venerdì 27 settembre 2024

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO IN LUSSEMBURGO E BELGIO (26-29 settembre 2024) - Belgio, il Papa: le nazioni imparino dalla storia ed evitino nuove catastrofi (testi, foto e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
IN LUSSEMBURGO E BELGIO

(26-29 settembre 2024)


Venerdì, 27 settembre 2024

BRUXELLES - LEUVEN

9:15 VISITA DI CORTESIA AL RE DEI BELGI nel Castello di Laeken
9:45 INCONTRO CON IL PRIMO MINISTRO
10:00 INCONTRO CON LE AUTORITÀ E CON LA SOCIETÀ CIVILE

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Belgio, il Papa:
le nazioni imparino dalla storia ed evitino nuove catastrofi

Nel suo primo discorso nel Paese, “ponte” nell’Europa, Francesco, denuncia che “siamo vicini ad una guerra quasi mondiale” e prega perché il Vecchio continente “metta al primo posto la vita”. Dura condanna degli abusi della Chiesa sui minori


Una preghiera per “i responsabili delle Nazioni” di tutto il mondo, perché guardando al Belgio e alla sua storia, “magistra vitae troppo spesso inascoltata”, ne traggano insegnamento e sappiano “risparmiare ai loro popoli” le sciagure e i lutti delle guerre. Papa Francesco la eleva nella Grande Galerie del Castello di Laeken, residenza ufficiale del re del Belgio, a conclusione del discorso a circa 300 rappresentanti delle autorità politiche e religiose, degli imprenditori, e della società civile e della cultura. Da questo piccolo ma al tempo stesso grande Paese, che lo ha accolto nella serata di venerdì con una pioggia battente, il Papa prega “affinché i governanti sappiano assumersi la responsabilità, il rischio e l’onore della pace e sappiano allontanare l’azzardo, l’ignominia e l’assurdità della guerra”. E convertano i loro cuori, “mettendo sempre al primo posto il bene comune”. Ancora, nel Paese definito “cuore pulsante” dell’Europa e ponte tra il suo sud e nord, chiama il Vecchio continente a riprendere il cammino, investire nel futuro “aprendosi alla vita”, per “sconfiggere l’inverno demografico e l’inferno della guerra!”. Infine, parla degli abusi sui minori come di "un crimine di cui Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono, e cercare di risolvere con l’umiltà cristiana".

La prima giornata del viaggio in Belgio

La prima giornata di Francesco in Belgio, secondo Pontefice dopo san Giovanni Paolo II nel 1995 a visitare questo Paese e la capitale Bruxelles, scelta dall’Europa, al termine della Seconda Guerra mondiale, come sede delle principali istituzioni europee, era iniziata con la Messa privata in Nunziatura alle 7. Alle 9.15 il corteo papale parte per raggiungere - scortato da soldati a cavallo schierati in parata - il Castello di Laeken, residenza solitamente usata per le cerimonie ufficiali. E’ stato costruito dagli arciduchi austriaci e governatori generali dei Paesi Bassi, Maria Cristina d’Austria e Alberto di Sassonia-Teschen e completato nel 1785. Qui, poco dopo le 9.30, inizia la visita di cortesia al Re del Belgio Filippo, che accoglie con molta cordialità e scambi di sorrisi Papa Francesco all’ingresso, insieme alla regina Mathilde.

la visita di cortesia al re e alla regina del Belgio. @VaticanMedia

La visita di cortesia al re Filippo

Dopo la foto ufficiale nel Vestibule, nel Salon des arts il Papa firma del Libro d’onore, circondato dagli splendidi arazzi provenienti dalla Francia. Francesco scrive: “Con animo grato visito il Belgio, segno e ponte di pace, dove culture, lingue e popoli diversi convivono nel rispetto reciproco. Che Dio benedica il Belgio!”. Successivamente il re e il Pontefice spostano nel Bureau de Sa Majesté e infine nel Salon des princes per lo scambio di doni e la presentazione dei quattro figli della coppia reale. Al termine, l’incontro con il primo ministro Alexander De Croo. Quindi il re, la regina e il Papa, con il premier, si trasferiscono, poco dopo le 10.15, nella Grande Galerie per l’incontro con le Autorità.

