Scandalosamente lento l’iter per la beatificazione
di Don Peppe Diana, martire per il suo popolo
Ricorre oggi (19 marzo) il 30esimo anniversario dell’assassinio di don Diana. A 21 anni esatti dal delitto, nel 2015, la diocesi di Aversa ha chiesto ufficialmente alla Santa Sede di poter aprire il processo per la beatificazione di don Peppino Diana, che in segno di disprezzo fu ucciso proprio il giorno del suo onomastico, il 19 marzo 1994. Ma la Congregazione delle cause dei santi non ha ancora concesso il nulla osta.
“Parroco di un paese campano, in prima linea contro il racket e lo sfruttamento degli extracomunitari, pur consapevole di esporsi a rischi mortali, non esitava a schierarsi nella lotta alla camorra, cadendo vittima di un proditorio agguato mentre si accingeva ad officiare la messa. Nobile esempio dei più alti ideali di giustizia e di solidarietà umana”, recita la motivazione della medaglia d’oro al valor civile concessa alla memoria di don Diana dalla Repubblica Italiana il 19 ottobre 1994. E all’Angelus del 20 marzo, il giorno dopo l’omicidio Papa Giovanni Paolo II aveva detto: “Sento il bisogno di esprimere ancora una volta il vivo dolore in me suscitato dalla notizia dell’uccisione di don Giuseppe Diana, parroco della diocesi di Aversa, colpito da spietati assassini mentre si preparava a celebrare la santa messa. Nel deplorare questo nuovo efferato crimine, vi invito a unirvi a me nella preghiera di suffragio per l’anima del generoso sacerdote, impegnato nel servizio pastorale alla sua gente. Voglia il Signore far sì che il sacrificio di questo suo ministro, evangelico chicco di grano caduto nella terra, produca frutti di piena conversione, di operosa concordia, di solidarietà e di pace”. Parole che purtroppo non bastarono a mettere a tacere le calunnie su don Diana riguardanti presunte relazioni sentimentali, del tutto inventate e pretestuose ma che evidentemente hanno inciso anche nella Chiesa, tanto che sono serviti due decenni perché la diocesi di Aversa chiedesse al Vaticano di poter iniziare l’iter della beatificazione, autorizzazione che ancora tarda ad arrivare.
Gli assassini non si erano accontentati infatti di freddarlo, vollero pure scempiarne il corpo con ulteriori colpi di pistola al basso ventre per indicare falsamente un movente sessuale e così tentare di impedire che divenisse il simbolo del riscatto di un popolo vessato dalla criminalità organizzata. Con la sua testimonianza e le sue omelie, senza timore per la propria vita, don Peppino proclamava che si può non essere schiavi della camorra. L’esempio del parroco di San Nicola rischiava di diventare contagioso: per questo – e non solo per sviare le indagini – fu calunniato poi anche dopo la morte con una ben orchestrata campagna di stampa e una difesa processuale che provò a distruggere ulteriormente l’immagine del sacerdote.
Ma 4 anni fa il vescovo di Aversa, Spinillo, ha coraggiosamente sgretolato lo schermo che per due decenni era riuscito a nascondere la verità sull’eroismo di don Diana: nella messa celebrata con tutti i sacerdoti della diocesi nella chiesa di Casal di Principe dove il sacerdote fu trucidato, il presule ha fatto sua infatti la petizione – presentata insieme all’Agesci e al “Comitato Don Diana” da decine di associazioni di volontariato e impegno civile locali e nazionali – che chiede a Papa Francesco di riconoscere che l’omicidio fu commesso “in odio alla fede”. Monsignor Spinillo ha ricordato, nella sua omelia, anche il viaggio del Papa in Calabria, e in particolare le parole pronunciate a Sibari quando Bergoglio definì le forme di peccato derivate dalla criminalità organizzata come “adorazione del male e disprezzo del bene comune. Chi vive adorando il male – ha detto il vescovo – ovvero sempre rivolto verso il proprio egoismo, nutrirà i suoi sentimenti di odio e di superbia, sarà come accecato e come posseduto da una sete di potere sulla vita e, come spesso è accaduto, non solo ha distrutto la vita dei suoi stessi familiari e amici, ma ha finito per perdere se stesso”.
Spinillo nell’occasione ha parlato “dello specifico cristiano della lotta alla camorra. Quanta gratitudine – ha detto affrontando il tema – sento di voler esprimere a nome di tutta la nostra comunità a don Peppino Diana e a quei fratelli e sorelle che come lui, e anche insieme con lui, hanno reagito alla generale rassegnazione e, ispirandosi alla parola del Vangelo, fortificati dal desiderio di verità, consapevoli di essere chiamati a vivere la libertà dei figli di Dio, hanno condiviso tra loro e hanno operativamente testimoniato all’intera società un modello di vita diverso, fedele alla giustizia e aperto alla carità, capace di creatività e di dono di fraternità”.
Il vescovo ha poi citato un passaggio di un celebre documento di don Peppino Diana e dei parroci di Casal di Principe, diffuso in tutte le chiese dell’area nel natale del 1991 («Per amore del mio popolo»). In quel testo, ha detto il vescovo, “si indicava alla comunità cristiana la necessità di ‘una ministerialità di liberazione, di promozione umana e di servizio… Forse le nostre comunità avranno bisogno di nuovi modelli di comportamento: certamente di lealtà, di testimonianza, di esempio per essere credibili’”.
Nella figura di questi martiri, ha rilevato monsignor Spinillo, “non si riconosce soltanto un coraggio vissuto fino all’eroismo, una sensibilità capace di reagire davanti alle sofferenze dell’umanità oppressa, oppure una visione sapiente della verità, in essi si riconosce una presenza che si affida a Dio, che si consegna a Dio. È veramente intenso questo verbo: consegnarsi a Dio”. “Don Diana è morto da martire. Era un sacerdote che ha sempre testimoniato la sua coerenza nella fede e nell’uomo e ha pagato con la vita l’amore per il suo popolo”, ha commentato il vescovo emerito di Caserta, monsignor Raffaele Nogaro, che di don Peppino era il padre spirituale.
(fonte: Faro di Roma, articolo di Sante Cavalleri -19/03/2024)
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Vedi anche tra i nostri post precedenti su Don Peppe Diana: