VEGLIA PENITENZIALE A CONCLUSIONE DEL RITIRO IN PREPARAZIONE ALLA
SECONDA SESSIONE DELLA XVI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI
Basilica di San Pietro, Altare della Confessione
Martedì, 1° ottobre 2024
Papa Francesco, riconoscere i propri errori
per essere Chiesa credibile
Papa Francesco alla Veglia Penitenziale | Credit Daniel Ibanez/ Aci Group
“La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori”. Con queste parole Papa Francesco ha inziato la sua riflessione che ha concluso la Veglia Penitenziale - posta in chiusura del Ritiro spirituale dei Vescovi in preparazione alla Seconda Sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi - svoltasi nella Basilica di San Pietro gremita di fedeli. Soprattutto di giovani. Davanti all’altare campeggia il Crocifisso di San Damiano, testimone silenzioso di questo Rito Penitenziale.
La riflessione del Santo Padre vede protagonista il tema del peccato che - come dice lo stesso Papa Francesco - “è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle”. E precisa: “La Chiesa è nella sua essenza di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare una Chiesa sinodale”. La domanda fondamentale che pone il Santo Padre ai Vescovi riuniti per il Sinodo è “Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?”. Dopo si sofferma sul Vangelo scelto per la Liturgia Penitenziale: è il Vangelo di Luca, capitolo 18.
Il Vangelo ci “presenta due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare. Uno sta in piedi, con la fronte alta, l’altro resta indietro, con gli occhi bassi”. Pregare non vuol dire aspettarsi un premio per i propri meriti, tiene a precisare il Santo Padre. Per essere in relazione con Dio non è possibile dare spazio al proprio “io”. E poi si domanda: “Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti?”. Lo sguardo si rivolge al presente della Chiesa: “Noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo gli occhi bassi e proviamo vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio. Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature”.
E’ un grande “mea culpa” quello che Papa Francesco recita davanti all’assemblea riunita: “Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene”. E continua: “Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare”.
Le parole di Papa Francesco arrivano a conclusione di una Liturgia penitenziale davvero particolare, quasi “inedita” si potrebbe definire: testimonianze di donne e uomini a raccontare la loro storia davanti all’assemblea e ai microfoni del mondo, alternate alle richieste di perdono da parte della Chiesa. Sembra quasi un oceano in movimento: un’onda si alterna all’altra onda. Un oceano in movimento.
Quelle che si sono ascoltate durante questa Veglia sono parole che fanno riflettere la comunità, l'intera Chiesa. Parole come quelle pronunciate dal baritono Laurence Gien, residente in Germania, abusato in Sudafrica. Oppure come la testimonianza di una volontaria dell’accoglienza di migranti, Sara Vatteroni, Direttrice della Migrante Regionale Toscana, accompagnata da Solange (Migrante proveniente dalla Costa d’Avorio). E poi c’è la testimonianza di suor Deema Fayyad, originaria di Homs, una città siriana profondamente segnata dalla guerra.
A questi racconti, fanno eco le richieste di perdono pronuciate da esponenti della Chiesa. E’ il caso del Cardinal Oswald Gracias, Arcivescovo di Bombay (India), che ha chiesto perdono per il “peccato di mancanza di coraggio, del coraggio necessario alla ricerca di pace tra i popoli e le nazioni, nel riconoscimento dell’infinita dignità di ogni vita umana in tutte le sue fasi”. E aggiunge: “Ancora più grave è il nostro peccato, se per giustificare la guerra e le discriminazioni, invochiamo il nome di Dio”. Il cardinal Michael Czerny, Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, chiede perdono per aver trasformato “il creato da giardino a deserto, manipolandolo a nostro piacimento; e per quanto non abbiamo fatto per impedirlo”. Il cardinale Seán Patrick O’ Malley, Arcivescovo Metropolita emerito di Boston (Stati Uniti d’America) che ha chiesto perdono per gli “abusi di coscienza, abusi di potere, e abusi sessuali”. Il Cardinal Kevin Joseph Farrel, Prefetto del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita “tutte le volte che non abbiamo riconosciuto e difeso la dignità delle donne, per quando le abbiamo rese mute e succubi, e non poche volte sfruttate, specie nella condizione della vita consacrata” e poi “per tutte le volte che abbiamo rubato la speranza e l’amore alle giovani generazioni”. Il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede, il Cardinal Víctor Manuel Fernández, chiede perdono, invece, per tutte quelle volte che non si è stati “capaci di custodire e proporre il Vangelo come fonte viva di eterna novità”. Le parole di richiesta di perdono del Cardinal Cristóbal López Romero sono forti, precise e rimbombano fra le volte della Basilica Vaticana: “Chiedo perdono a nome di tutti nella Chiesa, provando vergogna per quando abbiamo girato la testa dall’altra parte di fronte al sacramento del povero, preferendo adornare noi stessi e l’altare di colpevoli preziosità che sottraggono il pane all’affamato”. L’Arcivescovo di Vienna, il Cardinal Christoph Schönborn, “per gli ostacoli che frapponiamo all’edificazione di una Chiesa veramente sinodale, sinfonica, consapevole di essere popolo santo di Dio che cammina insieme riconoscendo la comune dignità battesimale” e chiede perdono “per tutte le volte che non abbiamo ascoltato lo Spirito Santo, preferendo ascoltare noi stessi”.
