sabato 1 marzo 2025

Giuseppe Savagnone: In vacanza a Gaza Beach

Giuseppe Savagnone
In vacanza a Gaza Beach

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La svolta di Trump

Ha fatto il giro del mondo il video creato e postato da Donald Trump, ambientato a Gaza, in cui lui e il premier israeliano Netanyahu, in costume da bagno, stanno comodamente sdraiati al bordo di una lussuosa piscina, sullo sfondo di modernissimi grattacieli e di una enorme statua d’oro raffigurante il presidente USA. Una provocazione kitch che riassume gli ultimi clamorosi sviluppi della tragedia della Striscia.

Lo scorso 4 febbraio, pochi giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, il nuovo presidente degli Stati Uniti, in una conferenza stampa congiunta con il primo ministro dello Stato ebraico, ha annunciato a un mondo incredulo la sua intenzione di occupare direttamente Gaza, per far sorgere sulle macerie della guerra un resort turistico di lusso. «Penso che lo trasformeremo in un posto internazionale, bellissimo». «Sarà la rivière del Medio Oriente».

È nello stile di Trump unire la politica agli affari. E anche in questo caso quello che dovrebbe realizzarsi è un business di portata internazionale, da cui, secondo il Tycoon, ci sarà solo da guadagnare: «A tutti piace l’idea che gli Stati Uniti controllino quel pezzo di terra creando migliaia di posti di lavoro»

E i 2 milioni di palestinesi che attualmente ci abitano? La risposta di Trump è che «Gaza è un inferno, nessuno ci vuole vivere. I palestinesi adorerebbero andarsene». Si tratta, infatti, di «un luogo distrutto», inabitabile: «Non si può vivere in quegli edifici in questo momento», spiega, perché «sono molto insicuri».

Ma niente paura: c’è una soluzione a portata di mano. I gazawi potranno essere «trasferiti» nei due Stati arabi confinanti, Giordania ed Egitto, dove si troveranno molto meglio che a casa loro.

Al «trasferimento» provvederà Israele, che poi consegnerà la Striscia, ormai bonificata, agli Stati Uniti. E così finalmente ci sarà in Palestina la pace agognata da tutti i popoli della regione: «A molti in Medio Oriente piace l’idea» perché porterà «stabilità».

L’inaspettata proposta ha entusiasmato Netanyahu, il quale ha dichiarato che il suo incontro con Trump ha portato a «enormi risultati che possono garantire la sicurezza di Israele per generazioni» e ha definito quella del presidente americano una «visione rivoluzionaria e creativa» che «aprirà molte possibilità» per Israele.

Quanto ai gazawi, il presidente israeliano ha escluso che si possa parlare di “pulizia etnica”, come l’ha definita il Segretario generale dell’ONU, Guterres: «Non è uno sfratto forzato, né una pulizia etnica. Tutti parlano di Gaza come di una prigione a cielo aperto, e allora perché tenere questa gente in prigione?».

Il «trasferimento» sarebbe anzi una manifestazione di libertà: «Noi permettiamo alle persone di andarsene. Negli ultimi due anni 150.000 abitanti di Gaza se ne sono andati. I ricchi potevano andarsene. Ma se altri vogliono emigrare, è una loro scelta».

Ma l’«inferno» lo hanno creato gli esseri umani

Quello che né Trump né Netanyahu hanno detto è che a trasformare Gaza in un «inferno», dove «non si può vivere», è stato l’esercito di Israele, con la sistematica distruzione di tutte le abitazioni e le infrastrutture civili, nell’evidente intento di rendere il territorio inabitabile.

Le immagini diffuse dai mezzi di comunicazione indipendenti – quando è stato loro possibile, dopo la tregua, entrare nella Striscia (finora preclusa ai giornalisti), – mostrano uno scenario di devastazione che ricorda Hiroshima e Nagasaki.

E non c’è da stupirsene: dal 7 ottobre 2023 al gennaio 2025 l’esercito israeliano ha sganciato, su un territorio grande quanto metà della città di Madrid, oltre 85.000 tonnellate di bombe (fornite in gran parte dagli Stati Uniti), superando di quasi 6 volte la forza di detonazione della bomba sganciata nel 1945 su Hiroshima.

Per mesi la propaganda israeliana ha parlato di bombardamenti mirati di obiettivi militari. Ora con i nostri occhi tutti abbiamo potuto constatare che, nei centri abitati della Striscia, non è rimasto in piedi neppure un edificio. Case, uffici, scuole, ospedali, moschee, chiese – tutto è stato raso al suolo.

Non sono stati solo gli edifici ad essere distrutti. È stata la vita di un popolo. Due milioni di persone sono state da un giorno all’altro sloggiate con la forza, sradicate dai luoghi dove vivevano e lavoravano, costrette a vagare alla ricerca di posti sicuri, indicati dall’esercito israeliano, che poi venivano egualmente bombardati, costringendo alla fuga anche da quelli.

I morti sono stati quasi 49.000. E ancora una volta sono stati i bambini le prime vittime: 14.000 sono stati uccisi, 25.000 feriti o mutilati, 17.000 sono rimasti orfani, tutti sono stati affamati, privati delle cure mediche e della scuola. Ferite che non si rimargineranno mai più e in cui si alimenterà l’odio per coloro che hanno fatto tutto questo.

L’argomento dei “danni collaterali” e quello della differenza tra aggressore e aggredito

Colpa di Hamas hanno ripetuto i governi e i giornali occidentali. Quelli che vediamo, dicono, sono i dolorosi ma inevitabili danni collaterali di una guerra volta ad ottenere la liberazione degli ostaggi israeliani.

