lunedì 28 agosto 2023

Stupri di gruppo - Le considerazioni di Pellai, Patriciello, Fantoni, Lazzari e Valditara

Stupri di gruppo
Le considerazioni di 
Pellai, Patriciello, Fantoni, Lazzari e Valditara

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Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta, scrittore e ricercatore: 
“Educare i ragazzi ad essere non ‘veri uomini’, ma uomini veri” -  
Don Maurizio Patriciello, parroco del parco Verde di Caivano: 
"Abbiamo abdicato alla fatica dell'educare" - 
Fabrizio Fantoni, psicologo e psicoterapeuta: 
«La crisi del modello “tradizionale” maschile, fondato su imposizione della forza e evitamento dei sentimenti, si manifesta con desiderio di dominio e possesso.» -
 David Lazzari, presidente dell’Ordine degli psicologi scrive alla Meloni: 
“Rendere strutturale l’educazione alla psiche nelle scuole” -
Giuseppe Valditara, Ministro dell'istruzione e del merito: 
"Da settembre anche i ragazzi in cattedra con la peer education"

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Stupro di gruppo a Palermo. Pellai: 
“Educare i ragazzi ad essere non ‘veri uomini’, ma uomini veri”

Oggi assistiamo ad un “deserto educativo, in particolare nei confronti dei nostri figli maschi, privi di accompagnamento nel percorso di maturazione emotiva, affettiva, sentimentale e sessuale”, a fronte di un modello maschile “predatorio” sostenuto dal dilagare del porno anche tra i giovanissimi. È l’allarme lanciato in questa intervista dallo psicoterapeuta e scrittore

foto SIR/Marco Calvarese

Alberto Pellai è medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il dipartimento di Scienze biomediche dell’Università degli studi di Milano, ma è anche scrittore. “Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani” (De Agostini, 2023) è il titolo del suo ultimo volume, appena arrivato in libreria. “Oggi – ci spiega – occorre educare i nostri ragazzi ad essere uomini veri, non veri uomini”. Abbiamo parlato con lui dello stupro di gruppo di Palermo.

Professore, che cosa legge dietro questo tristissimo episodio?

Vedo un autentico deserto educativo, in particolare nei confronti dei nostri figli maschi.

Un deserto che li priva di accompagnamento e sostegno nel percorso di maturazione emotiva, affettiva, sentimentale e sessuale, e di capacità di costruire sane relazioni tra i generi, a fronte di una fortissima adesione ad un modello predatorio nell’ambito della sessualità. Del resto, gran parte dell’educazione sessuale dei nostri ragazzi avviene attraverso la pornografia, terreno nel quale non esiste l’intimità ma solo l’eccitazione che porta alla predatorietà del corpo dell’altro per il proprio esclusivo piacere. Un porno sempre più violento, come dimostrano i video spesso condivisi sulle chat di adolescenti e pre-adolescenti anche di 12-13 anni: scene di violenze, di stupri ed anche pedopornografiche.

Quale pericolo corrono questi giovanissimi?

Quello di addentrarsi in un territorio di cui non conoscono regole, confini, limiti, fattori di rischio e fattori di protezione, e nel quale sono assenti le categorie del bene e del male. Una diseducazione che li lascia confusi e smarriti. Il mondo adulto non può sottovalutare questo allarme:

per i maschi, l’idea di essere dei veri uomini passa attraverso un modello più predatorio che intimo all’interno delle relazioni affettive e sessuali.

E questi episodi, che diventano notizia da prima pagina, sono la punta dell’iceberg di un fenomeno che chiama in causa proprio le loro modalità di crescita.

All’universo del porno possono accedere anche bambini di 8-10 anni…

Su questo tema lavoro molto con i genitori per renderli consapevoli che, mettendo in mano uno smartphone ad un bambino o ad una bambina, non consegnano loro semplicemente uno strumento, ma

un ambiente pieno di tossicità con milioni di porte di accesso a modelli, immagini, suggestioni che colpiscono il bambino senza alcun rispetto dei suoi bisogni evolutivi.