Un ponte per costruire la pace e ripudiare la guerra

Papa Francesco apre il suo discorso definendo il Belgio un ponte, “tra il continente e le isole britanniche, tra l’area di matrice germanica e quella francofona, tra il sud e il nord dell’Europa”. E proprio per il suo essere “sulla linea di faglia tra mondo germanico e mondo latino, confinante con Francia e Germania, che più avevano incarnato le antitesi nazionalistiche alla base del conflitto” fu scelto dai popoli europei come sede naturale delle principali istituzioni europee, luogo ideale dove iniziare un serio cammino di pacificazione e integrazione. “Quasi una sintesi dell’Europa – spiega il Papa - da cui ripartire per la sua ricostruzione, fisica, morale e spirituale”. Un ponte, quindi, “per permettere alla concordia di espandersi e di far indietreggiare le controversie”. Dove ciascuno incontra l’altro “e sceglie la parola, il dialogo, la condivisione come mezzi per relazionarsi”.

Un luogo dove si impara a fare della propria identità non un idolo o una barriera, ma uno spazio ospitale da cui partire e a cui ritornare, dove promuovere validi interscambi e cercare insieme nuovi equilibri, costruire nuove sintesi. Un ponte che favorisce i commerci, mette in comunicazione e fa dialogare le civiltà. Un ponte dunque indispensabile per costruire la pace e ripudiare la guerra.

L'incontro con le autorità del Belgio nel Castello di Laeken

"Vicini ad una guerra quasi mondiale"

Per questo, prosegue Francesco, l’Europa ha bisogno del Belgio “per ricordare a se stessa la sua storia”, fatta di popoli e culture, di cattedrali e università, di conquiste dell’ingegno umano, ma anche da tante guerre, volute “volontà di dominio”, diventata a volte “colonialismo e sfruttamento”. Ne ha bisogno “per portare avanti il cammino di pace e di fraternità tra i popoli che la compongono”.

Questo Paese ricorda a tutti gli altri che, quando – sulla base delle più varie e insostenibili scuse – si comincia a non rispettare più confini e trattati e si lascia alle armi il diritto di creare il diritto, sovvertendo quello vigente, si scoperchia il vaso di Pandora e tutti i venti incominciano a soffiare violenti, squassando la casa e minacciando di distruggerla. Siamo vicini ad una guerra quasi mondiale.
L'Europa investa sul futuro aprendosi alla vita

La concordia e la pace, sottolinea il Pontefice, vanno coltivate con tenacia e pazienza, perché l’essere umano, “quando smette di fare memoria del passato e di lasciarsene istruire”, ha la capacità “di tornare a cadere anche dopo che si era finalmente rialzato”, dimenticando “le sofferenze e i costi spaventosi pagati dalle generazioni precedenti”. Per questo il Belgio è prezioso per la memoria dell’Europa, perché sviluppi “un’azione culturale, sociale e politica costante e tempestiva”, che escluda un futuro in cui la guerra diventi “un’opzione percorribile, con conseguenze catastrofiche”.

La storia, magistra vitae troppo spesso inascoltata, dal Belgio chiama l’Europa a riprendere il suo cammino, a ritrovare il suo vero volto, a investire nuovamente sul futuro aprendosi alla vita, alla speranza, per sconfiggere l’inverno demografico e l’inferno della guerra! E sono due calamità in questo momento. L’inferno della guerra, lo stiamo vedendo, che può trasformarsi in una guerra mondiale; e l’inverno demografico. Questo dobbiamo essere pratici: fare figli! Fare figli!

Il discorso del Papa alle autorità del Belgio. @VaticanMedia

La Chiesa in Belgio tra la carità e il dramma degli abusi

La Chiesa Cattolica, in Belgio e in Europa, ricorda Papa Francesco vuol’essere una presenza che, “testimoniando la propria fede in Cristo Risorto, offre alle persone, alle famiglie, alle società e alle Nazioni una speranza antica e sempre nuova”. E aiutare tutti ad affrontare le sfide e le prove, “con la certezza che l’essere umano, amato da Dio, ha una vocazione eterna di pace e di bene”. La Chiesa, prosegue, “annuncia una Notizia che può colmare i cuori di gioia e, con le opere di carità e le innumerevoli testimonianze di amore al prossimo, cerca di offrire segni concreti e prove dell’amore che la muove”. Ma nella concretezza del tempo, non sempre “vive il messaggio evangelico nella sua purezza e completezza”. La Chiesa, aggiunge, è santa e peccatrice.

In questa perenne coesistenza fra santità e peccato, di luce e ombra vive la Chiesa, con esiti spesso di grande generosità e splendida dedizione, e a volte purtroppo con l’emergere di dolorose contro-testimonianze. Penso alle drammatiche vicende degli abusi sui minori, una piaga che la Chiesa sta affrontando con decisione e fermezza, ascoltando e accompagnando le persone ferite e attuando in tutto il mondo un capillare programma di prevenzione.

Un crimine di cui la Chiesa deve vergognarsi

Francesco, alzando gli occhi dal discorso preparato, aggiunge che questa è "la vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono" e risolvere il problema, la vergogna degli abusi minorili.

Noi pensiamo al tempo dei santi innocenti e diciamo: “Oh che tragedia, cosa ha fatto il re Erode”, ma oggi nella stessa Chiesa c’è questo crimine e la Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono, e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana. E mettere tutte le cose, tutte le possibilità perché questo non succeda più. Qualcuno mi dice: “Ma santità, pensi che secondo le statistiche la grande maggioranza degli abusi si da in famiglia o nel quartiere o al mondo dello sport, nella scuola”, se uno solo è sufficiente per vergognarsi. Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo, che gli altri chiedano perdono dalla loro parte. Questa è la nostra vergogna e la nostra umiliazione.

Il drammatico fenomeno delle "adozioni forzate"

Il Papa sottolinea anche di essere rattristato dal fenomeno delle “adozioni forzate”, avvenute anche in Belgio tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso. Spinose storie frutto “di una mentalità diffusa in tutti gli strati della società”. Spesso la famiglia e anche la Chiesa, spiega, “hanno pensato che per togliere lo stigma negativo, che purtroppo a quei tempi colpiva la madre non sposata, fosse preferibile per il bene di entrambi, madre e bambino, che quest’ultimo venisse adottato”. E in alcuni “ad alcune donne non venne data la possibilità di scegliere se tenere il bambino o darlo in adozione”.

Il discorso del Papa alle autorità del Belgio. @VaticanMedia

"Prego perchè i governi si assumano la responsabilità della pace"

Per questo Francesco prega il Signore, “affinché la Chiesa trovi sempre in sé la forza per fare chiarezza e per non uniformarsi alla cultura dominante”, anche quando questa utilizzasse, manipolandoli, valori che derivano dal Vangelo, per trarne però indebite conclusioni, con il loro pesante esito di sofferenze e di esclusione. Prega anche “affinché i responsabili delle Nazioni, guardando al Belgio e alla sua storia, sappiano trarne insegnamento e in questo modo risparmiare ai loro popoli sciagure senza fine e lutti senza numero”.

Prego affinché i governanti sappiano assumersi la responsabilità, il rischio e l’onore della pace e sappiano allontanare l’azzardo, l’ignominia e l’assurdità della guerra. Prego affinché temano il giudizio della coscienza, della storia e di Dio, e convertano lo sguardo e i cuori, mettendo sempre al primo posto il bene comune. In questo momento nel quale l’economia si è sviluppata tanto, vorrei sottolineare che in qualche Paese gli investimenti che danno più redditi sono le fabbriche delle armi.

