mercoledì 3 dicembre 2025

VIAGGIO APOSTOLICO DI LEONE XIV IN TÜRKIYE E IN LIBANO 27/11 - 2/12/2025 – Libano 01/12/2025 mattina (cronaca/commento, testi, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI LEONE XIV
IN TÜRKIYE E IN LIBANO
CON PELLEGRINAGGIO A İZNIK (TÜRKIYE)
IN OCCASIONE DEL 1700° ANNIVERSARIO DEL PRIMO CONCILIO DI NICEA
27 NOVEMBRE - 2 DICEMBRE 2025

Lunedì, 1 dicembre 2025

 BEIRUT – ANNAYA – HARISSA 

09:45 VISITA E PREGHIERA SULLA TOMBA DI SAN CHARBEL MAKLŪF presso il Monastero di San Maroun ad Annaya
11:20 INCONTRO CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I CONSACRATI, LE CONSACRATE E GLI OPERATORI PASTORALI nel Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa
12:30 INCONTRO PRIVATO CON I PATRIARCHI CATTOLICI presso la Nunziatura Apostolica

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Un popolo in festa per “Baba Liyū”


A Beirut raccontano che oltre alle centinaia di striscioni, cartelli, pannelli e gigantografie di Leone XIV apposte ovunque in città — alcune pure sui palazzi distrutti dalla esplosione del porto, quasi ad assomigliare a delle bende che coprono ferite ancora aperte — la visita del Pontefice sia stata preparata, in particolare dai più giovani, con una serie di meme (vignette umoristiche) ritraenti il Papa che rema su una barca.

Una battuta sulla pioggia persistente che si abbatte da oltre una settimana su questa città che nonostante le bombe e le esplosioni, nonostante la povertà dilagante, l’avvicendarsi delle varie crisi, l’incuria di certi quartieri, mantiene un fascino mozzafiato.

Il diluvio non ha risparmiato neppure la giornata di ieri quando Leone XIV è atterrato all’aeroporto internazionale di Beirut-Rafiq Hariri, dopo meno di due ore di volo dalla Türkiye. Prima solo un cielo nuvoloso, almeno finché il Papa è sceso dalla scaletta dell’Airbus A320neo di Ita Airways, accolto — oltre che da dodici salve di cannone e dalle campane delle chiese che hanno suonato simultaneamente — dal presidente Joseph Aoun, la consorte Neemat, il primo ministro Nawaf Salam, il nunzio apostolico Paolo Borgia e il capo del protocollo di Stato. Poi alcuni tuoni e infine una pioggia fitta che, tuttavia, non ha impedito alle centinaia di migliaia di persone di continuare a rimanere per le strade dove si erano riversate dal mattino, in attesa del Papa.

Il Libano ha ridato al primo viaggio internazionale di Leone quell’atmosfera caratteristica di ogni visita di un Pontefice in un Paese straniero. E cioè folle, canti, urla, strumenti musicali, bandiere e bandierine, gente arrampicata sui tetti di negozi ed edifici. Una nazione in festa, perché riavere un Papa in «casa» dopo tredici anni dalla visita di Benedetto XVI (era il 2012) non può essere altro che questo: una festa. Soprattutto se nel mezzo ci sono state crisi politiche, sociali, economiche, la deflagrazione al porto nel 2020 che ha sfigurato la capitale e i suoi abitanti, e ora pure la guerra e i bombardamenti israeliani. E quindi l’arrivo di “Baba Liyū”, come Papa Leone viene chiamato in arabo, cos’altro è se non una boccata di ossigeno, un messaggio di speranza, la conferma che questo Paese è al centro dei pensieri e dei sentimenti di colui che è pastore di tutti i cattolici del mondo?

«Pope Hope» recitano non a caso tanti dei cartelli affissi per le tortuose vie della capitale libanese. Un gioco di parole in inglese tra «Pope», Papa, e «Hope», «Speranza». Altri striscioni recitano invece frasi come: «La città della pace dà il benvenuto al messaggero della pace».