(fonte: ACI Stampa articolo di Antonio Tarallo 01/10/2024)
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RIFLESSIONE DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Cari fratelli e sorelle,
come ci ricorda il Siracide, «la preghiera del povero attraversa le nubi» (35,17).
Noi siamo qui mendicanti della misericordia del Padre, chiedendo perdono.
La Chiesa è sempre Chiesa dei poveri in spirito e dei peccatori in ricerca di perdono, e non solo la Chiesa dei giusti e dei santi, anzi dei giusti e dei santi che si riconoscono poveri e peccatori.
Ho voluto scrivere le richieste di perdono che sono state lette da alcuni cardinali, perché era necessario chiamare per nome e cognome i nostri principali peccati. E noi li nascondiamo o li diciamo con parole troppo educate.
Il peccato è sempre una ferita nelle relazioni: la relazione con Dio e la relazione con i fratelli e le sorelle. Sorelle, fratelli, nessuno si salva da solo, ma è vero ugualmente che il peccato di uno rilascia effetti su tanti: come tutto è connesso nel bene, lo è anche connesso nel male.
La Chiesa è nella sua essenza una Chiesa di fede e di annuncio sempre relazionale, e solo curando le relazioni malate, possiamo diventare Chiesa sinodale. Come potremmo essere credibili nella missione se non riconosciamo i nostri errori e non ci chiniamo a curare le ferite che abbiamo provocato con i nostri peccati?
E la cura della ferita comincia confessando il peccato che abbiamo compiuto.
La parabola del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato ci presenta due uomini, un fariseo e un pubblicano, che vanno entrambi al tempio a pregare. Uno sta in piedi, con la fronte alta, l’altro resta indietro, con gli occhi bassi.
Il fariseo riempie la scena con la sua statura che attira gli sguardi, imponendosi come modello. In questo modo presume di pregare, ma in realtà sta celebrando se stesso, mascherando nella sua effimera sicurezza le sue fragilità. Cosa si aspetta da Dio? Si attende un premio per i suoi meriti, e in questo modo si priva della sorpresa della gratuità della salvezza, fabbricandosi un dio che non potrebbe fare altro che sottoscrivere un certificato di perfezione presunta. Un uomo chiuso alla sorpresa, chiuso a tutte le sorprese. È tutto chiuso in sé stesso, chiuso alla grande sorpresa della misericordia. Il suo io non dà spazio a niente a nessuno, nemmeno a Dio.
Quante volte nella Chiesa ci comportiamo in questo modo? Quante volte abbiamo occupato tutto lo spazio anche noi, con le nostre parole, i nostri giudizi, i nostri titoli, la convinzione di avere soltanto meriti? E in questo modo si perpetua quanto era avvenuto quando Giuseppe e Maria, e il Figlio di Dio nel suo ventre, bussavano alle porte dell’ospitalità. Gesù nascerà in una mangiatoia perché, come ci dice il Vangelo, «non c’era posto per loro nell’albergo» (Lc 2,7).
E noi oggi siamo tutti come il pubblicano, abbiamo o vogliamo avere gli occhi bassi e proviamo, vogliamo provare vergogna per i nostri peccati. Come lui, rimaniamo indietro, liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio. Diciamolo anche noi vescovi, preti, consacrate, consacrati: liberando lo spazio occupato dalla presunzione, dall’ipocrisia e dall’orgoglio.
