondo...

Sono moltissime le diocesi che hanno a loro volta promosso una "24 ore per il Signore", ciascuna con proprie modalità. Diamo di seguito i programmi di cui abbiamo ricevuto notizia. 


L'educazione viva - Fare in modo che le persone siano felici


L'educazione viva
di Anna Molinari



La scuola ha spesso fondato la sua struttura sull’idea che i bambini siano contenitori “vuoti” da educare “riempiendoli”, riformandone l’identità e modellando l’essere umano a venire. “Pensare che l’intervento esterno sia necessariamente volto a migliorare la resa è un approccio estremamente umano”, sostiene Cristòbal Gutierréz, della Fondazione CAI, ma prosegue: “il bambino però è come un bosco”: la crescita è un processo – cellulare, mentale, emotivo – innato… occorre solo fare in modo di rendere disponibile ciò che è necessario, in primo luogo affetto, rispetto e fiducia, che si situano alla base di ogni sviluppo e apprendimento. Perché allora, spesso, si educa attraverso la minaccia, il castigo, le tensioni, dimenticandosi dell’amore? Nel processo educativo, quando non riusciamo a ottenere quello che ci viene richiesto – e quindi non riceviamo amore perché, in qualche modo, non riusciamo a corrisponderne alle aspettative con il nostro modo di essere noi stessi – cominciamo ad agire in modo per noi artificiale, ma tale da raggiungere i risultati che ci permettono di sopravvivere. Come? Condizionati dalla paura.
Un’esagerazione della scuola di oggi? Forse in parte, ma una riflessione che ci permette di soffermarci su un punto ricorrente non solo in ambito scolastico ma in molte declinazioni della società attuale: porre limiti e costruire barriere rigide e certe è in realtà un modo di manifestarsi della paura, un meccanismo di controllo e di manipolazione (basti pensare al manifesto di Watson del 1913, che fornì le basi – non solo ai regimi totalitari, ma anche agli spot mediatici – per una manipolazione di massa attraverso la paura). È innegabile che molti nostri contatti quotidiani si basino sulla paura: di cambiare, di progredire, di essere noi stessi, di amare, di rivelare ciò che siamo in fronte al mondo. Un approccio che caratterizza profondamente la vita adulta, con persone che si impegnano per un lavoro che non le appassiona, ma che permette di raggiungere una determinata posizione sociale: la società dell’autoinganno.
I bambini, però, ci mostrano spontaneamente una voglia di vivere che noi, come adulti, abbiamo perso. La prima domanda che dovremmo quindi farci come educatori, suggerisce Gabriela Obregón Gutierrez, del Colegio Piccolino Montessori, dovrebbe essere: sto prendendomi cura della voglia di vivere di questo bambino?
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Fare in modo che le persone siano felici è un’idea rivoluzionaria, e non è certo una novità. Vale però la pena ripeterlo, perché quando una persona sta bene con se stessa, è in pace col proprio passato e non ha nulla da difendere o dimostrare per poter esprimere e costruire la propria identità, allora è giunto il momento in cui può volgersi agli altri e accompagnarli verso una felicità propria. L’auspicio è che, assieme agli insegnanti, siano le madri e i padri a tornare a essere educatori nel senso più profondo, per accompagnare i bambini verso l’individuazione di ciò che desiderano o non desiderano, perché si sentano amati e imparino ad amare gli altri. Essi prenderanno così parte a un processo di apprendimento continuo e di interscambio tra l’individuo, i genitori, le persone che lo circondano e la comunità. Una educazione viva.

Leggi tutto: L'educazione viva


giovedì 27 marzo 2014

Il dolore di Dio - Papa Francesco - S. Messa con i parlamentari italiani - (video e testo)


S. Messa - Altare della Cattedra in San Pietro
27 marzo 2014
inizio 7 a.m. fine 7:45 a.m. 




Papa Francesco:
"Apriamoci alla salvezza che viene da Dio, dalla fede"

Al tempo di Gesù c’era una classe dirigente che si era allontanata dal popolo, lo aveva “abbandonato”, incapace di altro se non di seguire la propria ideologia e di scivolare verso la corruzione. Lo ha affermato Papa Francesco all’omelia della Messa celebrata questa mattina presso l'Altare della Cattedra in San Pietro, alla presenza di 493 parlamentari italiani.