Un territorio privo di supervisione e monitoraggio educativi, del quale, purtroppo, i genitori sottovalutano spesso i pericoli ritenendo che i figli, più smart di loro, lo sappiano gestire da soli.

In questi giorni si è scatenata su Telegram la caccia al video di Palermo…

Qui tocchiamo con mano l’effetto della diseducazione affettiva e sessuale: anziché percepire questa vicenda come qualcosa da cui prendere una giusta distanza, scattano il desiderio e la convinzione di poter vedere e guardare tutto. Una sorta di de-sensibilizzazione nei confronti dell’orrore, una curiosità morbosa che si traduce quasi in desiderio di essere sulla scena del crimine.

Quali, allora, i pilastri sui quali rifondare quella sana educazione affettiva, emotiva e sessuale dei nostri figli maschi, oggetto del suo ultimo libro?

Il mio intento è smontare il falso mito del cosiddetto “vero uomo” che non deve mai avere avere paura o chiedere aiuto, per educare a diventare un uomo vero.

Un percorso che si snoda in cinque punti. Il primo è una buona educazione emotiva che permetta al maschio di avere accesso a tutti gli stati emotivi, senza considerare femminili emozioni che mettono in gioco la dimensione della vulnerabilità come tristezza e paura, che nel maschile non si possono esprimere. Il secondo è un’educazione sentimentale incentrata sul creare relazioni caratterizzate da un attaccamento sano e da una costruzione del noi non come possesso dell’altro, bensì come condivisione di un senso di appartenenza reciproca per una relazione valida e funzionale.

I successivi?

Una buona educazione sessuale che aiuti i ragazzi a cogliere l’enorme differenza tra fare sesso e fare l’amore, ossia ad usare la sessualità anche per costruire un percorso di intimità; un’intimità responsabile, empatica, rispettosa, condivisa.

Un tema delicato: chi può farsene carico?

Deve essere un lavoro di tutta la comunità educante portando testimonianze, narrazioni, storie reali, informazioni per “allenare” i ragazzi a queste competenze.

Gli ultimi due?

Il quarto pilastro è l’avere cura della vita. Spesso nel vissuto del giovane maschio è prevalente il concetto di challenge, sfide folli e insensate che, come ci hanno riportato le cronache estive, hanno provocato lutti che i ragazzi non avrebbero mai immaginato di causare. Ma per educare alla cura della vita occorre saper parlare anche della morte, uno dei tabù in assoluto più rimossi in ambito educativo.

L’ultima parola è rispetto. Imparare che diventare adulti significa coniugare rispetto e responsabilità attraverso il passaggio dall’io al noi. Così l’altro diventa per me qualcuno del quale devo prendermi cura, e la responsabilità si esprime nel sentire che per l’affermazione di me stesso, dei miei bisogni e delle mie libertà entra in gioco l’attenzione anche ai bisogni e alle libertà dell’altro.

Questo è il vero senso del “noi”.
(fonte: Sir, articolo di Giovanna Pasqualin Traversa 25/08/2023)


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Due cugine stuprate dal "branco".
Don Patricello: a Caivano tutte le povertà

Il fatto sarebbe avvenuto a luglio. I responsabili, tutti coetanei delle vittime, sono stati individuati e saranno sottoposti a misure cautelari. L'intervento del parroco

Don Maurizio Patricello, parroco del Parco di Caivano, nel Napoletano - Ansa

Ancora uno stupro di “branco”. Due cugine di 13 anni sono state violentate da una gang di coetanei e ragazzini di poco più grandi. Teatro dell’orribile aggressione, stavolta, il Parco Verde di Caivano, nel Napoletano ...