Non solo i cristiani, anche i musulmani, celebrano l’arrivo del Pontefice, come testimoniano le foto affisse nei negozietti dei quartieri a maggioranza islamica. Certamente Leone XIV dai finestrini della sua auto con cui ieri sera ha lasciato l’aeroporto per dirigersi a Baabda, la residenza ufficiale del presidente della Repubblica libanese, avrà visto tutto questo. Ci si domanda cosa abbia provato nel vedere che tutto questo è riservato a lui, il Papa. «Viva il Papa», quasi una ola continua per le strade di Beirut fino al cancello del Palazzo presidenziale, allestito con spettacoli di luci e proiezioni sui muri. Oltre a questo una cinquantina di giovani in abiti tradizionali che coi loro tablé (grandi tamburi), incuranti della pioggia che inzuppava capelli e vestiti, hanno cantato e ballato una dabke (danza tradizionale) intorno alla papamobile. Anzi, sembrava quasi una coreografia già provata tante volte, con i piedi che scalciavano l’acqua da terra e rendevano ancora più scenografico il momento dell’accoglienza. Hanno accompagnato Leone XIV fino al suo ingresso a Baabda, dove il Pontefice ha avuto un colloquio riservato con Aoun. Un Papa eletto da sette mesi e un presidente eletto da undici, l’uno di fronte all’altro, nel “Salone degli Ambasciatori” dove, poco dopo, sono entrati i familiari del capo di Stato. Tra loro i nipotini di Aoun, uno dei quali ha contraccambiato il Rosario consegnatogli dal Papa con il dono di una racchetta e palline da tennis. Altri bambini, il Pontefice li ha incontrati subito dopo i colloqui nel “Salone 25 maggio” con il presidente dell’Assemblea nazionale Nabih Berri e il Primo ministro, Nawaf Salam. Era un gruppo di piccoli con disabilità visiva e uditiva che ha suonato e cantato per il Papa canzoni tradizionali in lingua araba. Leone XIV ha ascoltato divertito e ha applaudito al finale, per poi spostarsi verso la balconata (la pioggia ha impedito di compiere questo gesto all’esterno) e annaffiare e benedire un “Cedro dell’amicizia”. Ultimo atto, prima di recarsi nella sala dove ha pronunciato il suo primo discorso a circa 400 autorità politiche e civili, il dono di una medaglia che raffigura il santo maronita Charbel e l’apostolo sant’Andrea e alcuni elementi simbolici dei luoghi toccati dalla visita apostolica. Poi la firma del Libro d’Onore nella hall principale del Palazzo con l’augurio nella dedica di «ogni bene a tutto il popolo libanese, pregando affinché regni la PACE».

«PACE», scritto proprio così, in maiuscolo, a rimarcare il messaggio che con questo viaggio vuole portare a questa gente piegata dalle avversità, ma che sempre punta in alto, sempre è rigogliosa, sempre dà frutti. Proprio come i cedri.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Salvatore Cernuzio 01/12/2025)

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Alle ore 9:00 (ora locale), il Santo Padre Leone XIV si è trasferito in auto e papamobile al Monastero di San Maroun ad Annaya.
Al suo arrivo, all’ingresso principale del Monastero, il Papa è stato accolto dal Superiore del Convento e dal Superiore Generale dei Maroniti, che lo hanno accompagnato nel cortile del Monastero.
Prima di entrare nella cappella che custodisce la tomba di San Charbel, il Santo Padre è stato accolto dal Presidente della Repubblica e dalla consorte.
Dopo il canto d’ingresso, la preghiera silenziosa davanti alla tomba, il canto e l’accensione di una lampada votiva e il Saluto di benvenuto da parte del Superiore Generale dell’Ordine Libanese Maronita, Rev. Abate Mahfouz Hady, il Papa ha pronunciato il suo saluto.
Successivamente, dopo la Preghiera a San Charbel, in francese, la benedizione finale e la consegna di un dono al Santo Padre, il Papa ha visitato il museo del Monastero, che custodisce reperti storici e reliquie, accompagnato dal Superiore del Convento.

Al termine della visita, Leone XIV si è trasferito in auto al Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa.

