Si parla molto, ormai da più di un anno, del ritorno dei cattolici sulla scena politica. E si guarda al loro rinnovato impegno come a una prospettiva di speranza e di rilancio della vita pubblica italiana, in questa fase in cui il bilancio della Seconda Repubblica si presenta fallimentare dal punto di vista non solo finanziario ed economico, ma soprattutto etico e politico.
Quello che non si sente dire, però, negli ambienti del mondo cattolico dove questo ritorno viene fortemente caldeggiato, è che esso non può risultare credibile se non viene preceduto da un serio momento di riflessione sugli errori e le colpe commessi in questi anni. Perché noi cattolici non siamo innocenti di quanto è accaduto. Abbiamo anche noi contribuito, con le nostre azioni e soprattutto con le nostre omissioni, al deterioramento del clima pubblico del nostro Paese. E se è vero che l'impegno nel mondo si configura agli occhi del credente come un prolungamento della liturgia celebrata in chiesa, anzi è esso stesso una liturgia, all'inizio di questa nuova fase non possiamo omettere, come in ogni buona liturgia, un atto penitenziale. Non per masochismo o per complessi di inferiorità rispetto ad altri, che hanno evidentemente anch'essi le loro responsabilità (forse maggiori delle nostre), ma per rispetto nei confronti della verità e per comprendere che cosa, nel nostro approccio, deve profondamente cambiare, se vogliamo davvero inaugurare una stagione differente della vita pubblica.
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