Le due bambine sono state abusate all’interno di un capannone poco lontano dai luoghi frequentati da spacciatori e tossicodipendenti. I genitori hanno denunciato il fatto ai carabinieri e, individuati gli autori, sono scattati subito i provvedimenti giudiziari con il sequestro dei cellulari e il trasferimento delle due vittime in una casa famiglia. Pronti i provvedimenti di custodia cautelare per gli autori delle violenze. La vicenda risalirebbe alla prima metà di luglio. "Abbiamo abdicato alla fatica dell'educare" commenta don Maurizio Patriciello, parroco del parco Verde di Caivano, che si dice addolarato dopo aver aver appreso dell’ennesima azione degli “orchi” contro le due cuginette. 
"Di questa vicenda se ne parlerà per qualche giorno, forse per qualche settimana ma poi queste due povere ragazze si porteranno dentro questo trauma per tutta la vita, vivranno questo dolore con le loro famiglie", prosegue don Maurizio. "Se ci sono femminicidi, se ci sono casi di violenza brutale, che avvengono sia in quartieri degradati sia in quelli più agiati vuol dire che noi abbiamo sbagliato, abbiamo deciso di non educare", aggiunge don Patricello. ... "Mi dispiace dirlo ma questo è un quartiere che non doveva mai nascere: qui sono state ammassate tutte le povertà. E poi cosa si è fatto?". Il sacerdote rivolge infine anche un pensiero ai presunti stupratori. "Sono vittime della povertà educativa" e poi lancia l'allarme: "La pornografia è ormai una vera emergenza. Ma cosa si fa?"

E non si è ancora placata la polemica sul "caso" di Palermo dove a luglio sette giovanissimi hanno stuprato in un capannone una 19enne, con il più piccolo di loro, minorenne al momento del fatto, che ieri è tornato in carcere dopo aver postato sui social dei video nei quali si vantava del fatto. Si trovava in una comunità di recupero ed è stato rimesso in cella, nel carcere minorile. "Nessuna consapevolezza del reato commesso e quindi nessun ravvedimento" ha commentato il giudice. Gli altri sei indagati invece sono stati trasferiti in diverse strutture carcerarie della regione dopo aver ricevuto minacce da loro compagni di cella dell'istituto di pena "Pagliarelli".



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«Quando non viene ascoltato il grido di dolore della donna»

«La crisi di un modello “tradizionale” maschile, fondato sull’imposizione della forza e sull’evitamento dei sentimenti si manifesta con un desiderio di dominio e possesso. L’educazione sessuale, inoltre, è lasciata alla pornografia a portata di smartphone. Le ragazze devono difendersi anche preventivamente, evitando situazioni che possono diventare pericolose»


«In questa vicenda emerge tutta la crisi di un modello “tradizionale” di maschio, fondato sull’imposizione della forza e sull’evitamento dei sentimenti. Rimane un desiderio di dominio, in cui il piacere del sesso è principalmente il piacere del pos-sesso, che fa sentire potente. Non sottovaluterei poi il peso del gruppo, con la sua forza rassicurante, che amplifica il senso di potenza attraverso la riduzione della responsabilità personale. Attraverso l’”impresa” nefasta dello stupro consumato in gruppo, si realizza una iniziazione alla virilità condivisa pubblicamente sui social, che forniscono una patente riconosciuta di vero macho». Così spiega Fabrizio Fantoni, psicologo e psicoterapeuta, esperto di adolescenza, nonché uno degli esperti che ogni settimana rispondono su Famiglia Cristiana alle domande dei lettori, interpellato sugli stupri commessi da giovanissimi.

Com’è possibile che nessuno in un gruppo provi pietà per una giovane che subisce violenza?

«Il problema del riconoscimento dell’alterità in vicende di questo tipo è prima di tutto accettazione dell’alterità di genere: l’altro è appartenente al genere femminile, verso cui non si prova empatia. La ragazza non è considerata un essere umano di cui ascoltare il grido di dolore: probabilmente lo stesso dolore verrebbe ascoltato se fosse la sorella o la fidanzata di uno di questi, cioè appartenente al clan, e susciterebbe una reazione di difesa in questi maschi. Perché? Perché la donna va difesa solo quando è in gioco l’appartenenza al proprio gruppo, e il possesso che ne deriva: è la mia ragazza, mia sorella ecc.. Chi la offende, offende me e il mio diritto di proprietà. Sembra essere questa la logica che opera in queste situazioni. Se invece è di un altro gruppo, non mi interessa, non è come me: è una cosa, non una persona. In questo riconoscimento e valorizzazione dell’alterità si colloca il problema del consenso, che è prima di tutto rispetto profondo dell’altro. Un rispetto che si dovrebbe esprimere ad esempio nel rinunciare a fare sesso con una ragazza ubriaca non si fa sesso, perché occorre difenderla anche da se stessa e dal suo mettersi in pericolo».