Il motto: in cammino con speranza

Il Pontefice conclude ricordando il motto della visita in Belgio, “En route, avec Espérance”, in cammino con speranza. E riflette sul fatto che Espérance “sia scritto con la maiuscola”: perché “la speranza è un dono di Dio, e si porta nel cuore!”. Lascia così un augurio a tutti gli uomini e le donne che vivono in Belgio: “possiate sempre chiedere e accogliere questo dono dallo Spirito Santo, per camminare insieme con Speranza nella strada della vita e della storia”.

Il re Filippo: l’impegno del Papa contro ogni forma di ingiustizia

Il primo a salutare il Pontefice era stato il re Filippo, che ha ricordato l’impegno del Papa contro ogni forma d’ingiustizia, a difesa dei popoli più poveri e più colpiti dai cambiamenti climatici e dalle guerre dimenticate. Ha parlato dei suoi sforzi per la pace e contro il rischio di una “terza guerra mondiale a pezzi” e sottolineato l’impegno del Pontefice per la nostra "casa comune", per lo sviluppo integrale e per il dialogo tra culture e fedi. Da parte sua, il primo ministro De Croo ha ricordato gli sforzi del Belgio nel sostenere il popolo ucraino “e promuovere la sua ricerca di pace e di sicurezza”. Sul conflitto in Medio Oriente. ha evidenziato che la via d’uscita passa “dalla liberazione degli ostaggi e dal ritorno, per la popolazione di Gaza, a delle condizioni di vita dignitosa”. Ha raccontato poi di un Paese “cambiato radicalmente dalla visita” di san Giovanni Paolo II del 1995, nel quale “varie comunità religiose vivono pacificamente insieme, l'uno accanto all'altro nella nostra società secolarizzata”.
(fonte: Vatican News, articolo di  Alessandro Di Bussolo 27/09/2024)

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INCONTRO CON LE AUTORITÀ E CON LA SOCIETÀ CIVILE

DISCORSO DEL SANTO PADRE

Castello di Laeken (Bruxelles)

Vostre Maestà,
Signor Primo Ministro,
fratelli Vescovi,
distinte Autorità,
Signore e Signori!

Ringrazio Vostra Maestà per la cordiale accoglienza e per il cortese indirizzo di saluto. Sono molto lieto di visitare il Belgio. Quando si pensa a questo Paese, si evoca contemporaneamente qualcosa di piccolo e di grande, un Paese occidentale e al tempo stesso centrale, come se fosse il cuore pulsante di un gigantesco organismo.

In effetti, le proporzioni e l’ordine delle grandezze ingannano. Il Belgio non è uno Stato molto esteso, ma la sua peculiare storia ha fatto sì che, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, i popoli europei, stanchi e sfiniti, iniziando un serio cammino di pacificazione, collaborazione e integrazione, hanno guardato al Belgio come sede naturale delle principali istituzioni europee. Per il fatto di essere sulla linea di faglia tra mondo germanico e mondo latino, confinante con Francia e Germania, che più avevano incarnato le antitesi nazionalistiche alla base del conflitto, esso apparve come luogo ideale, quasi una sintesi dell’Europa, da cui ripartire per la sua ricostruzione, fisica, morale e spirituale.

Si direbbe che il Belgio sia un ponte: tra il continente e le isole britanniche, tra l’area di matrice germanica e quella francofona, tra il sud e il nord dell’Europa. Un ponte, per permettere alla concordia di espandersi e di far indietreggiare le controversie. Un ponte dove ciascuno, con la sua lingua, la sua mentalità e le sue convinzioni, incontra l’altro e sceglie la parola, il dialogo, la condivisione come mezzi per relazionarsi. Un luogo dove si impara a fare della propria identità non un idolo o una barriera, ma uno spazio ospitale da cui partire e a cui ritornare, dove promuovere validi interscambi e cercare insieme nuovi equilibri, costruire nuove sintesi. Il Belgio è un ponte che favorisce i commerci, mette in comunicazione e fa dialogare le civiltà. Un ponte dunque indispensabile per costruire la pace e ripudiare la guerra.

Si comprende bene allora quanto sia grande il piccolo Belgio! Si capisce come l’Europa ne abbia bisogno per ricordare a se stessa la sua storia, fatta di popoli e culture, di cattedrali e università, di conquiste dell’ingegno umano, ma anche da tante guerre e da una volontà di dominio che è diventata a volte colonialismo e sfruttamento.

L’Europa ha bisogno del Belgio per portare avanti il cammino di pace e di fraternità tra i popoli che la compongono. Questo Paese ricorda a tutti gli altri che, quando – sulla base delle più varie e insostenibili scuse – si comincia a non rispettare più confini e trattati e si lascia alle armi il diritto di creare il diritto, sovvertendo quello vigente, si scoperchia il vaso di Pandora e tutti i venti incominciano a soffiare violenti, squassando la casa e minacciando di distruggerla. In questo momento storico credo che il Belgio ha un ruolo molto importante. Siamo vicini a una guerra quasi mondiale.

La concordia e la pace, infatti, non sono una conquista che si ottiene una volta per tutte, bensì un compito e una missione - la concordia e la pace sono un compito e una missione -, una missione incessante da coltivare, da curare con tenacia e pazienza. L’essere umano, infatti, quando smette di fare memoria del passato e di lasciarsene istruire, possiede la sconcertante capacità di tornare a cadere anche dopo che si era finalmente rialzato, dimenticando le sofferenze e i costi spaventosi pagati dalle generazioni precedenti. In questo la memoria non funziona, è curioso, sono altre forze, sia nella società sia nelle persone, che ci fanno cadere sempre nelle stesse cose.

In questo senso il Belgio è quanto mai prezioso per la memoria del continente europeo. Essa infatti mette a disposizione argomenti inoppugnabili per sviluppare un’azione culturale, sociale e politica costante e tempestiva, coraggiosa e insieme prudente, che escluda un futuro in cui nuovamente l’idea e la prassi della guerra diventino un’opzione percorribile, con conseguenze catastrofiche.

La storia, magistra vitae troppo spesso inascoltata, dal Belgio chiama l’Europa a riprendere il suo cammino, a ritrovare il suo vero volto, a investire nuovamente sul futuro aprendosi alla vita, alla speranza, per sconfiggere l’inverno demografico e l’inferno della guerra! Sono due calamità in questo momento. L’inferno della guerra, lo stiamo vedendo, che può trasformarsi in una guerra mondiale. E l’inverno demografico; per questo dobbiamo essere pratici: fare figli, fare figli!

La Chiesa Cattolica vuol’essere una presenza che, testimoniando la propria fede in Cristo Risorto, offre alle persone, alle famiglie, alle società e alle Nazioni una speranza antica e sempre nuova; una presenza che aiuta tutti ad affrontare le sfide e le prove, senza facili entusiasmi né cupi pessimismi, ma con la certezza che l’essere umano, amato da Dio, ha una vocazione eterna di pace e di bene e non è destinato alla dissoluzione e al nulla.

Tenendo fisso lo sguardo a Gesù, la Chiesa si riconosce sempre come la discepola, che con timore e tremore segue il suo Maestro, sapendo di essere santa in quanto costituita da Lui e al tempo stesso fragile – santa e peccatrice – e mancante nei suoi membri, mai completamente adeguata al compito affidatole che sempre la supera.

Essa annuncia una Notizia che può colmare i cuori di gioia e, con le opere di carità e le innumerevoli testimonianze di amore al prossimo, cerca di offrire segni concreti e prove dell’amore che la muove. Essa, tuttavia, vive nella concretezza delle culture e delle mentalità di una determinata epoca, che contribuisce a plasmare o che in qualche modo a volte subisce; e non sempre comprende e vive il messaggio evangelico nella sua purezza e completezza. La Chiesa è santa e peccatrice.

In questa perenne coesistenza fra santità e peccato, di luce e ombra vive la Chiesa, con esiti spesso di grande generosità e splendida dedizione, e a volte purtroppo con l’emergere di dolorose contro-testimonianze. Penso alle drammatiche vicende degli abusi sui minori – alle quali si sono riferiti il Re e il Primo Ministro –, una piaga che la Chiesa sta affrontando con decisione e fermezza, ascoltando e accompagnando le persone ferite e attuando in tutto il mondo un capillare programma di prevenzione.

Fratelli e sorelle, questa è la vergogna! La vergogna che oggi tutti noi dobbiamo prendere in mano e chiedere perdono e risolvere il problema: la vergogna degli abusi, degli abusi sui minori. Noi pensiamo al tempo dei santi Innocenti e diciamo: “Oh che tragedia, cosa ha fatto il re Erode!”, ma oggi nella Chiesa c’è questo crimine; la Chiesa deve vergognarsi e chiedere perdono e cercare di risolvere questa situazione con l’umiltà cristiana. E mettere tutte le condizioni perché questo non succeda più. Qualcuno mi dice: “Santità, pensi che secondo le statistiche la grande maggioranza degli abusi si da in famiglia o nel quartiere o al mondo dello sport, nella scuola”. Uno solo è sufficiente per vergognarsi! Nella Chiesa dobbiamo chiedere perdono di questo; gli altri chiedano perdono per la loro parte. Questa è la nostra vergogna e la nostra umiliazione.

Sono stato rattristato – a questo proposito – da un altro fenomeno: le “adozioni forzate”, avvenute anche qui in Belgio tra gli anni ’50 e ’70 del secolo scorso. In quelle spinose storie si mescolò l’amaro frutto di un reato e di un crimine con ciò che era purtroppo l’esito di una mentalità diffusa in tutti gli strati della società, tanto che quanti agivano in base ad essa ritenevano in coscienza di compiere il bene, sia del bambino sia della madre. Spesso la famiglia e altri attori sociali, compresa la Chiesa, hanno pensato che per togliere lo stigma negativo, che purtroppo a quei tempi colpiva la madre non sposata, fosse preferibile per il bene di entrambi, madre e bambino, che quest’ultimo venisse adottato. Ci furono persino casi nei quali ad alcune donne non venne data la possibilità di scegliere se tenere il bambino o darlo in adozione. E questo succede oggi in alcune culture, in qualche Paese.

Come successore dell’Apostolo Pietro prego il Signore, affinché la Chiesa trovi sempre in sé la forza per fare chiarezza e per non uniformarsi alla cultura dominante, anche quando tale cultura utilizzasse – manipolandoli – valori che derivano dal Vangelo, per trarne però indebite conclusioni, con il loro pesante esito di sofferenze e di esclusione.

Prego affinché i responsabili delle Nazioni, guardando al Belgio e alla sua storia, sappiano trarne insegnamento e in questo modo risparmiare ai loro popoli sciagure senza fine e lutti senza numero. Prego affinché i governanti sappiano assumersi la responsabilità, il rischio e l’onore della pace e sappiano allontanare l’azzardo, l’ignominia e l’assurdità della guerra. Prego affinché temano il giudizio della coscienza, della storia e di Dio, e convertano lo sguardo e i cuori, mettendo sempre al primo posto il bene comune. In questo momento nel quale l’economia si è sviluppata tanto, vorrei sottolineare che in qualche Paese gli investimenti che danno più redditi sono le fabbriche delle armi.

Maestà, Signore e Signori, il motto di questa visita nel vostro Paese è “En route, avec Espérance”. Mi fa riflettere il fatto che Espérance sia scritto con la maiuscola: mi dice che la speranza non è una cosa, che durante il cammino si porta nello zaino; no, la speranza è un dono di Dio, forse è la virtù più umile – diceva lo scrittore – ma è quella che non fallisce mai, non delude mai. La speranza è un dono di Dio e si porta nel cuore! E allora voglio lasciare questo augurio a voi e a tutti gli uomini e le donne che vivono in Belgio: possiate sempre chiedere e accogliere questo dono dallo Spirito Santo, la speranza, per camminare insieme con Speranza nella strada della vita e della storia. Grazie!

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