LA LUNGA STRADA PER LA PACE
LE RELIGIONI CONVOCATE
di Bruno Forte
Arcivescovo di Chieti-Vasto
(pubblicato su Avvenire - 3 dicembre 2023)
Il fatto che le religioni siano fattori determinanti ed espressioni rappresentative delle
differenti culture può essere difficilmente contestato: mi sembra perciò essenziale valutare
se e in che misura esse possano giocare un ruolo nella risoluzione dei conflitti e nella
costruzione di una pace basata sulla verità e la giustizia. Giudaismo, Cristianesimo e Islam,
in particolare, stanno al cuore di un tale asserto, non solo nella prospettiva del loro impatto
storico e culturale, ma anche a motivo della sfida posta oggi dalla crisi provocata
dall’attacco sferrato dai terroristi di Hamas contro tanti innocenti civili israeliani lo scorso 7
ottobre.
Nella terra promessa ai loro Padri gli ebrei oggi possono esprimersi nella pienezza
delle loro potenzialità. Questo dato positivo e inalienabile è comunque connesso alle
circostanze del confitto Israelo - Palestinese, percepito da molti come un “vulnus”
permanente all’edificazione della pace mondiale. In conseguenza della nascita dello Stato
d’Israele, come del tragico impatto degli eventi della “Shoah”, la relazione fra cristiani ed
ebrei è oggi divenuta l’oggetto di una nuova consapevolezza: Israele e la Chiesa camminano
insieme verso il compimento delle promesse di Dio per tutta l’umanità. Questo vuol dire che
ebrei e Cristiani possono e devono cercare un percorso verso la riconciliazione voluta
dall’Eterno, che oscuri ogni teoria della sostituzione, secondo cui la Chiesa avrebbe
semplicemente preso il posto del popolo eletto nel disegno divino della salvezza: Israele
rimane il testimone dell’elezione e delle promesse di Dio e si offre alla Chiesa come la
“santa radice” (cf. la Lettera di Paolo ai Romani 11,16 e 18), su cui è innestato l’albero
cristiano e da cui non deve mai estraniarsi. Non potrà esserci, dunque, alcun autentico
cammino di riconciliazione fra Chiesa e Israele senza un riconoscimento dell’indiscutibile
valore di questa “santa radice”, e quindi senza un vero amore dei Cristiani per la promessa
fatta ai Padri, per gli scritti in cui essa è contenuta e per il popolo ebraico che è stato e
continua ad esserne testimone nella storia perfino a costo della propria vita. Ecco perché è
necessario che come cristiani riconosciamo gli errori commessi contro gli ebrei e
identifichiamo chiaramente quanti ne furono effettivamente responsabili. Ciò va fatto non
solo rispetto alla Shoah, ma anche in generale in relazione a quell’“insegnamento del
disprezzo”, che fu causa di tanto antisemitismo e di tante sofferenza sperimentate dal
Popolo eletto. C’è bisogno di confessare gli errori commessi dai Cristiani con una larghezza
di cuore che renda possibile la richiesta di perdono in nome di coloro che furono gli effettivi
responsabili. Quest’atteggiamento di conversione (“teshuva”) è non di meno richiesto al
popolo ebraico rispetto alle responsabilità storiche che specialmente oggi gli sono proprie:
precisamente così gli ebrei dimostreranno l’eccellenza della loro elezione e l’unicità
dell’esperienza della misericordia divina in ordine a testimoniare l’unico Dio, Padre di tutti,
con i discepoli di Gesù, ebreo ed ebreo per sempre.
L’altra tradizione religiosa chiamata a svolgere un ruolo guida nel costruire un nuovo
ordine mondiale basato sulla giustizia e la pace è l’Islam. Come scrive il teologo e storico
domenicano Georges Anawati «non dobbiamo dimenticare il grande potenziale al servizio
del bene che l’Islam rappresenta per la maggioranza dei suoi fedeli … Milioni di
Musulmani, nella loro umile sottomissione alla volontà di Dio, con la loro fedele osservanza
delle prescrizioni della Legge, con il loro quotidiano esercizio delle virtù della pazienza,
dell’aiuto reciproco e dell’accettazione della sofferenza, trovano una forza morale che
permette loro di rispondere qui sulla terra alla loro vocazione di persone religiose».
Certamente un simile approccio non deve oscurare l’uso della violenza ammesso dall’Islam
per imporsi: la “guerra santa” rimarrà sempre una possibilità - perfino esemplare - per un
Musulmano. Arriviamo così a un insieme di questioni che più di tutte le altre accendono il
dibattito su quale tipo di contributo l’Islam può dare alla causa della pace: un esempio
sarebbe la condanna che ogni musulmano dovrebbe esprimere dell’ignobile attacco
perpetrato dai terroristi di Hamas contro tanti innocenti civili ebrei il 7 ottobre scorso. Le
atrocità messe in atto da Hamas assassinando, bruciando vivi, massacrando, violentando e
rapendo civili israeliani - neonati, bambini, donne, anziani, malati e feriti - possono essere
paragonate solo ai crimini dell’ISIS e dei Nazisti.
La dura risposta dello Stato d’Israele deve
essere una lotta contro i terroristi, non una guerra a un popolo, che causa immenso dolore e
tanti morti fra i civili. Come amico d’Israele e degli altri popoli che abitano la Terra Santa,
credo nella necessità del dialogo per giungere a una pace giusta, su cui tanto insiste Papa
Francesco. So che molti amici ebrei e arabi la pensano come me. La tregua raggiunta con
l’accordo delle parti è stata un esempio di questa possibilità. Spero che tutti gli amici della
pace, ebrei e arabi, vogliano far sentire la loro voce per intraprendere un tale cammino, al
quale il mondo intero guarda con ansia e speranza. Certo, la mia voce è solo l’appello di un
amico fraterno, che ama la Terra Santa e desidera che essa sia una terra di giustizia e di pace
per tutti. Chi vorrà ascoltare questa voce, ispirata solo dall’amore a Israele e a tutti coloro
che vivono nella terra dove il Nome santo e Benedetto risuona su così tante labbra e in così
tanti cuori umili e aperti agli altri? Chi sarà pronto a unirsi a un tale auspicio e ad una simile
preghiera?
(Fonte: sito della Diocesi)