E cosa si può dire quindi alle ragazze ?

«Ci sarebbe anche una delicata riflessione da fare, riguardo alle ragazze, che devono difendersi anche preventivamente, evitando situazioni che possono diventare pericolose. Non è questione di dare loro la colpa, ovviamente: la responsabilità diretta ricade su chi commette violenza. Però bisogna anche imparare a essere prudenti ed evitare le situazioni che riducono la propria capacità di controllo e di difesa. Occorre dirlo con chiarezza: l’alcol e le “canne” riducono la capacità di esser padroni delle situazioni, che siano la guida di un’auto, la capacità di sventare un furto o di difendersi dalle molestie o, come in questo caso, dalla violenza sessuale. Ripeto: senza ovviamente nulla togliere alla responsabilità dei maschi che se ne approfittano».

A chi il compito di educare ragazzi e ragazze?

«Manca un’educazione sessuale: spesso anche per un immotivato timore di “indottrinamento gender”, credo si parli molto meno a scuola di relazioni tra maschi e femmine, sul piano fisico e psicologico. A questo silenzio risponde il grande rumore della pornografia, a portata di smartphone per ogni ragazzino di scuola media, con i suoi messaggi di prevaricazione e di piacere immediato. Mi sembra che spesso anche in famiglia se ne parli poco e in modo generico; alcuni poi minacciano punizioni a parole, senza un solido riferimento morale. Come quell’uomo politico che prima dichiara che se avesse un figlio che manca di rispetto ad una donna gli mollerebbe dei ceffoni, ma quando poi capita che il figlio venga denunciato per abuso, rilascia dichiarazioni negative sulla ragazza…».

In tutto questo che ruolo hanno i professionisti della comunicazione?

«Il loro ruolo spesso si riduce alla ricerca di sensazionalismo, che suscita perlopiù risposte emotive e isteriche (castrazione, pene dure ed esemplari: sarebbe meglio chiedere una pena sicura!). Di qui la pubblicazione delle chat, con lo scopo di suscitare orrore, e non quello di far riflettere sul linguaggio che si utilizza e magari dare informazioni sulle iniziative di prevenzione e sui centri di supporto per le vittime, e anche per i maschi stupratori. A che servono alla fine i titoloni e le foto?

E i social?

«Hanno un ruolo deleterio. Alcuni degli inquisiti continuano a pubblicare, affidano la difesa alle loro dichiarazioni social; sembra però che alcuni profili siano però finti, e facciano dire a questi ragazzi cose che non hanno detto. Inoltre ci sono canali Telegram con centinaia di migliaia di utenti che chiedono lo scambio dei video dello stupro. Bisogna chiedersi come è possibile tutto ciò e chi esercita un controllo, sia nel pubblico che nel privato delle famiglie».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Orsola Vetri 25/08/2023)


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Violenza sulle donne, psicologi scrivono a Meloni:
“Rendere strutturale l’educazione alla psiche nelle scuole”


“Storie atroci come quella di Palermo raccontano di una violenza e uno smarrimento del quale come terapeuta e come guida della nostra comunità professionale potrei raccontarti a lungo: rende i percorsi problematici e difficili, le mete e gli obiettivi vaghi e confusi, impoverisce il presente e sbarra la strada verso il futuro”: inizia così la lettera firmata da David Lazzari presidente dell’Ordine degli psicologi inviata al presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Ma non ti scrivo per proporti analisi – continua -. Voglio limitarmi a sottolineare che la dimensione psicologica, cioè la nostra soggettività, ciò che siamo e chi siamo, io, tu, tutti, come individui e membri di una comunità, non è qualcosa di scontato ed automatico. Ha necessità, come il nostro corpo, di nutrimento. Di fronte alla complessità del mondo abbiamo bisogno di una psiche aperta, accesa, responsabile, e invece assistiamo a un diffuso impoverimento delle risorse psicologiche che ha ricadute sui singoli e sulle relazioni, la vita sociale, la comunità.