Ci si potrebbe forse chiedere se i bombardamenti a tappeto potessero servire a questo scopo e se non fosse assai più logico procedere, come in passato e come poi si è fatto, con degli scambi di prigionieri. Israele ha preferito dimostrare la sua potenza militare, anche se poi ha fallito, finora, entrambi gli obiettivi che si era prefisso, la liberazione dei suddetti ostaggi e la distruzione di Hamas.

Ma non è questo il punto. Ciò che è grave – nell’argomento dei cosiddetti «danni collaterali» – è che questa è la logica di tutti i terroristi. Spiegano sempre di non avere nulla contro le loro vittime e di essere costretti a sacrificarle per una giusta causa, che di solito è il rilascio di qualche loro compagno imprigionato e l’indebolimento di un regime politico iniquo che “si fa scudo” dei suoi cittadini.

In realtà il diritto internazionale, in linea con la morale, dice che colpire i civili è sempre – sempre – un crimine di guerra, quali che ne siano le motivazioni. E che il nemico armato si mescoli con la popolazione – come sempre accade – non autorizza a massacrare, affamare, ridurre alla disperazione quest’ultima.

È in conformità a questi princìpi, da tempo consolidati, che la Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato d’arresto nei confronti del premier israeliano Netanyahu e del suo ministro della guerra, per «crimini contro l’umanità».

Priva di senso è anche l’ossessiva insistenza sulla differenza tra aggressore e aggredito per giustificare i metodi dell’esercito israeliano. L’origine di una guerra è una cosa, il modo di condurla un’altra.

Si può avere ragione sul primo punto e avere torto sul secondo. Altrimenti in Italia dovremmo abolire il “giorno del ricordo” delle vittime delle foibe, perché ad essere aggressori, in quel caso, eravamo noi, gli italiani, che nel 1941 avevamo invaso gratuitamente la Jugoslavia, occupandola fino al 1943.

Se fosse vero, come ripete anche il nostro governo, che la violenza degli aggrediti è legittimata dal loro diritto di difendersi, anche i partigiani di Tito, assurdamente, dovrebbero essere giustificati.

Gaza beach

Ora siamo davanti al progetto di sfruttare cinicamente questi crimini per compierne impunemente un altro – la pulizia etnica – sostenendo che la popolazione, a cui Israele (con la complicità dell’Occidente, soprattutto degli Stati Uniti) ha reso impossibile la vita nella sua patria, sarà “invitata” a emigrare per una “libera” scelta.

I governi e la stampa occidentali davanti a questo ulteriore passo hanno finalmente espresso il loro dissenso. Ma quanto durerà? È plausibile che, l’alibi della minaccia dell’antisemitismo, che finora ha giustificato l’appoggio incondizionato ad Israele, alla fine faccia chiudere gli occhi anche su questo ultimo crimine.

Ultimamente, a mettere in crisi questa linea sono stati due documenti – uno di 350 personalità ebraiche americane, l’altro di duecento ebrei italiani – che hanno espresso il loro totale dissenso rispetto all’idea del “trasferimento” dei gazawi. Difficile ascrivere queste prese di posizione da parte di ebrei a un rigurgito di antisemitismo.

L’irritazione di chi è stato così clamorosamente smentito si è espressa nel coro di polemiche sollevatosi contro i documenti, soprattutto il secondo, anche per la coincidenza con i funerali dei fratellini Bibas, i due piccoli ebrei, la cui uccisione ha suscitato grande commozione in tutto il mondo.

Al punto da far dimenticare che non due, ma migliaia di bambini palestinesi sono morti in questi mesi sotto le bombe, per il freddo, per la fame, per la mancanza di cure, senza che questa commozione si manifestasse. E che comunque i firmatari non giustificavano le violenze di Hamas – inaccettabili esattamente come quelle dell’esercito israeliano – , ma il diritto del popolo palestinese di non essere deportato (magari “volontariamente”).

A rendere più sordido il progetto di Trump e di Netanyahu arriva ora la clip dove si delinea il futuro di Gaza, tra il modello Miami e quello Dubai. Sulla pelle dei palestinesi.

In altri tempi l’indignazione mondiale avrebbe travolto Trump e Netanyahu, costringendo i governi finora complici dello sterminio dei gazawi a prendere finalmente una posizione politica netta. Non sembra che lo stiano facendo.

A cominciare da quello italiano, che pochi giorni fa – pur avendo avanzato per bocca del ministro Tajani delle caute difficoltà sull’idea del presidente americano e del premier israeliano – , per la seconda volta a distanza di pochi mesi ha accolto con grande cordialità il presidente dello Stato ebraico Herzog, ribadendo l’amicizia incondizionata per Israele, senza nemmeno una parola di critica e di riserva sul progetto disumano del suo governo.

Herzog , da parte sua, ha ringraziato l’Italia perché come pochi Stati è disposta a «schierarsi» (ha usato questo termine) al fianco di Tel Aviv in questo «scontro di civiltà e di valori».

Ma la stragrande maggioranza dei mezzi di comunicazione e dell’opinione pubblica non ha avuto nulla da ridire. Perciò si può fin da ora prevedere che fra alcuni anni i ricchi italiani andranno anche loro a fare le vacanze a Gaza Beach.
(fonte: sito dell'autore 28/02/2025)

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Vedi anche il post precedente: