martedì 29 ottobre 2024

Papa Francesco alla diocesi di Roma: “seminare speranza e vincere il virus dell’indifferenza” (commento/sintesi, testo integrale, foto e video)

"RICUCIRE LO STRAPPO: OLTRE LE DISUGUAGLIANZE"
ASSEMBLEA DIOCESANA CON PAPA FRANCESCO

San Giovanni in Laterano
Venerdì, 25 ottobre 2024

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Alla diocesi di Roma

Papa Francesco: “seminare speranza 
vincere il virus dell’indifferenza”

Papa Francesco, a 50 anni dal Convegno sui "mali di Roma", ha chiesto alla sua diocesi di "seminare speranza", anche in vista del Giubileo ormai imminente. "Il povero non può essere un numero, la povertà è un'urgenza ecclesiale". "Un cristiano che non si fa vicino, non è compassionevole e non è tenero non è un cristiano". Serve "una rete sociale solidale nella città".


Si è concluso con un invito a “avviare processi di speranza”, anche in vista del Giubileo, il discorso di Papa Francesco dalla basilica di San Giovanni in Laterano, a conclusione dell’assemblea diocesana che si è svolta a 50 anni dal Convegno sui “mali di Roma”, definito dal Pontefice “un evento che ha segnato il cammino ecclesiale e sociale della città”. Cinquant’anni fa, “la Chiesa di Roma si è messa in ascolto delle tante sofferenze che la segnavano, invitando tutti a riflettere sulle responsabilità dei cristiani di fronte ai mali della Chiesa, della città, entrando dialogo con essa e scuotendo la coscienza civile, politica e cristiana di tanti”. Cinquant’anni dopo, secondo Francesco, sono ancora tante le disuguaglianze e le povertà che colpiscono molti abitanti della città: “Se da una parte tutto questo addolora, dall’altra ci fa comprendere quanto sia ancora lunga strada da percorrere”. “Sapere che ci sono persone che vivono per strada, giovani che non riescono a trovare lavoro o casa, malati e anziani che non hanno accesso alle cure, ragazzi che sprofondano nelle dipendenze dalle droghe e in altre dipendenze moderne, persone segnate da sofferenze mentali, persone che vivono in stato abbandono o disperazione”: tutto questo, per il Papa, “non può essere solo dato statistico: sono persone, sono volti di nostri fratelli sorelle, sono storie che ci interpellano”.

“Per favore, il povero non può essere un numero, un problema, o peggio ancora uno scarto! E’ nostro fratello, carne della nostra carne”,

il primo appello del discorso papale, articolato su tre punti: “portare ai poveri il lieto annuncio, ricucire lo strappo, seminare la speranza”. “Sentire la questione della povertà come un’urgenza ecclesiale che diventa impegno e responsabilità di tutti e sempre”, l’invito di Francesco: “E per favore – ha aggiunto – non diciamo che i cristiani che lavorano con i poveri sono comunisti!”. “La Chiesa è chiamata ad assumere uno stile che mette al centro coloro segnati dalle diverse povertà”, ha spiegato il Papa: “poveri di cibo, poveri di speranza, affamati di giustizia, assetati del futuro, bisognosi di legami veri. Rendiamoci presenti verso i poveri e diventiamo segno della tenerezza di Dio”.

“Un cristiano che non si fa vicino, che non è compassionevole e non è tenero non è un cristiano”,

ha esclamato Francesco ricordando le tre parole di cui è fatto lo stile di Dio: “vicinanza, compassione, tenerezza”. “Gesù non ci offre una soluzione magica alla povertà, ci chiede di portare ai poveri il lieto annuncio. Anzitutto di dire loro che sono amati dal Signore e che agli occhi di Dio sono preziosi, che la loro dignità è sacra. Tante volte noi cristiani diciamo questo a parole, ma poi non facciamo i gesti che lo rendono credibile”.

“Come possiamo accettare nostra città si buttino quintali di cibo e nello stesso tempo ci siamo famiglie che non hanno da mangiare?”,

il primo interrogativo del Pontefice: “Io lo vedo in un ristorante a 50 metri dal Vaticano”, ha raccontato: “i poveri vanno a cercare lì il cibo che buttano tutte le sere”. “Come possiamo accettare che ci siano migliaia di spazi vuoti e migliaia di persone che dormono sul marciapiede? Che i ricchi abbiano accesso a tutte le cure che desiderano e che il povero quando sta male non riesce a curarsi?”, le altre domande:

“una città che assiste inerme a queste situazioni è una città lacerata”.

Di qui l’invito “a ricucire lo strappo impegnandosi a costruire alleanze che mettano al centro la persona umana, a lavorare insieme, armonizzare le differenze e crescere nel dialogo con le istituzioni e le associazioni, con la scuola e famiglia, con le generazioni, con tutti, anche con chi la pensa diversamente”. Per ricucire lo strappo, secondo il Papa, “serve pazienza, dialogo senza pregiudizi, confronto con passione su idee, progetti, proposte utili a rinnovare il tessuto della città. Insieme possiamo rischiare strade nuove vincendo il virus dell’indifferenza, che tutti ci contagia. Per ricucire lo strappo abbiamo bisogno di uscire dall’indifferenza e lasciarci coinvolgere in prima persona. Sarebbe bello se dall’incontro di stasera si uscisse con qualche impegno concreto”. “Vorrei chiedervi questo”, ha poi detto Francesco rivolgendosi ai presenti:

“valorizzate di più nella pastorale ordinaria e nella catechesi il pensiero sociale della Chiesa.

E’ importante formare le coscienze alla dottrina sociale della Chiesa, per tradurre il Vangelo nelle diverse situazioni sociali di oggi e diventare testimoni di pace, di giustizia e di fraternità”.

Ci vuole “una rete sociale solidale nella città, per ricucire gli strappi”,

la proposta del Papa, che ha esortato la sua diocesi a “pensare segni di speranza a favore della pace, della vita umana, degli ammalati, dei carcerati, dei migranti, degli anziani, dei poveri”, anche in vista del Giubileo ormai imminente. “La speranza non delude mai, andiamo sulla strada della speranza”, l’invito del Pontefice, che ha citato “i tanti sacerdoti, come don Luigi Di Liegro”, e “i tanti laici che si sono messi all’opera per il bisogno di gettare segni di bene, nella speranza che qualcun altro si sarebbe preso cura di quel seme”. “Se a Roma è molto forte la spinta del volontariato è perché qualcuno ci ha creduto e ha iniziato con piccoli passi”, l’omaggio del Papa: “Dobbiamo avviare nuovi processi di speranza, sognare e costruire la speranza attraverso il nostro impegno, che è un impegno responsabile e solidale”. “Grazie per tutto ciò che fate nella Chiesa e nella città di Roma”, il ringraziamento del vescovo di Roma: “osate nella carità”. Alla fine, la citazione di Charles Peguy: “la fede è una sposa fedele, la carità è una madre, la speranza è una bambina da nulla, eppure è questa bambina che attraverserà il mondo”.
(fonte: Sir, articolo di M. Michela Nicolais 25/10/2024)

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Riportiamo di seguito il testo integrale

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO


Cari fratelli e sorelle,

vi ringrazio di essere qui a celebrare insieme questo momento importante per la Diocesi di Roma. Saluto le Autorità presenti e tutti voi che siete qui rappresentando anche le vostre Comunità parrocchiali e le realtà di cui siete al servizio. E ringrazio anche tutti coloro che hanno lavorato per riportare alla memoria di tutti noi il Convegno che si è tenuto 50 anni fa e che è passato alla storia con il nome “Convegno sui mali di Roma”. Si è trattato di un evento che ha segnato il cammino ecclesiale e sociale della Città e, in quell’occasione, la Chiesa di Roma si è messa in ascolto delle tante sofferenze che la segnavano, invitando tutti a riflettere sulle responsabilità dei cristiani di fronte ai mali della Chiesa, ai mali della Città, entrando in dialogo con essa e scuotendo la coscienza civile, politica e cristiana di tanti.

Ho seguito i diversi passaggi del lavoro fatto nel corso di quest’anno e ho ascoltato con interesse la sintesi e le testimonianze che, purtroppo, ci mettono ancora una volta davanti a una triste realtà: anche oggi e ancora oggi sono tante le disuguaglianze e le povertà che colpiscono molti abitanti della Città. Se da una parte tutto questo ci addolora, dall’altra ci fa comprendere quanto sia ancora lunga la strada da percorrere. Sapere che ci sono persone che vivono per strada, giovani che non riescono a trovare un lavoro o una casa, ammalati e anziani che non hanno accesso alle cure, ragazzi che sprofondano nelle dipendenze dalle droghe e in molte altre dipendenze “moderne”, persone segnate da sofferenze mentali che vivono in stato di abbandono o disperazione. E questo non può essere solo un dato statistico; sono volti, sono storie di nostri fratelli e sorelle che ci toccano e ci interpellano: cosa possiamo fare noi? Vediamo nella storia ferita di queste persone il volto di Cristo sofferente? Siamo capaci di vederlo? Avvertiamo il problema per farcene carico? Cosa possiamo fare insieme?

Partendo da questi interrogativi e dalla Parola che abbiamo ascoltato, vorrei riflettere con voi su tre aspetti: portare ai poveri il lieto annuncio, ricucire lo strappo, seminare la speranza.

Anzitutto, portare ai poveri il lieto annuncio. I poveri saranno sempre con noi. I poveri sono la carne di Cristo e, come un sacramento, lo rendono visibile ai nostri occhi. Quando io confesso, quando c’è l’opportunità, domando alla persona: “Ma dimmi, tu dai l’elemosina?” - “Sì, Padre” – “E dimmi, quando tu dai l’elemosina, tu guardi gli occhi del povero al quale dai l’elemosina? Tu tocchi la mano?” E rispondono: “No”. Buttano la moneta e proseguono. Non si prendono cura di quella sofferenza umana che è un povero. I poveri saranno sempre con noi, sono la carne di Cristo e, come un sacramento, lo rendono visibile ai nostri occhi. Gesù non ci offre una soluzione magica per risolvere la povertà ma ci chiede di portare loro “il lieto annuncio”. E la buona notizia da annunciare ai poveri è anzitutto dire loro che sono amati dal Signore e che agli occhi di Dio sono preziosi, che la loro dignità, spesso calpestata dal mondo, davanti a Dio è sacra. Ma tante volte, noi cristiani diciamo questo a parole, e poi non facciamo i gesti che lo rendono credibile. Per favore: il povero non può essere un numero, non può essere un problema o peggio ancora uno scarto. Egli è nostro fratello, è carne della nostra carne. Sono contento che, in questa Diocesi, tante persone si spendono ogni giorno per i poveri: penso ai volontari, agli operatori della Caritas e delle altre realtà e associazioni presenti nel territorio, ai tanti cittadini che sono nel silenzio e che operano il bene; al contempo, però, dobbiamo sentire la questione della povertà come un’urgenza ecclesiale, che diventa impegno e responsabilità di tutti e sempre. La Chiesa è chiamata ad assumere uno stile che mette al centro coloro che sono segnati dalle diverse povertà – ce ne sono tante, eh! –, i poveri di cibo e di speranza, gli affamati di giustizia, gli assetati del futuro, i bisognosi di legami veri per affrontare la vita. Rendiamoci presenti presso i poveri e diventiamo per loro segno della tenerezza di Dio! Dio è presente con tre atteggiamenti: la vicinanza, la compassione e la tenerezza. E un cristiano che non si fa vicino, che non è compassionevole e che non è tenero non è cristiano. Vicinanza, compassione e tenerezza. Così imitiamo Dio.

In secondo luogo, ricucire lo strappo. É un’immagine che prendo dal titolo che si è voluto dare all’incontro di stasera. È vero, qualcosa si è strappato! Il grande tessuto sociale, a motivo delle disuguaglianze, conosce quotidianamente rotture che fanno male. Come possiamo accettare che nella nostra Città si buttino quintali di cibo e allo stesso tempo ci siano famiglie che non hanno da mangiare? I poveri vanno a cercare il cibo che i ristoranti buttano tutte le sere. Come possiamo accettare che ci siano migliaia di spazi vuoti e migliaia di persone che dormono su un marciapiede? Che alcuni ricchi hanno accesso a tutte le cure che necessitano e chi è povero quando sta male non riesce a curarsi dignitosamente? Una città che assiste inerme a queste contraddizioni è una città lacerata, così come lo è l’intero nostro pianeta. Ecco che allora è necessario ricucire questo strappo impegnandoci a costruire delle alleanze che mettano al centro la persona umana, la sua dignità. Per fare questo occorre lavorare insieme, armonizzare le differenze, condividere ciascuno il dono e la missione che ha già ricevuto. E questo significa anche crescere nel dialogo: il dialogo con le istituzioni e le associazioni, il dialogo con la scuola e la famiglia, il dialogo tra le generazioni, il dialogo con tutti, anche con chi la pensa diversamente. Per ricucire lo strappo serve la pazienza del dialogo senza pregiudizi, confrontandosi con passione sulle idee, sui progetti e sulle proposte utili a rinnovare il tessuto della Città. Insieme possiamo rischiare delle strade nuove, vincendo il virus dell’indifferenza, che tutti ci contagia come se quanto accade, negli angoli della nostra Città e del pianeta, non ci riguardasse. “Non è cosa mia”. Per ricucire abbiamo bisogno innanzitutto di uscire dall’indifferenza e lasciarci coinvolgere in prima persona! Sarebbe bello se dall’incontro di stasera si uscisse con qualche impegno concreto, verificabile sulla linea di uno sforzo comune mirato ad azioni capaci di aiutarci a superare le disuguaglianze. Ma, intanto, vorrei chiedervi questo: valorizzate di più, nella pastorale ordinaria e nella catechesi, il pensiero sociale della Chiesa. É importante, è importante infatti, formare le coscienze alla dottrina sociale della Chiesa, perché il Vangelo sia tradotto nelle diverse situazioni di oggi e ci renda testimoni di giustizia, di pace, di fraternità. E tessitori di una nuova rete sociale e solidale nella Città, per ricucire gli strappi che la lacerano.

Infine, seminare speranza. É un impegno che siamo chiamati ad assumerci anche in vista del Giubileo ormai vicino, che ho voluto fosse segnato dalla speranza cristiana. Nella bolla di indizione del Giubileo, ho invitato tutti a pensare dei segni di speranza a favore della pace, della vita umana, degli ammalati, dei carcerati, dei migranti, degli anziani, dei poveri. Rivolgo a tutti voi un appello forte a realizzare opere concrete di speranza. La molteplicità delle problematiche sociali prese in esame e presentate anche questa sera potrebbe scoraggiare fino al punto da dire che “non possiamo fare nulla”. Ma la speranza cristiana, invece, è sempre operosa perché è animata dalla certezza che è il Signore a guidare la storia e che in Lui possiamo costruire ciò che umanamente sembra impossibile. Sorelle, fratelli, la speranza non delude! Non delude mai. Andiamo sulla strada della speranza. In questa Città hanno operato uomini e donne che davanti ai problemi non sono rimasti a guardare e nemmeno si sono limitati a dire o a scrivere tante cose. Penso specialmente ad alcuni sacerdoti, veri uomini di speranza, come don Luigi Di Liegro; penso anche a tanti laici che si sono messi all’opera rispondendo al bisogno di gettare un seme di bene, di attivare processi nella speranza che qualcun altro si sarebbe preso cura di quel piccolo seme fino a farlo diventare un albero grande. Se oggi, ad esempio, è molto forte la spinta al volontariato è perché qualcuno ci ha creduto e ha iniziato con piccoli passi. Quel bene ha contagiato tanti altri fino a diventare stile condiviso. Oggi dobbiamo avviare nuovi processi, nuovi processi di speranza: sognare la speranza e costruire la speranza attraverso il nostro impegno, che è un impegno responsabile e solidale! Osate! Tutti voi osate nella carità, non abbiate paura di sognare imprese grandi anche se queste iniziano con impegni piccoli. Il poeta Charles Peguy afferma così, e, a questo proposito, concludo con quanto diceva sulla speranza: “La Fede è una Sposa fedele. La Carità è una Madre. La Speranza è una bambina da nulla. Eppure è questa bambina che attraverserà i mondi”. Andiamo avanti con la speranza.

Cari fratelli, care sorelle, anche noi possiamo attraversare i mondi della povertà portando la speranza del Vangelo! Grazie per tutto ciò che fate nella Chiesa e nella città di Roma. Prego per voi, perché siate testimoni audaci del Vangelo capaci di portare la lieta notizia dei poveri e la lieta notizia ai poveri, ricucire gli strappi e seminare la speranza!

E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie.

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