Interessi di partito, lotte interne. Le energie di chi comandava ai tempi di Gesù erano per queste cose al punto che quando il Messia si palesa ai loro occhi non lo riconoscono, anzi lo accusano di essere un guaritore della schiera di Satana. Ad ascoltare di primo mattino le parole di Papa Francesco nella Basilica Vaticana c’è gran parte del parlamento italiano, compresi nove ministri e i presidenti di Senato e Camera, Pietro Grasso e Laura Boldrini. La prima lettura, tratta dal Libro di Geremia, mostra il profeta dare voce al “lamento di Dio” verso una generazione che, osserva il Papa, non ha accolto i suoi messaggeri e che invece si giustifica per i suoi peccati. “Mi hanno voltato le spalle”, cita Papa Francesco, che commenta: “Questo è il dolore del Signore, il dolore di Dio”. E questa realtà, prosegue, è presente anche nel Vangelo del giorno, quella di una cecità nei riguardi di Dio soprattutto da parte dei leader del popolo:
“Il cuore di questa gente, di questo gruppetto con il tempo si era indurito tanto, tanto che era impossibile ascoltare la voce del Signore. E da peccatori, sono scivolati, sono diventati corrotti. E’ tanto difficile che un corrotto riesca a tornare indietro. Il peccatore sì, perché il Signore è misericordioso e ci aspetta tutti. Ma il corrotto è fissato nelle sue cose, e questi erano corrotti. E per questo si giustificano, perché Gesù, con la sua semplicità, ma con la sua forza di Dio, dava loro fastidio”.
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Uomini di buone maniere, ma di cattive abitudini. Gesù li chiama, loro, ‘sepolcri imbiancati’”.
La Quaresima, conclude Papa Francesco, ricorda che “Dio ci ama tutti” e che dobbiamo “fare lo sforzo di aprirci” a Lui:
“In questa strada della Quaresima ci farà bene, a tutti noi, pensare a questo invito del Signore all’amore, a questa dialettica della libertà dove c’è l’amore, e domandarci, tutti: Ma io sono su questa strada? O ho il pericolo di giustificarmi e andare per un’altra strada?, una strada congiunturale, perché non porta a nessuna promessa. E preghiamo il Signore che ci dia la grazia di andare sempre per la strada della salvezza, di aprirci alla salvezza che viene soltanto da Dio, dalla fede, non da quello che proponevano questi ‘dottori del dovere’, che avevano perso la fede a reggevano il popolo con questa teologia pastorale del dovere”.

Testo integrale del Santo Padre distribuito dalla Sala Stampa della Santa Sede.

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Alla fine in tanti sono rimasti in piedi nello spazio vicino all'Altare della Cattedra. D'altronde non poteva esser diversamente visto che questa mattina in Vaticano è arrivato in pratica mezzo Parlamento e una parte consistente del governo. Tra i ministri anche Marianna Madia che tra qualche giorno partorirà. Le parole del Pontefice hanno sollecitato i politici. ...


"Morire per mancanza di apprezzamento" di don Antonio Savone



Morire per mancanza di apprezzamento
Giovedì III settimana di Quaresima
di don Antonio Savone 




Ger 7,23-28
Sal 94
Lc 11,14-23


Aveva ridato la parola a un muto mentre operava con il dito di Dio. Di solito i demoni strepitano, in questo caso, invece, si tratta di un demonio muto che rende muti. Non sempre il male si esprime con una parola maldestra o offensiva. Talvolta assume anche il volto di un silenzio apparentemente inoffensivo ma terribilmente distruttivo. È un male una verità non ricordata, è un male una difesa omessa o rinviata, è un male un grazie non offerto, un incoraggiamento negato. A volte crediamo che sia meglio tacere per rispetto e per carità fraterna. Forse, non poche volte, dietro un certo silenzio c’è un infantilismo (in/fanti perché non sappiamo parlare) che avvilisce.
Venne fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto. Il prologo del vangelo di Gv racchiude in questa brevissima espressione il mistero del rifiuto del Cristo di Dio. Accostiamo la parola del Vangelo con l’atteggiamento di chi si chiede se per caso le cose non si ripetano nella nostra esistenza.
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La vita di ognuno di noi è divisa in se stessa quando a guidarci è lo spirito di superbia, di ribellione e di sufficienza di sé.
C’è una macchinazione del nemico – ci ricorda oggi la Parola di Dio – che ha come suo primo passo quello di rendere l’uomo sordo alla Parola di Dio, ma il vero intento è quello di rendere l’umanità muta davanti a Dio. Per questo Geremia, in maniera accorata, si fa portavoce del desiderio di Dio per noi: “Ascoltate la mia voce… camminate sempre sulla strada che vi prescriverò…”. L’ascolto si fa cammino.
È vero ciò che scriveva A. J. Heschel: «L’umanità non perirà per mancanza di informazione, ma per mancanza di apprezzamento. L’inizio della nostra felicità sta nel comprendere che una vita senza meraviglia non vale la pena di essere vissuta. Quello che ci manca non è la volontà di credere, ma la volontà di meravigliarci». Può accadere – e accade – di trovarsi di fronte al bene e non solo non riconoscerlo ma addirittura negarlo. Non è forse un bene che un uomo bloccato nella parola inizi a parlare? Eppure, per qualcuno non è così. C’è una invincibile indisponibilità a vedere perché c’è una invincibile indisponibilità ad ascoltare finendo per concludere che la vita coincida con quello che vedo io e con quello che sento io. È più facile rendersi complici del male che diventare facilitatori di bene.
Non poche volte si è convinti di stare dalla parte di Dio perché ci si fa sostenitori di determinate battaglie. Gesù, però, ci restituisce qual è il criterio del nostro essere dalla parte di Dio: quando si è dalla parte dell’uomo, soprattutto quando questi ha bisogno di essere restituito alla pienezza della vita. Quante discussioni infinite finiscono per bloccare l’anelito alla vita di tante persone! È più facile discettare sterilmente che aprirsi a una solidarietà feconda.




