sabato 9 novembre 2024

MASSIMO RECALCATI: “La violenza non si cura col bastone” (Testo e video)

MASSIMO RECALCATI:
“La violenza
non si cura
col bastone”



di Francesco Rigatelli pubblicato su La Stampa il 5 novembre 2024


«Gli episodi di violenza sempre più frequenti nella scuola sembrerebbero dare ragione a chi vorrebbe ripristinare la severità precedente al ’68, ma non è così semplice». Lo psicanalista Massimo Recalcati, 64 anni, milanese, interviene al Social Festival Comunità Educative alle Gallerie d’Italia di Torino definendo «follia il pensiero nostalgico, perché intanto la scuola e la famiglia prima del ‘68 non funzionavano. Il padre decideva per tutti e la scuola prolungava questo modello fuori di casa con lo spegnimento di ogni pensiero critico e fantasia. Il ’68 ha dato diritto di parola alle donne e ai giovani, poi non siamo ciechi e sappiamo che si è buttato via il bambino con l’acqua sporca per cui ora si tratta di riequilibrare ma senza idealizzare il passato».

Anche perché, spiega Recalcati, «ripristinare l’autorità è impossibile, ma bisogna ripensarla. La risposta breve è quella reazionaria invocando Dio, patria e famiglia come in tutti i fondamentalismi. L’Occidente invece ha il compito di riempire l’autorità in modo nuovo senza tornare indietro. Ma come faccio a farmi ascoltare se il mio ruolo simbolico di insegnante non è più sufficiente? Bisogna ripartire dalla parola, dall’interesse, dalla sfida allo smartphone per mostrare con la propria azione quotidiana, con una semina di lungo periodo, che questa vita può essere vissuta con desiderio».

Lo psicoanalista sfida i profeti del nichilismo: «Non è che se non c’è più l’idea di futuro allora manca il desiderio. Esattamente il contrario. Quando un figlio viene vaccinato con la potenza del desiderio, diceva Pasolini, allora gli si apre il futuro. Altrimenti ci accasciamo tutti in un nichilismo indistinto. Ai giovani, alla generazione Covid che non esiste, offriamo psicologi, antidepressivi, viagra, ma invece bisogna dare loro il ricambio generazionale, responsabilità, non il lamento di Cassandra».

Stimolato dalle domande del vicedirettore de La Stampa Gianni Armand Pilon, che ricorda l’ex assessore e insegnante Fiorenzo Alfieri, critico sull’abbassamento del livello scolastico per raggiungere gli strati popolari, Recalcati chiarisce che «un Paese si giudica da come tratta la scuola e il nostro la tratta male. Ci sono stati tentativi di riforma, ma di fatto il mestiere dell’insegnante gode di poco prestigio. Viviamo una proletarizzazione e un disconoscimento di questa professione, come per gli operatori sanitari. Detto ciò devo dire che io farei una selezione meritocratica per allontanare quegli insegnanti indecenti che anche i miei figli hanno avuto. Bisognerebbe affrontare un certo conservatorismo anche sindacale. E quando c’era il governo Renzi si perse l’occasione di una riforma che coinvolgesse gli insegnanti con degli stati generali».

Per la stessa ragione lo psicoanalista si dice favorevole al voto in condotta: «Viene sostenuto dal ministro Valditara, che non gode di particolare mia stima e ammirazione, ma è giusto. Il rispetto deve avere un valore. Un pensiero di destra? No, ovvio. È sufficiente a considerare Valditara illuminato? Neppure. Un sindaco che si occupa di sicurezza è di destra? Neanche, per esempio a Milano c’è un problema enorme con Sala che io ho votato e che non si assume completamente la responsabilità di questo problema. Se si vede l’esercito in strada è militarizzazione? No, solo sicurezza. Eppure meritocrazia e sicurezza sono ancora tabù per parte della sinistra».

Si parla di scuola e non si può non toccare il tema del bullismo. Secondo Recalcati «abbiamo perso di vista la differenza tra il senso della legge e il rispetto delle regole. Tutti invochiamo il secondo, ma senza il primo non funziona. Moltiplichiamo le regole perché non c’è il senso della legge, e cioè del limite, del non tutto: non si può fare o essere tutto. Dal passare col rosso in su. Il bullismo si diffonde nonostante le regole perché non c’è senso della legge nelle famiglie e nelle istituzioni. E anche qui non serve un bastone per riportarlo, ma un incentivo.

La violenza, non solo per le guerre ma in generale, ha preso il posto della parola. Dove c’è violenza c’è sempre debolezza della parola, della politica, della democrazia. La scuola dovrebbe imporre la legge della parola e la rinuncia della violenza. La democrazia non a caso è il lutto dell’uno, è fatta di continui passaggi attraverso il discorso degli altri, è fatica».

Recalcati ragiona anche sul ruolo del maestro: «Nel film Parthenope di Sorrentino, che ho amato molto, il professore interpretato da Silvio Orlando alla domanda su cosa sia l’antropologia risponde con il verbo “vedere”. Ma per vedere ci vuole la luce. Il presupposto di ogni conoscenza è la luce, che dimentichiamo quando parliamo di scuola a partire dall’azienda. L’autorevolezza di un maestro non dipende dall’esercizio di un potere, ma dalla sua capacità di illuminare. L’altro significato della scuola è accendere il desiderio, fuochi o il fuoco del desiderio. Non è dispensare nozioni, ma mettere in movimento la vita, renderla viva. Possiamo fare l’elogio di un maestro quando la sua azione non si limita a trasmettere sapere, bensì mette in moto la vita».

Ma come fa la vita dei nostri figli, si chiede lo psicoanalista, ad acquisire una forma, una formazione singolare? «Accade quando il desiderio diventa un dovere, superando la tradizionale separazione dal piacere. E se provassimo a pensare che il vero dovere sarebbe vivere coerentemente col nostro desiderio».

(Fonte: sito dell'autore)


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