Non è solo questione di salute – spiega -, di limitare il dilagare del disagio e dei disturbi, ma di pieno sviluppo della persona umana. Il rispetto di se stessi, degli altri, delle regole comuni, i valori, l’etica non si improvvisano ma si costituiscono su una soggettività consapevole e responsabile.

Come un secolo fa non c’era bisogno dell’educazione motoria perché la si faceva vivendo, prima che la società diventasse sedentaria, oggi la scuola è chiamata nei fatti ad occuparsi della dimensione psicologica dei ragazzi, perché i giovani portano tutta la loro realtà nel contesto scolastico. Credo che sia venuto il momento di rendere sistematica e strutturale l’educazione alla psiche nelle scuole, di aiutare studenti e docenti nella promozione delle risorse psicologiche, delle competenze per la vita

Abbiamo una proposta concreta e se vorrai ascoltarla te ne parleremo. Smettiamola di inseguire la cronaca, cambiamo la storia e tutte le storie di violenza che aspettano di accadere” si conclude la lettera.
(fonte Orizzontescuola 25/08/2023)

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Valditara: violenza di genere.
Da settembre anche i ragazzi in cattedra con la peer education

Al primo giorno utile, dopo la riapertura delle scuole superiori, arriverà una circolare del ministro Valditara con le linee guida per portare il tema dell’educazione al genere e della lotta agli abusi sessuali tra i banchi.

Oltre alla settimana del 25 novembre, la giornata scelta per riflettere sulla violenza contro le donne, si inizierà subito con un approccio finora poco battuto, lasciando che siano i ragazzi stessi a “salire in cattedra”.

Il Messaggero riporta che Valditara, dopo i casi di Palermo e Caivano, e raccogliendo l’appello proveniente da un po’ tutte le parti, ha deciso, per combattere le violenze di genere, di agire (anche) nel campo della formazione dei giovani, individuando pure conseguenze molto serie per chi non rispetta la dignità e la sfera affettiva degli altri.

Valditara, dopo una serie di riunioni tecniche coi collaboratori, ha formalizzato un progetto, che dovrebbe riguardare solo le scuole secondarie di secondo grado, affinché in classe si facciano lezioni di “educazione alla sessualità”, nel senso di corsi formazione specifica sulla parità di genere, il rispetto dell’altro sesso e contrasto a ogni residuo di “machismo e maschilismo”.

Un percorso che dovrà iniziare già a settembre e protrarsi almeno fino alla giornata contro la violenza sulle donne.

Pronte, secondo quanto pubblica il Messaggero, le linee guida del documento che verrà recapitato a tutti i presidi.

Le lezioni, e questo è importante, potranno essere tenute da esperti del settore (psicologi, rappresentanti di associazioni in difesa delle vittime di violenza, avvocati), ma dovranno prevedere un forte coinvolgimento degli studenti.

Secondo il ministro la partecipazione dei ragazzi deve essere attiva, seguendo il modello, poco sperimentato, della “peer education”, l’educazione tra pari. A tenere la lezione, in pratica, saranno gli stessi studenti, divisi in gruppi. Ogni gruppo dovrà approfondire un certo aspetto della violenza di genere.

In questo modo, secondo Valditara, da un lato si responsabilizzano gli studenti che devono tenere la lezione e dall’altro si mantiene alta la soglia di attenzione in classe, visto che gli argomenti vengono spiegati in modo diretto e comprensibile.

A fianco di questi spazi “autogestiti” gli interventi degli esperti che chiariscano non solo le conseguenze che un atto di violenza fisica o psicologica comporta per la vittima, ma anche le implicazioni penali di quelle azioni, compreso il valore della denuncia, perché i colpevoli non restino impuniti.
(fonte: La Tecnica della Scuola, articolo di Pasquale Almirante 28/08/2023)

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