"La terra, l’ascolto e il tocco di Dio" di Alessandro D'Avenia

Selfie a Gerusalemme


Con i giovani nei Luoghi Santi


La terra, l’ascolto e il tocco di Dio
di Alessandro D'Avenia

«O Amor, divino Amore, perché m’hai assediato? / Da cinque parti vedo che tu m’hai assediato: / audito, viso, gusto, tatto e odorato». Così il mistico Iacopone da Todi si lamenta con un Dio opprimente. Assedia i suoi cinque sensi, che percepiscono in ogni luogo e momento il Dio geloso dell’Antico Testamento e lo Sposo del Nuovo. Se questo è spiritualmente vero ovunque, diventa materialmente vero in Terra Santa, che ho visitato per una settimana con un gruppo di studenti del mio liceo. Il viaggio delle Quinte della mia scuola si svolge ogni anno lì ed è un assedio dei sensi da parte di Dio, tanto che anche i ragazzi più lontani e distratti si sentono "oppressi". Uno di loro mi confidava: «Se le persone qui si comportano così ci deve essere qualcosa di non umano dietro». E un altro: «Mi rendo conto di quanto poco io conosca il Vangelo, mi è venuta voglia di leggerlo».
Un senso si è aggiunto alla mia fede: quello del tatto. Quando sono arrivato sul lago di Tiberiade e la natura, pur essendo febbraio, era già in fiore, i colori tenui e la luce impazzava, ho esclamato "io qui ci sono già stato", avevo consuetudine con colori, volti, pietre, piante, luce, acqua, cantilene, parabole, parole, del Vangelo letto e riletto. Tutto era incarnato e quindi carnale.
Le mie dita, sedotte, volevano toccare.
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Toccando ho capito che non ero io che toccavo, ma ero io che venivo toccato e sedotto. Il tocco di un Dio che ti assedia, un tocco a volte dolce, a volte ruvido, un «carico leggero», come le mani degli amanti. 
Adesso quando ascolto una pagina del Vangelo mi pare di toccarla come accade nel bellissimo e recente libro che mi fa compagnia in questi giorni Sorpresi dall’amore di Andrea Mardegan (Paoline), capace di far vivere le pagine del Vangelo rendendole permeabili al quotidiano di ciascuno, in uno scambio che va da lì a qui e viceversa. Solo così la terra che calpestiamo tutti i giorni in qualunque luogo del mondo diventa santa, perché è la terra del Vangelo, la terra di un Dio che assedia i nostri sensi addormentati, fino a sedurci.



