giovedì 1 agosto 2024

La rilevanza sociale e politica dell’amore nell’insegnamento di papa Francesco

La rilevanza sociale e politica dell’amore nell’insegnamento di papa Francesco


Un primo risultato della Settimana sociale dei cattolici è stato quello di farci riprendere in mano le encicliche sociali di Papa Franceso per leggerle con sguardo rinnovato

La recente Settimana Sociale dei cattolici in Italia ha riaperto il grande tema della partecipazione politica da parte dei credenti. Infatti quella di Trieste è stata un’occasione per rilanciare l’opportunità di prendersi cura delle nostre comunità anche attraverso il mezzo dell’iniziativa politica volta alla generazione di nuove prassi di inclusione e di luoghi di vita. Penso che l’evento della Chiesa italiana appena conclusosi sia un’occasione per rileggere le encicliche sociali Laudato si’ e Fratelli tutti nelle quali papa Francesco propone la necessità di un impegno dei credenti a partire della consapevolezza che nulla – per quello che concerne l’uomo e l’ambiente – ci risulta indifferente. A partire da ciò Bergoglio è consapevole tanto della responsabilità umana della crisi in atto quanto dell’urgenza di un nuovo paradigma fondato sull’amore sociale e politico destinato a mutare il pensiero e l’azione degli uomini della nostra epoca.

La cura dell’uomo e la tutela dell’ambiente riguardano tutti. Soltanto il dialogo all’interno della società plurale può permettere di superare le difficoltà e di progettare il bene comune. Questo tema non interessa soltanto i credenti o coloro che ricoprono responsabilità pubblico-politiche bensì tutti i membri della comunità. Così, a parere del vescovo di Roma, la sfida di proteggere la nostra casa comune include la «preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare» (Laudato si’, 13).

San Francesco, il “poverello di Assisi”, definiva la terra come una sorella la quale oggi protesta per il male che l’umanità continua a provocarle. L’uomo è divenuto un conquistatore e un devastatore del creato che oggi grida al fianco dei poveri e degli oppressi. Difatti con un atteggiamento predatorio abbiamo dimenticato finanche che noi stessi facciamo parte del creato dal momento che «la sua aria è quella che ci dà respiro e la sua acqua ci vivifica e ci ristora» (Laudato si’, 2). Per superare tale situazione urge un cambiamento radicale nel pensiero e nella condotta umana cioè occorre puntare ad una forma di sviluppo che abbia una dimensione morale perché il vero progresso si misura soltanto nella capacità di cura dell’uomo e dell’ambiente.

Per Francesco ripensare allo sviluppo significa considerare l’intima relazione fra i popoli oppressi e la devastazione ambientale ma anche avviare dibattiti schietti e onesti sui problemi, assumersi le responsabilità politiche a partire dal livello locale e generare un nuovo stile di vita nelle istituzioni che rappresentano gli uomini e le donne del nostro tempo. In quest’opera di ripensamento del progresso, le religioni sono chiamate a dare un contributo al dibattito politico, culturale e sociale perché «a partire dal riconoscimento del valore di ogni persona umana come creatura […] offrono un prezioso apporto per la costruzione della fraternità e per la difesa della giustizia sociale» (Fratelli tutti, 271). La rilevanza pubblica delle religioni non coincide con la sacralizzazione della politica piuttosto si tratta di un contributo importante all’interno del circuito democratico volto a includere, ad aprire, a coinvolgere, a rendere attive e protagoniste tutte le sue componenti. Da questo punto di vista anche la Chiesa cattolica, nel pieno rispetto del concetto di autonomia delle realtà terrestri sancito dal Concilio Vaticano II, offre il suo apporto alla società e alla politica sia attraverso la sua compagine istituzionale e caritativa sia tramite i singoli laici credenti. Questi, nell’assumersi la responsabilità a titolo personale, optano per le opzioni politiche ed economiche che ritengono maggiormente opportune purché orientate al bene comune.

È evidente a tutti che alla radice dei mali dell’umanità non vi sono oscure forze malefiche o poteri occulti ma la responsabilità umana. Negli ultimi due secoli abbiamo raggiunto vette di sviluppo prima non immaginabile. Ciò ha concesso all’uomo un grande potere che non sempre, come testimoniano i conflitti in atto, usa a favore della promozione del bene integrale. Uno sviluppo senza valori non coincide con un miglioramento delle condizioni giacché questo è legato ad un’etica solida destinata a guidare i frutti dell’intelligenza umana. Secondo Bergoglio, in questo contesto la vita diventa spesso «un abbandonarsi alle circostanze condizionate dalla tecnica, intesa come la principale risorsa per interpretare l’esistenza. Nella realtà concreta che ci interpella, appaiono diversi sintomi che mostrano l’errore, come il degrado ambientale, l’ansia, la perdita del senso della vita e del vivere insieme» (Laudato si’, 110). La soluzione a queste problematiche non risiede nel ritorno ad una vita preindustriale e premoderna ma urge riflettere su quel processo che conduce ad un reale sviluppo poiché non può esserci una rinnovata cura dell’ambiente senza una nuova concezione antropologica fondata su di una relazione equilibrata con il creato. Agli esiti nefasti del predominio della tecnica dobbiamo aggiungere alcuni segnali che ci provengono dalla quotidianità: il ritorno dei nazionalismi, la guerra globale a pezzi, le chiusure fra i popoli e le nazioni, l’innalzamento dei muri, la perdita del senso della storia. Inoltre, senza coscienza storica, alcuni valori fondamentali per le nostre comunità come la libertà, la democrazia, la giustizia e l’unità rischiano di perdere valore e di dissolversi in discorsi e pratiche illiberali e inique.

Ora, a parere di papa Francesco, l’amore civile e politico si costruisce a partire da un’idea di bene comune il quale presuppone «il rispetto della persona umana in quanto tale e […] si trasforma immediatamente, come logica e ineludibile conseguenza, in un appello alla solidarietà e in una opzione preferenziale per i più poveri» (Laudato si’, 157-158). In concreto questo pensiero è destinato a tradursi in scelte politiche che le istituzioni devono pianificare, coordinare e vigilare. All’interno di simile processo l’istanza locale può fare la differenza. È lì infatti che «possono nascere una maggiore responsabilità, un forte senso comunitario, una speciale capacità di cura e una creatività più generosa, un profondo amore per la propria terra, come pure il pensare a quello che si lascia ai figli e ai nipoti» (Laudato si’, 179). Si tratta di una vera e propria responsabilità comune – verso gli uni, gli altri e l’ambiente – che si traduce in gesti di cura reciproca, di amore sociale e politico il quale «si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore» (Laudato si’, 231).

A partire da questa consapevolezza, Bergoglio solleva l’urgenza di una “migliore politica” radicata sull’amore sociale e civico e, pertanto, in grado di tendere al bene comune. Questa politica ha bisogno di leader capaci di ascoltare le istanze dei cittadini per poi riformularle in mediazione e progettazione. Allora quella che tratteggia il vescovo di Roma è una politica popolare e non populista finalizzata a includere la partecipazione sociale, le periferie, gli esclusi e i giovani. In tal senso abbiamo bisogno di una politica che pensi con «una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi» (Fratelli tutti, 177). Insomma l’appello di Francesco è volto a superare tutto ciò che limita il riconoscimento dei diritti umani e della tutela ambientale attraverso la cura delle fragilità, la critica al modello funzionalista e tecnicista, la lotta alla cultura dello scarto, la presenza nei territori e la condivisione dei problemi sociali. Di conseguenza ne deriva che la maggiore preoccupazione per chi fa politica non potrà più riguardare le percentuali guadagnate o perse nei sondaggi o le inchieste della magistratura bensì il progettare una politica che tenda al bene comune. In tal modo la politica potrà distanziarsi dal marketing e dall’apparire per connettersi alla vita dei popoli e perciò alle loro speranze e ai loro bisogni.

Da quanto affermato possiamo sostenere che la buona politica sia quella capace di farsi carico dei bisogni dei cittadini e della cura dell’ambiente. Quindi siamo invitati a sgomberare il campo dalle strumentalizzazioni e dalle demagogie tramite un pensiero critico e un agire consapevole volto a “iniziare processi più che a possedere spazi”. Nell’odierna crisi della democrazia, la rilevanza sociale e politica dell’amore può declinarsi nel risvegliare la partecipazione politica, nell’alimentare una forte critica verso ogni esautoramento delle assemblee elettive (dal parlamento ai consigli comunali), nel ristabilire un legame fra i valori della nostra costituzione e la pratica democratica in atto poiché alla crisi della democrazia si risponde con maggiore democrazia. Ciò dovrà sostenersi anche attraverso il ripensamento dell’identità e dell’esercizio del potere che – invece di autotutelarsi – è invitato a promuovere la partecipazione. In questa visione, per il magistero bergogliano, la politica diviene un mezzo fondamentale per vivere l’amore «È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica» (Fratelli tutti, 186).
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Rocco Gumina 25/07/2024)