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VISITA E PREGHIERA SULLA TOMBA DI SAN CHARBEL MAKLŪF

Monastero di San Maroun (Annaya)
Lunedì, 1° dicembre 2025

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Il Papa prega sulla tomba di San Charbel:
protegga il Libano e il suo popolo

Leone XIV inizia la sua seconda giornata del viaggio a Beirut recandosi come pellegrino al monastero di Annaya, dove prega nella grotta che custodisce le spoglie del monaco: “I miei predecessori l’avrebbero tanto desiderato”. Da questo luogo in cui sgorga “un fiume di misericordia”, il Pontefice chiede la pace per il mondo. Quella che, afferma, “nasce solo dalla conversione dei cuori”


“Oggi vogliamo affidare all’intercessione di San Charbel le necessità della Chiesa, del Libano e del mondo. Per la Chiesa chiediamo comunione, unità... E per il mondo chiediamo pace. Specialmente la imploriamo per il Libano e per tutto il Levante”

Le pone qui, il Papa, le speranze e i dolori del Libano, del Medio Oriente, del mondo. In questa grotta di pietra protetta da una parete di vetro e rischiarata da una luce fioca che punta a una tomba stretta in legno di cedro. All’interno riposa San Charbel Maklūf, il monaco considerato patrono del Paese, canonizzato da Paolo VI nel 1977, al quale si attribuiscono oltre 29 mila miracoli di guarigione, molti attraverso l’olio che la tradizione vuole abbia iniziato a sgorgare ininterrottamente dal suo corpo subito dopo la morte. Papa Leone XIV, al suo secondo giorno di viaggio nel Paese dei Cedri, percorre oltre 40 km da Beirut e sale a circa 1.200 metri di altitudine per raggiungere questo luogo da cui, come dice, sgorga “un fiume di misericordia” e deporre una lampada “simbolo della luce che qui Dio ha acceso mediante San Charbel”.

Offrendo questa lampada affido alla protezione di San Charbel il Libano e il suo popolo, perché cammini sempre nella luce di Cristo. Grazie a Dio per il dono di San Charbel!

Una intera città accoglie il Papa

È l’omaggio del Vescovo di Roma a questa figura che raccoglie la devozione di un intero popolo. Inclusi i musulmani che abitano il quartiere di Byblos che prepara la strada per Annaya. Annaya, alla lettera “coro di eremiti”, municipalité del distretto di Jbeil, governatorato del Monte Libano. Arroccato su una delle colline più suggestive del Paese, il Monastero di San Maroun gestito dell’Ordine Maronita Libanese, a ovest del villaggio di Ehmej e a sud del villaggio di Mechmech, guarda Beirut dall’alto. La strada per raggiungerlo è tortuosa e mostra la varietà che caratterizza il Libano, tra case diroccate e grattacieli in costruzione, boutique di lusso e bancarelle di frutta secca, grandi viali e strade dissestate, crocifissi e bandiere nere dell’islam.

Cartelli in italiano per il Papa

Pioggia, freddo, umidità in questa prima mattinata di dicembre, tinteggiata da un generale grigiore spezzato solo dal rosso-bianco delle bandiere libanesi e dal giallo-bianco di quelle vaticane. Sono ovunque, adornano ogni casa, negozio, ristorante, insieme al volto del Papa impresso su striscioni, cartelli di benvenuto, gigantografie che riportano messaggi come “Pope is hope”. “La città della pace dà il benvenuto al messaggero di pace”, recita un enorme pannello in francese, sopra un ponte. Alcuni di questi striscioni sono posti sopra edifici distrutti, anche quelli devastati dalla esplosione del porto. Come delle bende a coprire ferite ancora aperte.

Sotto la pioggia per salutare Leone XIV

Sono centinaia di migliaia le persone riversate per strada. Gridano, sventolano, applaudono e aspettano il Papa che percorre un tragitto da Beirut ad Annaya in papamobile. Ancora di più sono quelli radunati dalla mattina fuori dal Monastero sotto ombrelli e mantelline. Molti i bambini, molti i malati. Esibiscono fogli con scritte in varie lingue, alcuni anche in italiano. Ad esempio quello di due sorelle che suscita tenerezza nella sua incertezza: “Papa Leone, Libano ti amo”. Awautif, 76 anni, occhi vitrei, cappellino in pelliccia, è venuta dall’Egitto solo per dire grazie al Pontefice: “Siamo molto contenti che viene in mezzo a noi, perché il Libano ha bisogno di uno come lei che mette l’amore, la pace, tra la gente. Abbiamo perso l’amore, la carità, l’amicizia. Ma siamo felici perché è qui e il suo cuore è grande”.

La visita al Monastero e la preghiera alla tomba

Il Papa arriva intorno alle 9.30 ad Annaya, accolto da un boato, il cui riverbero si blocca fuori dalle porte in pietra del monastero. Dentro c’è solo il silenzio che si alterna ad alcuni canti in arabo e alle salmodie di un coro di quattro giovani monaci. Ad accogliere il Pontefice c’è il superiore generale dell’Ordine Libanese Maronita, l’abate Mahfouz Hady, che lo conduce al cortile dove sono presenti il presidente Joseph Aoun e la consorte. Un canto accompagna l’ingresso di Leone nella grotta della tomba. Il Papa rimane assorto, in ginocchio, davanti alla tomba. La preghiera del Pontefice è scritta su immaginette distribuite ai presenti in cappella.

O Dio, che hai concesso a San Charbel, custode del silenzio nella vita nascosta, di essere illuminato dalla luce della verità per contemplare la profondità del tuo amore, concedi a noi, che seguiamo il tuo esempio, la grazia di affrontare nel deserto di questo mondo la buona battaglia della fede.

Il Papa al monastero di Attaya nel suo secondo giorno di visita in Libano (@Vatican Media)

Il Papa pellegrino

Leone accende poi la lampada votiva. “Grazia su grazia”, ripete più volte padre Hady nel suo saluto in cui ringrazia il Papa perché la sua presenza “trasforma la nostra quotidianità in un assaggio di eternità”. L’abate ricorda pure come esattamente un secolo fa, nel 1925, il superiore generale dell’Ordine maronita, padre Abate Ignace Dagher, presentava a Papa Pio XI, in Vaticano, la causa di beatificazione e canonizzazione di san Charbel. “Ed ecco che nel 2025, cento anni dopo, vostra Santità, Successore di Pietro, viene a benedire con la sua presenza questo stesso monastero, santificando così la memoria e rinnovando la grazia”.

Seduto su una poltrona bianca, sopra la quale un gioco di prospettive fa apparire il volto di San Charbel della icona custodita nella tomba, Papa Leone XIV parla anche lui di grazia. Anzitutto quella di essere venuto come “pellegrino” dal santo libanese:

I miei Predecessori – penso specialmente a San Paolo VI, che lo ha beatificato e canonizzato – l’avrebbero tanto desiderato.

Papa Leone ad Annaya sulla tomba di san Charbel (@Vatican Media)

Un santo messaggio per tutti

È un messaggio, questo santo che visse nascosto e taciturno, per tutti. Per il mondo perché “a chi vive senza Dio” insegna la preghiera; “a chi vive nel rumore” insegna il silenzio; “a chi vive per apparire” insegna la modestia; “a chi cerca le ricchezze” insegna la povertà. “Sono tutti comportamenti contro-corrente, ma proprio per questo ne siamo attratti, come l’acqua fresca e pura per chi cammina in un deserto”, dice il Papa. San Charbel è anche un messaggio per vescovi e ministri ordinati perché “richiama le esigenze evangeliche della nostra vocazione”. Ed è un messaggio “per tutti i cristiani” con “la sua coerenza, tanto radicale quanto umile”.

Quando era in vita, sottolinea Leone XIV, in molti andavano da lui per ricevere “conforto, perdono, consiglio”. E anche dopo la sua morte “tutto questo si è moltiplicato”: ogni 22 del mese, migliaia di pellegrini vengono qui da diversi Paesi “per passare una giornata di preghiera e di ristoro dell’anima e del corpo”.

Il Papa legge la sua preghiera davanti la tomba del monaco considerato patrono del Paese

Pace per il mondo

A San Charbel il Papa affida la Chiesa, le famiglie “piccole chiese domestiche” e il mondo, invocando pace. Quella che, afferma, non può esistere “senza conversione dei cuori”. “Perciò San Charbel ci aiuti a rivolgerci a Dio e a chiedere il dono della conversione per tutti noi”, prega il Pontefice. Al termine del momento di preghiera, visita il museo del Monastero, che custodisce reperti storici e reliquie, accompagnato dal superiore del Convento. Fuori le urla della folla rimasta imperterrita, nonostante la pioggia battente, al suo posto per salutare o anche solo vedere fugacemente il Successore di Pietro, il primo in Libano dopo tredici anni.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 01/12/2025)

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Leggi il testo integrale del saluto di Leone XIV

Guarda il video integrale

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Lasciato il Monastero di San Maroun ad Annaya, il Santo Padre Leone XIV si è trasferito in auto al Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa per l’incontro con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, le Consacrate e gli Operatori pastorali.
Al suo arrivo, il Papa è stato accolto all’ingresso principale del Santuario dal Vicario Apostolico dei Latini di Beirut, dal Superiore della Congregazione dei Missionari libanesi e dal Rettore del Santuario, il quale gli ha porto la croce e l’acqua benedetta per l’aspersione.
Al termine, il Santo Padre, attraversando la navata centrale, ha raggiunto il presbiterio, dove è stato accolto dal Patriarca della Chiesa Armena Cattolica, mentre il coro ha intonato un canto.
Il Patriarca di Cilicia degli Armeni ha rivolto un saluto di benvenuto.
Successivamente, i presenti hanno ascoltato le testimonianze di un sacerdote, di un’operatrice pastorale, della direttrice di una scuola cattolica e di un cappellano carcerario.
Dopo la Lettura del Vangelo, il Papa ha pronunciato la sua omelia.
In seguito, dopo la consegna della Rosa d’oro, i canti, la benedizione, la consegna dei doni al Santo Padre e la foto di gruppo con i Vescovi dell’Apecl, Leone XIV ha congedato i Patriarchi e, prima di salire in macchina, ha benedetto una prima pietra della “Città della Pace” di Tele Lumiére e Noursat.

Al termine, il Santo Padre si è trasferito in auto alla Nunziatura Apostolica.

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INCONTRO CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I CONSACRATI, LE CONSACRATE E GLI OPERATORI PASTORALI

Monastero di San Maroun (Annaya)Santuario di Nostra Signora del Libano (Harissa)
Lunedì, 1° dicembre 2025

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Leone XIV alla Chiesa libanese:
tra le macerie del mondo offrite strade di rinascita

Nel secondo giorno nella Terra dei Cedri, il Papa visita il Santuario mariano di Harissa dove incontra presuli, clero e consacrati che raccontano storie solidarietà, guerra, migrazione e di pastorale carceraria: rimanere ancorati al cielo è l'unico modo di costruire la pace. Il saluto del patriarca di Cilicia degli Armeni: “La sua presenza ci ricorda che Dio è con noi”


Le parole con cui San Giovanni Paolo II, in un messaggio ai cittadini del Libano del 1984, gli affidava la missione di essere “responsabili della speranza”, “non sono state vane”, hanno trovato ascolto e risposta, perché qui si continua a costruire comunione e carità”.

Lo constata Papa Leone XIV nel discorso pronunciato in lingua francese davanti ad un pubblico di circa 4 mila persone, durante l’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i consacrati, le consacrate e gli operatori pastorali, tenutosi questa mattina, 1 dicembre, nel Santuario di Nostra Signora del Libano di Harissa, secondo giorno del “pellegrinaggio” nella Terra dei Cedri e seconda tappa, dopo la Türkiye (Turchia), del suo viaggio apostolico. Quello di Harissa, situato sulla montagna omonima che sovrasta la città di Jounieh, è il più importante dei santuari mariani del Medio Oriente, costruito nel 1904, in occasione del 50.mo anniversario della proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione da parte di Papa Pio IX.

Leone XIV sull'altare dell Santuario di Harissa. (@Vatican Media)

Autentici responsabili della speranza

La prova che le parole profetiche di Papa Wojtyła, “tanto affezionato” al Pese mediorientale, sono diventate carne, vita, cura e carità nella società libanese, Leone XIV la trova nelle quattro testimonianze lette durante l’incontro.

Testimonianze di vicinanza e prossimità, come quella appena letta nel brano del Vangelo di Giovanni, dove si dice che Maria e sua sorella, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala, stavano presso la Croce di Cristo, sul Golgota, mentre veniva crocifisso.

È nello stare con Maria presso la Croce di Gesù (cfr Gv 19,25) che la nostra preghiera, ponte invisibile che unisce i cuori, ci dà la forza per continuare a sperare e a lavorare, anche quando attorno tuona il rumore delle armi e le stesse esigenze della vita quotidiana diventano una sfida.

Questa prossimità alla Croce di Gesù è la fede, “l’ancora” che secondo Papa Francesco, cita il Pontefice, tiene la nostra vita “ancorata in cielo”. E rimanere ancorati al cielo, spiega Leone XIV, è l’unico modo di “costruire la pace”.

Da queste radici, forti e profonde come quelle dei cedri, l’amore cresce e, con l’aiuto di Dio, prendono vita opere concrete e durature di solidarietà.

Padre Youhanna-Fouad Fahed legge la sua testimonianza davanti a Leone XIV. (@Vatican Media)

Monete siriane nell’obolo della messa nel villaggio libanese

Opere d’amore, come quella di Padre Youhanna-Fouad Fahed, sacerdote attivo in un villaggio multiconfessionale - dove convivono musulmani sunniti e cristiani ortodossi e maroniti - chiamato Debbabiyé, nel nord del Paese, al confine siriano. Il sacerdote, in lingua francese, ha raccontato le difficoltà della comunità, vittima dei bombardamenti dal Paese vicino, la Siria, dove imperversava la guerra civile.

Là, pur nel bisogno più estremo e sotto la minaccia dei bombardamenti, cristiani e musulmani, libanesi e profughi d’oltre confine, convivono pacificamente e si aiutano a vicenda.

Una comunione che sottolinea anche il Papa soffermandosi sull’immagine delle monete siriane lasciate nella borsa delle elemosine, insieme a quelle libanesi: il gesto “ci ricorda che nella carità - commenta il Pontefice - ciascuno di noi ha qualcosa da dare e da ricevere, e che il nostro donarci a vicenda ci arricchisce tutti e ci avvicina a Dio”.

Rispondendo indirettamente a padre Youhanna, che poco prima ha parlato dei “giovani che vedono un futuro solo nella fuga” della migrazione, il Papa ricorda la “responsabilità che tutti abbiamo verso di loro”.

È importante favorire la loro presenza, anche nelle strutture ecclesiali, apprezzandone l’apporto di novità e dando loro spazio. Ed è necessario, pur tra le macerie di un mondo che ha i suoi dolorosi fallimenti, offrire loro prospettive concrete e praticabili di rinascita e di crescita per il futuro.
Restare per amore nonostante bombe e violenza

Per chi però non può fuggire nemmeno davanti alle minacce dei bombardamenti e cerca “sicurezza e pace”, “i responsabili della speranza” hanno il volto di religiose che restano loro accanto, nonostante le milizie armate le circondino, improvvisando un campo profughi e un centro studi per continuare a seguire “i nostri studenti rifugiati”. È la testimonianza della sorella Dima Chebib, religiosa delle Suore dei Sacri Cuori, mandata dalla sua congregazione a Balbeeck, una città libanese, a maggioranza musulmana dove le sue consorelle sono presenti dal 1882. “Non potevo andarmene”, ha raccontato in francese suor Dima.

Leone XIV sottolinea l’importanza di “tenere aperta la scuola” anche di fronte “all’esplodere della violenza”: qui si impara ad “amare in mezzo all’odio, a servire anche nella stanchezza e a credere in un futuro diverso al di là di ogni aspettativa”.

La Chiesa in Libano ha sempre curato molto l’istruzione. Incoraggio tutti voi a continuare in quest’opera lodevole, venendo incontro soprattutto a chi è nel bisogno e non ha mezzi, a chi si trova in situazioni estreme, con scelte improntate alla carità più generosa, perché alla formazione della mente sia sempre unita l’educazione del cuore.

“Educazione del cuore” che, ricorda il Papa, di cura stando alla “scuola della Croce” e avendo per “unico nostro Maestro è il Cristo”.

La testimonianza di Loren Capobres, volontaria originaria della Filippine. (@Vatican Media)

L’orrore della guerra: la storia di James e Lela

E proprio storie di migrazioni “che spezzano il cuore” ha raccontato Loren Capobres, nella sua testimonianza. La donna, originaria delle Isole Filippine, che lavora come domestica da diciassette anni, pur lontano da casa “ha trovato uno scopo nel servizio agli altri”. “Faccio volontariato con Couples for Christ Lebanon, l’Arrupe Migrants’ Center e nella mia parrocchia, Saint Joseph Tabaris, che ora considero la mia seconda casa”, ha raccontato in lingua inglese la donna, che poi ammette di portare incisa nel cuore la storia di James, sudanese, e della moglie Lela. Il datore di lavoro, quando scoppia la guerra, li chiude in casa. La coppia non si arrende. Lele è incinta e i due riescono a liberarsi e dopo tre giorni di cammino arrivano nella chiesa di Loren.

Leone XIV ricorda che, come affermava Papa Francesco nell’omelia nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato del 29 settembre 2019, il dolore della guerra “ci riguarda e ci interpella”. La storia di James e Lela dunque “ci tocca profondamente”, commenta il Pontefice.

Ciò che hanno vissuto ci impone di impegnarci, affinché nessuno debba più fuggire dal suo Paese a causa di conflitti assurdi e spietati, e affinché chi bussa alla porta delle nostre comunità non si senta mai respinto.

Leone XIV legge il suo discorso davanti ad un pubblico di circa 3.500 fedeli. (@Vatican Media)

Portare e incontrare Cristo nelle carceri

Padre Charbel Fayad, Lazzarista, cappellano delle carceri, incontra Cristo tutti i giorni nel volto dei detenuti “che la società ha dimenticato, ma che Dio non ha mai smesso di amare”. “Celebriamo la Messa, ascoltiamo le confessioni, condividiamo il pane e la Parola, accompagniamo [i detenuti] a tutti i livelli. E lì, spesso nel silenzio, rinasce la gioia di sapersi amati, anche dietro le mura”, ha detto padre Chabrel in francese nella sua testimonianza.

I luoghi come questo, “dove il mondo vede solo muri e crimini”, ci offrono l’opportunità di incontrare lo sguardo di Dio. “Negli occhi dei detenuti vediamo la tenerezza del Padre che non si stanca mai di perdonare”, ha commentato il Papa nella sua omelia.

Ed è proprio così: vediamo il volto di Gesù, riflesso in quello di chi soffre e di chi si prende cura delle ferite che la vita ha provocato.

L'incontro tra Leone XIV e Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni. (@Vatican Media)

Il saluto di benvenuto del Patriarca di Cilicia degli Armeni

L’incontro presso il santuario di Harissa è iniziato alle 11.40, ora locale, con il saluto di benvenuto di Raphaël Bedros XXI Minassian, Patriarca di Cilicia degli Armeni, che ha definito la visita del Papa “una fiamma viva di preghiera e di speranza che illumina ogni angolo del nostro Paese”, ricordando che “ogni giorno, ovunque siamo, nelle chiese, nelle cappelle o nelle case, le nostre voci si levano in un unico canto, come un profumo di incenso che sale verso il cielo. Preghiamo con Lei, Santo Padre, per la pace, per la giustizia e per la rinascita del nostro amato Libano”. Una nazione il cui popolo nel corso degli ultimi anni «ha affrontato prove che hanno profondamente scosso il suo corpo e la sua anima». In questo Paese, ha aggiunto il “Catholicos”, la memoria dei martiri, custodita, è stata trasformata «in un Vangelo vissuto, incarnato nella vita quotidiana». È da questa fede ardente che «scaturisce la forza dell’Oriente cristiano» in un Paese che «ospita diciotto confessioni religiose, simbolo concreto di come la fede possa divenire un ponte al di sopra delle ferite del mondo». E «la Sua presenza — ha concluso Minassian rivolgendosi al Pontefice — ci ricorda che Dio è con noi. La Chiesa è con noi. Non siamo mai soli».

Leone XIV depone la Rosa d'Oro ai piedi della statua nera della Madonna di Harissa. (@Vatican Media)

Il dono della Rosa d’Oro

Portare Cristo e il suo profumo, spiega Leone XIV è il senso della consegna della Rosa d’oro, il dono che tradizionalmente i Pontefici in vista mariana al Santuario di Harissa portano come pegno della loro devozione alla Vergine e posizionano ai piedi della statua nera della Madonna del Libano.

È un gesto antico, che ha tra i suoi significati quello di esortarci ad essere, con la nostra vita, profumo di Cristo.

Un profumo che non è necessariamente caro, aggiunge il Papa, e spesso somiglia all’aroma del cibo donato e condiviso.

Non è un prodotto caro riservato a pochi che se lo possono permettere, ma l’aroma che si sprigiona da una mensa generosa su cui trovano posto tante pietanze diverse e da cui tutti possono attingere insieme.
(fonte: Vatican News, articolo di Daniele Piccini 01/12/2025)

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La mattina si è conclusa con un momento privato, quello presso la sede della Nunziatura, riservato al Consiglio dei patriarchi cattolici d’Oriente, seguito dal pranzo allargato al catholicos della Chiesa armena apostolica di Cilicia, Aram I, al patriarca di Antiochia e capo della Chiesa siro-ortodossa Ignazio Efrem II e al patriarca greco ortodosso di Antiochia Yohanna X Yazigi.