SULLA SOGLIA DELLA VITA
È Dio che bussa alla porta dell’umano,
e la porta dell’umano è il cuore.
E se io non apro, “lui alla porta mi lascia un fiore”
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Matteo 28,16-20
SULLA SOGLIA DELLA VITA
È Dio che bussa alla porta dell’umano, e la porta dell’umano è il cuore. E se io non apro, “lui alla porta mi lascia un fiore”.
Ci sono andati tutti all’appuntamento sul monte di Galilea. Tutti, anche quelli che dubitavano ancora, tutta la comunità ferita che ha conosciuto il tradimento, la fuga e perfino il suicidio di uno di loro...
Ma il maestro non li molla, e compie uno dei suoi gesti più tipici: si avvicinò. Si fa più vicino...
Sono 40 giorni che parla del Regno e loro ancora non capiscono, eppure Gesù non si stanca di avvicinarsi e spiegare.
È Dio che bussa alla porta dell’umano, e la porta dell’umano è il cuore. E se io non apro, “lui alla porta mi lascia un fiore” (Turoldo). So che tornerà, perché non dubita di me. Loro sì, dubitano, anche di se stessi. Ma i dubbi non hanno mai raffreddato il cuore di Dio.
L’ultima, la suprema pedagogia di Gesù è così semplice: “avvicinarsi sempre, confortare e incalzare”, sussurrare al cuore, e soprattutto stare insieme a loro: io sono con voi, tutti i giorni, anche davanti alle porte chiuse, quando ti ingoia la notte e quando ti pare di volare.
E poi l’invio: andate in tutto il mondo e annunciate.
Affida la fede e la parola di vita a discepoli che hanno un peso sul cuore, eppure: andate e battezzate, immergete ogni vita nell’oceano di vita.
Fatelo “nel nome del Padre”: amore in ogni amore; “nel nome del Figlio”: il più bello tra i nati di donna; “nel nome dello Spirito”: vento che ci fa tutti vento nel suo Vento.
I nomi che Gesù sceglie per dire la Trinità sono nomi di famiglia, di affetto, nomi che abbracciano. Perché Dio non è solitudine ma abbraccio, attrazione, incontro, connessione.
Come tutti i dogmi, anche quello della Trinità non è un freddo distillato di concetti, ma contiene la sapienza del vivere, la sapienza ultima sulla vita e sulla morte. Ed è questa: in principio a tutto, nell’infinito del cosmo e nel minimo del cuore, in cielo come sulla terra, sta una comunione; all’origine, un legame.
La Trinità è Dio che genera e presiede a ogni nascita. Infatti l’essere umano non è creato solo a immagine del Padre, ma anche a immagine del Figlio, volto alto e puro dell’uomo; e a immagine dello Spirito, respiro al primo Adamo.
Non siamo semplicemente a somiglianza di Dio, ma di più, a immagine e somiglianza della Trinità, sapienza del vivere e del generare.
Allora posso finalmente capire perché sto bene quando sono con chi mi vuole bene; posso capire perché sto male quando sono isolato e senza legami: è la mia natura profonda che si esprime, è la nostra divina origine che reclama e domanda di respirare, di ritornare intera, nell’abbraccio: “ci si abbraccia per ritornare interi” (A. Merini).
Io sono con voi fino alla fine. Non dimentichiamo mai questa frase, non lasciamola avvizzire. Sarò con voi, senza condizioni e senza clausole, dentro le solitudini e dentro l’amore, nel dolore e nella felicità, a fare storia nella vostra storia. Per questo il vangelo è affidato a undici pescatori illetterati, che non hanno capito molto di Gesù, ma lo hanno molto amato. Piccoli su quel monte, ma abbracciati, dentro un calore, un respiro, un vento in cui naviga, senza più ansia alcuna, l’intero creato.