Andrea Tornielli
L’indimenticabile viaggio del Papa
missionario ai confini del mondo
Al termine del viaggio del Papa in Asia e Oceania — il più lungo del pontificato — ci sono alcune immagini destinate a rimanere nella mente e nel cuore.
La prima è quella del “tunnel della fraternità” che Francesco ha benedetto accanto al grande Imam di Jakarta: in un tempo in cui i tunnel sono associati a immagini di guerra, terrorismo, violenza e morte, questo sottopasso che collega la grande moschea alla cattedrale cattolica è un segno e un seme di speranza. I gesti di amicizia e di affetto che il Vescovo di Roma e l’Imam si sono scambiati hanno colpito molti nel più grande Paese musulmano del mondo.
La seconda immagine è quella di Francesco che si imbarca sul C130 dell’aeronautica militare australiana per andare a Vanimo, nel nord ovest della Papua Nuova Guinea e far visita a tre missionari di origine argentina e alla loro gente portando con sé una tonnellata di aiuti e di regali. Il Papa che da giovane aveva sognato di fare il missionario in Giappone, aveva tanto desiderato questa trasferta nella periferia più periferica del mondo, dove è stato stretto dall’abbraccio di uomini e donne nei loro costumi coloratissimi. Essere missionari significa innanzitutto condividere la vita, i tanti problemi e le speranze di questo popolo che vive nella precarietà immerso in una natura prorompente. Significa testimoniare il volto di un Dio che è tenerezza e compassione.
La terza immagine è quella del presidente della Repubblica José Manuel Ramos-Horta, che al termine dei discorsi ufficiali nel palazzo presidenziale di Díli, a Timor Leste, si è chinato per aiutare il Papa a sistemare i piedi nelle pedane della sedia a rotelle. Nel Paese più cattolico del mondo, la fede è un elemento fortemente identitario e il ruolo della Chiesa è stato decisivo per il processo che ha portato all’indipendenza dall’Indonesia.
La quarta immagine è quella commovente dell’abbraccio del Papa ai bambini disabili accuditi dalle suore della scuola Irmãs Alma: gesti, sguardi, poche parole profondamente evangeliche per ricordare che questi bambini bisognosi di tutto lasciandosi accudire insegnano a noi a lasciarci accudire da Dio. La domanda sul perché i piccoli soffrano è una lama che ferisce, una piaga che non si rimargina. La risposta di Francesco è stata la vicinanza e l’abbraccio.
La quinta immagine è quella del popolo di Timor Leste che per ore e ore ha atteso sotto il sole cocente il Papa nella spianata di Taci Tolu. Erano presenti più di 600 mila persone, in pratica un timorese su due. Francesco è rimasto colpito da questa accoglienza e da questo calore, in un Paese che dopo aver conquistato a fatica la propria indipendenza dall’Indonesia sta lentamente costruendo il proprio futuro. Il 65 per cento della popolazione ha meno di 30 anni, e le strade percorse dall’auto papale erano straripanti di giovani uomini e donne con i loro bambini piccolissimi. Una speranza per la Chiesa. Una speranza per il mondo.
La sesta immagine è quella della skyline di Singapore, l’isola-Stato dai grattacieli altissimi e modernissimi. Un Paese sviluppato e ricco. Impossibile non pensare al contrasto con le strade polverose di Díli che il Papa aveva lasciato poche ore prima. Anche qui, dove il benessere è un’evidenza in ogni angolo, dove la vita è organizzata e i trasporti velocissimi, Francesco ha abbracciato tutti e ha indicato la via dell’amore, dell’armonia e della fratellanza.
Infine, l’ultima immagine, è quella del Papa stesso. C’era chi dubitava che avrebbe retto bene alla fatica di un viaggio così lungo, in Paesi dal clima tropicale. Al contrario è stato un crescendo: invece di stancarsi giorno dopo giorno, macinando chilometri, trasferte e voli, ha recuperato energia. Ha incontrato i giovani dei vari Paesi abbandonando il testo scritto e dialogando con loro, ritemprandosi nello spirito ma anche nel corpo. Giovane tra i giovani, nonostante gli ormai prossimi 88 anni, che compirà alla vigilia del Giubileo.
(fonte: L'Osservatore Romano 13/09/2024)
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