“Rimanete in me”:
tra santi e defunti qual è e dov’è il nostro posto?
Si può anche accettare la compagnia di Dio, più difficile però è accettare quella delle persone. Infatti, si sa che Gesù frequentava "cattive compagnie".
“Rimanete in me” è quasi un ordine di Gesù, ha il sapore di un invito, sembra proprio un consiglio, ma soprattutto è un progetto di vita piena e abbondante oggi, un progetto di santità.
Come quando, dopo una visita in casa di un amico, mentre stiamo per andare via, ci viene chiesto di restare ancora un po’ o magari di cenare insieme, così Gesù offre tutto se stesso a chi invita, garantendo “il successo della serata”, la sua presenza salvifica in quel “e io in voi”. È un’esortazione linguisticamente alla pari, ma in realtà il divario fra il divino e l’umano è straordinario: che cosa, restando, noi possiamo offrire a Lui? E noi, restando, che capacità abbiamo di accogliere Lui? Questo per Gesù non è un problema, poiché è il Re che si è fatto servo, il Dio che si è fatto uomo, l’Eterno che ha scelto la condizione del limite. Siamo noi in difetto e in difficoltà. Siamo noi a pensare di non essere all’altezza e a fare un passo indietro. Siamo noi a temere l’ingombrante presenza di Gesù, la fatica di essere fedeli al Vangelo.
“Rimanete in me” è una chiamata ad essere se stessi riconoscendosi veramente nel volto di Cristo e, allo stesso tempo, riconoscendo in quel volto gli sguardi delle donne e degli uomini che Egli ama.
Qualcuno dirà: «Si può anche accettare la compagnia di Dio, più difficile però è accettare quella delle persone. Infatti, si sa che Gesù frequentava “cattive compagnie” tra pubblicani, prostitute, lebbrosi, poveri, storpi, ciechi; non può mica pretendere che rimaniamo con Lui tutti insieme!».
Qualcun altro penserà: «Io ci sto ma a modo mio: vado a messa quando voglio; ascolto il Papa solo se dice ciò che voglio sentirmi dire; seleziono i comandamenti a piacimento; mi occupo solo delle attività che mi gratificano nella Chiesa. Del resto io sono battezzato, catechista, educatore, appartengo a varie associazioni, ho tante tessere, gli altri si adatteranno».
Poi ci sarà chi vuole tenersi Gesù tutto per sé, chiuso nelle proprie devozioni, nei riti svuotati, nei pizzi e nei merletti, nei ruoli e negli incarichi, nelle polemiche sterili, nel chiacchiericcio diabolico, nei racconti del passato, nella sfiducia nel presente, nel “se non ci fossi io qui…”.
In realtà le questioni di fondo sono “per chi”, “perché” e “come” starci, la risposta è invece unica: “per amore”! Per amore si è disponibili alla potatura così come per amore si porta frutto; per amore si resta discepoli, per amore si diventa apostoli e missionari; per amore si osservano i comandamenti, per amore “chiedete quel che volete e vi sarà dato”. Dunque, rimanere in Lui è al contempo stare nella realtà, accogliere l’umanità, soprattutto quella sofferente, mettersi a servizio di Dio chinandosi su chi è in difficoltà.
“Rimanete” implica una scelta concreta e totalizzante nella comunità e nella Chiesa; “in me” prospetta il compimento della pace intima, del profumo di cielo, del desiderio di Infinito, della felicità nel tempo e nell’eternità.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Marco Pappalardo 31/10/2024)