sabato 28 ottobre 2023

Enzo Bianchi Ascoltiamo il silenzio

Enzo Bianchi 
Ascoltiamo il silenzio 


La Repubblica - 23 Ottobre 2023

Che cos’è il silenzio? La prima difficoltà consiste proprio nel parlarne, poiché il silenzio lo si comprende veramente solo quando se ne fa esperienza nella solitudine; inoltre, è elementare ma essenziale ricordare che il silenzio non è una realtà uguale per tutti, e per la stessa persona può cambiare con le diverse età della vita.

Quando si cerca di scandagliare le profondità del silenzio, occorre subito precisare che il silenzio non è in primo luogo un’esperienza spirituale, anzi può persino esserle di impedimento. Il silenzio è un’esperienza umana e ogni persona conosce di fatto nel corso della sua vita diversi silenzi, silenzi al plurale, che in alcuni casi possono essere assunti in quanto giudicati come positivi e necessari, altre volte vengono respinti come negativi e mortiferi. Il silenzio non è dunque un bene in sé né un bene assoluto, ma può trovare giustificazione e senso solo a certe condizioni, solo quando è vissuto con consapevolezza e orientato a un fine, a uno scopo.

In questo senso, sono convinto che le valenze positive del silenzio possano essere comprese in pienezza solo se si ha il coraggio di guardare in faccia anche il suo lato negativo. Realtà costitutivamente ambigua, il silenzio può infatti essere senza vita, può assumere la forma di un mutismo che impedisce e rifiuta la comunicazione. Il rigetto della comunicazione umilia la parola e lo stesso silenzio, finendo per rinchiudere l’uomo in una sorta di prigione. Questa è una patologia che, non a caso, si manifesta quando l’equilibrio psichico è gravemente ferito; chi ha potuto incontrare l’abisso del mutismo in persone colpite dalla follia, sa che cosa significa questa forma di «no» alla comunicazione: è un rifiuto della vita!

Ma c’è anche un silenzio cattivo, malvagio, che si nutre di rabbia e di odio. Elias Canetti ha scritto giustamente in proposito: «Alcuni raggiungono la loro più grande malvagità nel silenzio». Giudizio negativo sull’altro, disprezzo dell’altro, volontà – alimentata e «accudita» ogni giorno – di non avere di fronte o accanto a sé un altro, poiché la sua diversità ci infastidisce, ce lo rende nemico: non lo si saluta, non gli si indirizza una parola, lo si tratta come fosse già morto! Non serve neppure giungere all’ostilità manifesta, è ben più perversa questa ostilità sorda e muta… Non è forse questa realtà che talvolta abita i vissuti quotidiani delle nostre famiglie e delle nostre comunità? Un’altra forma di silenzio negativo è quella dell’autoillusione: un silenzio custodito per preservare l’immagine che si ha di sé dal confronto con la realtà e con gli altri. Ciò si traduce poi in forme di vita «autistiche», la cui raffigurazione più efficace è quella di un deserto popolato da fantasmi che finiscono per dominare ossessivamente il malcapitato…

Davvero il silenzio può diventare un luogo di disperazione, una forma di angoscia: silenzio talora imposto dall’aguzzino alla sua vittima, talaltra scelto liberamente da chi si incammina su vie mortifere. In entrambi i casi vale ciò che scriveva Elie Wiesel nel suo Testamento di un poeta ebreo assassinato: «Nessun maestro mi aveva detto che il silenzio poteva diventare una prigione … Non sapevo che si potesse morire di silenzio come si muore di dolore, di fatica, di fame». Con grande realismo occorre ammettere che questo silenzio non ci è estraneo: l’importante è esserne consapevoli e, nel contempo, predisporsi a lottare per trasformarlo in quel silenzio vitale da cui sgorgano una vita e una parola colma di senso.

In quest’ora tragica per l’umanità “in cui nel mondo una guerra è signore della terra”, grida, urla salgono dalle vittime verso il cielo vuoto per molti; ma occorrerebbe che noi sapessimo ascoltare anche il “silenzio muto”, generato dall’esaurimento del respiro. Ad alcuni sembra che anche Dio conosca questo silenzi.
(fonte: blog dell'autore)