mercoledì 26 marzo 2014

"Il patto dei mafiosi nel nome di Dio" di Barbara Spinelli


"Il patto dei mafiosi nel nome di Dio" 
di Barbara Spinelli

Così come esistono gli atei devoti, esistono anche i mafiosi devoti. Adorano sopra ogni cosa le processioni, e idolatrico è il loro culto di certe Sante, i riti di iniziazione a Cosa nostra.
E le immaginette votive che l’affiliando brucia nel fuoco dopo averci versato sopra il proprio sangue: Roberto Saviano l’ha raccontato sabato su queste colonne. Fuoco, sangue, sacrificio: sono i segni, per l’eletto, di rinascita battesimale a nuova vita.
Contro quest’idolatria è insorto Papa Francesco, il 21 marzo, con parole sommesse ma durissime. Come già Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi, il 9 maggio ’93, ha chiamato alla conversione il malavitoso, prospettandogli l’inferno: «Il denaro insanguinato, il potere insanguinato: non potrai portarlo all’altra vita». Francesco sa il rapporto antico, intenso, mimetico, che Cosa nostra ha con la religione. La sua invocazione non è diversa da quella che la Chiesa, nell’ultimo decennio, ha rivolto ai terroristi che abusano dell’Islam. Non pronunciare invano il nome di Dio: è uno dei primi comandamenti del Decalogo, l’ingiunzione fa ritorno.
Ancora più rivelatori delle parole sono i gesti di Francesco: l’abbraccio delle vittime di mafia, la mano tesa a Don Ciotti, il fondatore diLibera vissuto per anni ai margini della Santa Sede e finalmente chiamato a parlare accanto al Pontefice, venerdì nella chiesa di San Gregorio VII a Roma. Il Papa ha ascoltato, assorto, rimproveri non leggeri: Ciotti ha incitato la Chiesa a non collaborare mai più con la mafia, a fare autocritica. Ha ricordato che, in passato, essa non ha curato un male di così enormi risvolti umani e sociali. Ha citato i momenti di luce (in particolare Don Pino Puglisi, Don Peppe Diana, Don Cesare Boschin, ammazzati nel ’93, ’94, ’95) e al tempo stesso i «silenzi, le sottovalutazioni, gli eccessi di prudenza, le parole di circostanza».
Ha anche nominato espressamente la Procura di Palermo, impegnata in uno dei più cruciali processiitaliani — quello sui patti fra Stato e mafia — esigendo a voce alta che i «magistrati onesti non siano lasciati soli». Ha fatto il nome del più minacciato fra di loro: Nino Di Matteo, condannato a morte da Totò Riina e tuttavia nome incandescente, che i rappresentanti dello Stato si guardano dal menzionare. È un j’accusepesante, quello di Luigi Ciotti. E l’ha lanciato nel cuore della Chiesa, sicuro d’avere a fianco la sua massima autorità. Forse è la più grande novità di questi giorni. L’Altra Chiesa, quella di Don Gallo e Don Puglisi, da periferia che era diventa centro.
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Forse lo scatto invocato da Ciotti (la «pedata di Dio») deve avvenire anche nella curia, e fin dentro le parrocchie. Altrimenti l’anatema profetico che viene dall’alto sarà, come dice Caselli: «acqua che scivola sul marmo».


Guarda anche i nostri precedenti post: 


Papa Francesco UDIENZA GENERALE 26 marzo 2014 - testo e video


Piazza San Pietro
Mercoledì, 26 marzo 2014

Cari fratelli e sorelle,

abbiamo già avuto modo di rimarcare che i tre Sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia costituiscono insieme il mistero della «iniziazione cristiana», un unico grande evento di grazia che ci rigenera in Cristo. È questa la vocazione fondamentale che accomuna tutti nella Chiesa, come discepoli del Signore Gesù. Ci sono poi due Sacramenti che corrispondono a due vocazioni specifiche: si tratta dell’Ordine e del Matrimonio. Essi costituiscono due grandi vie attraverso le quali il cristiano può fare della propria vita un dono d’amore, sull’esempio e nel nome di Cristo, e così cooperare all’edificazione della Chiesa.
L’Ordine, scandito nei tre gradi di episcopato, presbiterato e diaconato, è il Sacramento che abilita all’esercizio del ministero, affidato dal Signore Gesù agli Apostoli, di pascere il suo gregge, nella potenza del suo Spirito e secondo il suo cuore. Pascere il gregge di Gesù non con la potenza della forza umana o con la propria potenza, ma quella dello Spirito e secondo il suo cuore, il cuore di Gesù che è un cuore di amore. Il sacerdote, il vescovo, il diacono deve pascere il gregge del Signore con amore. Se non lo fa con amore non serve. E in tal senso, i ministri che vengono scelti e consacrati per questo servizio prolungano nel tempo la presenza di Gesù, se lo fanno col potere dello Spirito Santo in nome di Dio e con amore.
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Guarda il video della catechesi


Saluti:

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A tutti auguro che questo incontro susciti un rinnovato impegno in favore della pace e della solidarietà verso i più bisognosi.
Un pensiero speciale rivolgo ai giovani, agli ammalati e agli sposi novelli. Ieri abbiamo celebrato la Solennità dell’Annunciazione del Signore alla Vergine Maria. Cari giovani, particolarmente gli scouts presenti, sappiate mettervi in ascolto della volontà di Dio come Maria; cari malati, non scoraggiatevi nei momenti più difficili sapendo che il Signore non dà una croce superiore alle proprie forze; e voi, cari sposi novelli, edificate la vostra vita matrimoniale sulla salda roccia della Parola di Dio.


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