Non potremmo invocare il nome di Dio senza chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle, alla Terra e a tutte le creature.
Cominciamo questa tappa del Sinodo. E come potremmo essere Chiesa sinodale senza riconciliazione? Come potremmo affermare di voler camminare insieme senza ricevere e donare il perdono che ristabilisce la comunione in Cristo?
Il perdono, chiesto e donato, genera una nuova concordia in cui le diversità non si oppongono, e il lupo e l’agnello riescono a vivere insieme (cfr Is 11,6). Coraggioso l’esempio di Isaia!
Di fronte al male e alla sofferenza innocente domandiamo: dove sei Signore? Ma la domanda dobbiamo rivolgerla a noi, e interrogarci sulle responsabilità che abbiamo quando non riusciamo a fermare il male con il bene. Non possiamo pretendere di risolvere i conflitti alimentando violenza che diventa sempre più efferata, riscattarci provocando dolore, salvarci con la morte dell’altro. Come possiamo inseguire una felicità pagata con il prezzo dell’infelicità dei fratelli e delle sorelle?
E questo è per tutti, per tutti: laiche, laici, consacrate, consacrati, per tutti! Alla vigilia dell’inizio dell’Assemblea del Sinodo, la confessione è un’occasione per ristabilire fiducia nella Chiesa e nei suoi confronti, fiducia infranta dai nostri errori e peccati, e per cominciare a risanare le ferite che non smettono di sanguinare, spezzando «le catene della malvagità» (Is 58,6).
Lo diciamo nella preghiera dell’Adsumus con cui domani introdurremo la celebrazione del Sinodo: «Siamo qui oppressi dall’enormità del nostro peccato». E questo peso non vorremmo che rallentasse il cammino del Regno di Dio nella storia.
Noi abbiamo fatto la nostra parte, anche di errori. Continuiamo nella missione per quello che possiamo; ma ora ci rivolgiamo a voi giovani, che aspettate da noi il passaggio di testimonianza, chiedendo perdono anche a voi se non siamo stati testimoni credibili.
E oggi nella memoria liturgica di santa Teresa di Gesù Bambino, patrona delle missioni, domandiamo la sua intercessione.
Breve pausa di silenzio. Poi, tutti in piedi chinano il capo.
Il Santo Padre riprende la parola pregando:
O Padre, siamo qui riuniti consapevoli di avere bisogno del tuo sguardo di amore.
Abbiamo le mani vuote, possiamo ricevere solo quanto tu puoi donarci.
Ti chiediamo perdono per tutti i nostri peccati,
aiutaci a restaurare il tuo volto che abbiamo sfigurato con la nostra infedeltà.
Chiediamo perdono, provando vergogna, a chi è stato ferito dai nostri peccati.
Donaci il coraggio di un sincero pentimento per la conversione.
Lo chiediamo invocando il Santo Spirito
perché possa riempire della sua Grazia i cuori che hai creato, in Cristo Gesù Signore nostro.
Tutti chiediamo perdono, tutti siamo peccatori, ma tutti abbiamo la speranza nel tuo amore, Signore. Amen.
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PAROLE DEL SANTO PADRE DOPO LA CONSEGNA DEL VANGELO
A voi dico: Il Santo Vangelo è la nostra via, la nostra verità, la nostra vita. Lo affido a voi che siete le sentinelle del nuovo giorno nella Chiesa, che vuole essere sinodale per la missione.
Da che il Verbo si è fatto carne, la parola di Gesù cerca la nostra carne, per quanto debole e infedele. Siamo tutti peccatori, siamo tutti mendicanti della misericordia del Padre, per questo abbiamo confessato i nostri peccati. Riceveremo ora la benedizione di Dio che è il soffio di vita, la carezza di speranza che permette a chi è caduto di rialzarsi sempre. E a tutti noi, fratelli e sorelle, ricordiamo che soltanto una volta, una volta, è lecito guardare una persona dall’alto in basso: soltanto per aiutarla a sollevarsi; altrimenti non si può. È lecito guardare una persona dall’alto in basso per aiutarla a sollevarsi.
Ricordate che il Vangelo deve essere custodito e proclamato con mani innocenti e cuore puro, e se qualcuno di noi non ha le mani innocenti, non ha il cuore puro, almeno con cuore pentito.
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