martedì 21 maggio 2024

L'odio in rete... solo una sparuta minoranza ma da non sottovalutare perché fa rumore e danno - Walter Veltroni: Olio di ricino digitale



L'odio in rete...
solo una sparuta minoranza ma da non sottovalutare
perché fa rumore e danno.

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Il Presidente della Repubblica entra su Instagram per commentare il video della bambina di Sala Consilina, affetta da un tumore e costretta a cure continue


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Walter Veltroni
Olio di ricino digitale

Il caso della bimba malata di tumore derisa da pochi hater. Ma è il momento di porsi delle domande

Asia, una bambina di 14 anni malata di tumore al rene, ha ricevuto un messaggio dal capo dello Stato che, in un tempo civile, non avrebbe mai dovuto raggiungerla. Sergio Mattarella ha voluto, con la sensibilità che gli è propria, scriverle allo scopo di consolarla per gli attacchi ricevuti sui social. «’Sta pelata», «Non ti odio ma lo sai che le persone sono tue amiche solo per il cancro di Wilms o cosa hai?», «Spero che ci rimani, in ospedale» e via dicendo.
Abbiamo visto recentemente video di persone che, di fronte al ferito di un incidente stradale, facevano selfie. O abbiamo letto degli insulti in rete a Liliana Segre.

Va detta una cosa, come avvertenza. Come al solito rischiamo di vedere la paglia e non la trave. La paglia sono le poche centinaia di persone che diffondono odio a piene mani, che sfogano la loro frustrazione insultando e augurando il male, che si accaniscono contro chi muore. Ci sono sempre stati. Qualcuno ricorderà, era nel millennio scorso, quando Radio Radicale lasciò aperta la sua segreteria telefonica e giunsero lì valanghe di improperi, insulti, minacce.

È paglia perché sono pochi e non dobbiamo, davvero non dobbiamo, pensare che rappresentino la maggioranza degli italiani. La loro violenza e rumorosità, la loro sfrontatezza li rende appetibili anche per i media tradizionali e così il loro pensiero, fatto di puro gergo dell’odio, si trasforma da periferico in centrale, quasi un nuovo «spirito del tempo» che si autoalimenta del proprio livore e viene legittimato come pensiero dominante. Sono minoranze, assolute minoranze, e non c’è nulla di più pericoloso, in una democrazia, che trasformare, poco importa che lo faccia la politica o la comunicazione, un linguaggio di odio praticato da pochi nel presunto pensiero generale di un Paese. La dittatura delle minoranze si afferma così e quella a cui stiamo assistendo è l’era dell’egemonia del linguaggio estremo, con la sua permanente visibilità, che schiaccia la cultura del dialogo e della complessità, la pacatezza e il riferimento a valori che hanno direttamente a che fare con il senso di umanità.

Sono pochi, i leoni da tastiera, nascosti dietro nomignoli ridicoli e un anonimato da furfanti, insultano le bambine malate o le donne che sono state nei campi di sterminio. Pochi, non dimentichiamolo e teniamoli dove devono essere, nel discorso pubblico. Speso non esistono neanche, sono indirizzi fasulli a quali non corrispondono non dico un cervello, ma neanche una carta d’identità. Pochi, ma possono far male. Per questo Mattarella ha fatto benissimo a intervenire. Se sono, o dovrebbero essere, considerati insignificanti come campione del pensiero diffuso, gli hater possono distruggere vite umane. E chi finisce sotto il loro olio di ricino digitale è completamente solo.

È possibile che chi ha scritto quelle cose a una ragazzina malata possa continuare a usare uno strumento di comunicazione, non debba essere almeno bandito da ogni social? Qui non c’entra, ovviamente, la libertà di opinione. Qui siamo alla violenza pura. L’obiettivo non è dire il proprio pensiero, è far male a un essere umano, meglio se fragile. Cosa faremmo se uno squinternato entrasse in un ospedale, nel reparto di oncologia pediatrica e cominciasse a insultare i piccoli malati? Invece sui social lo si può fare erga omnes, senza che nessuno chieda conto. La carta d’identità forse, più che a un loggionista della Scala, andrebbe domandata a chi tenta di avvelenare la vita di chi soffre.

E qui è la trave. È giunto il momento di porsi una domanda, culturale prima che altro. Dopo quasi venti anni dalla comparsa dello smartphone e dell’irruzione dei social, il mondo è migliorato? Non parlo della rete, la cui valenza positiva è evidente, parlo dei social. La domanda è: siamo più accoglienti, più tolleranti, più aperti al dialogo, più informati, più colti? O anche, per usare la beffarda parola chiave di questo mondo, siamo forse più «amici»?
Claudio Mencacci, psichiatra e co-presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia ha detto ieri sulle pagine dell’inserto Salute: «Oggi sappiamo anche che provocano alterazioni di molti processi di sviluppo dei bambini e degli adolescenti. Negli ultimi 10/12 anni, con l’introduzione degli smartphone nelle nostre vite, abbiamo visto crescere i problemi di salute mentale nei più giovani, con un aumento significativo di isolamento sociale e di frustrazione causato dalla iperstimolazione digitale, così come sono in crescita impressionante i disturbi psicopatologici sia nell’età scolare che preadolescenziale (colpiscono il 14% del target), fino a quella adolescenziale (che riguarda il 16-20% dei casi). …Solo le relazioni reali, non quelle virtuali, permettono di crescere e costruire un sé positivo ed equilibrato…. La sofferenza psichica dei ragazzi è insostenibile e non va mai sottovalutata».
Non sottovalutiamola, parliamone.
Se possibile, senza urlare.
(fonte: Corriere della sera 19/05/2024)