Profezia e preghiera
per la pace
per l’umanità per i nemici
di Andrea Monda
Non stanchiamoci di pregare per la pace. Il Papa insiste. Tenace. Ha ripetuto questo invito ancora domenica durante la recita della preghiera dell’Angelus. Il giorno prima aveva pubblicato un tweet sull’account @Pontifex in cui fa riferimento alla profezia: «Questa è profezia cristiana: rispondere al male con il bene, all’odio con l’amore, alla divisione con la riconciliazione. La fede trasforma la realtà da dentro». E il giorno dopo, sempre al momento della recita dell’Angelus, commentando il Vangelo della domenica, è tornato sul tema della profezia, ricordando che «Profeta, fratelli e sorelle, è ciascuno di noi: infatti, con il Battesimo tutti abbiamo ricevuto il dono e la missione della profezia. Profeta è colui che, in forza del Battesimo, aiuta gli altri a leggere il presente sotto l’azione dello Spirito Santo. Questo è molto importante: leggere il presente non come una cronaca, ma sotto l’azione dello Spirito Santo, che aiuta a comprendere i progetti di Dio e corrispondervi. In altre parole, il profeta è colui che indica agli altri Gesù, che lo testimonia, che aiuta a vivere l’oggi e a costruire il domani secondo i suoi disegni». Continuando sul tema della profezia il Papa ha sottolineato l’importanza della preghiera: «Ad esempio, quando c’è da prendere una decisione importante, fa bene anzitutto pregare, invocare lo Spirito, ma poi ascoltare e dialogare, nella fiducia che ciascuno, anche il più piccolo, ha qualcosa di importante da dire, un dono profetico da condividere» e ha concluso esclamando: «Pensiamo a quanti conflitti si potrebbero evitare e risolvere così, mettendosi in ascolto degli altri con il sincero desiderio di comprendersi!».
Profezia e preghiera come espressioni concrete di quella fede che trasforma la realtà “da dentro”. Il profeta non prevede il futuro ma legge il presente «non come una cronaca, ma sotto l’azione dello Spirito Santo», è questo un invito anche a chi, come questo giornale, opera nel mondo della comunicazione: riuscire ad avere quello sguardo che supera la superficie del crònos, cogliendo il chàiros dello Spirito nella storia. Uno sguardo appunto profetico.
Ma il profeta non solo legge la storia con gli occhi dello Spirito, è anche uno che testimonia Gesù, così lo fa vedere agli altri. E qui entra in campo la preghiera. Una preghiera anch’essa profetica, nel senso che vede quello che (ancora) sfugge allo sguardo della maggior parte delle persone. Guardiamo alla guerra, non solo a quella in Ucraina, ma alle tante guerre dimenticate. Domenica scorsa, subito dopo la recita dell’Angelus, il Papa ha rinnovato il suo appello incessante: «non stanchiamoci di pregare per la pace, in modo speciale per il popolo ucraino, tanto provato. E non trascuriamo le altre guerre, purtroppo spesso dimenticate, e i numerosi conflitti e scontri che insanguinano molti luoghi della Terra; tante guerre ci sono oggi... Interessiamoci di quello che accade, aiutiamo chi soffre e preghiamo, perché la preghiera è la forza mite che protegge e sostiene il mondo». Questa è la forza del cristiano che è consapevole che il mondo è sostenuto dalla preghiera degli uomini semplici, dei miti e degli umili, perché altrimenti tutto sarebbe perduto. I numerosi conflitti che oggi insanguinano il mondo, sembrano dirci che spesso la storia si va a chiudere in vicoli ciechi da cui è impossibile uscire. Pensiamo quindi all’Ucraina: il Papa e con lui la diplomazia della Santa Sede sin dal primo giorno fino alla recentissima missione del cardinale Matteo Zuppi si è impegnato in una fervida attività per cercare di creare le condizioni per la via di una pace possibile e giusta. Ma la via è talmente stretta da apparire invisibile. Almeno agli occhi degli uomini. Pregare profeticamente invece è provare a vedere il mondo con gli occhi di Dio, sub specie aeternitatis. E allora le cose cambiano. Innanzitutto è l’orante stesso a cambiare. Kierkegaard affermava che «pregare non è tanto ottenere, quanto piuttosto diventare» e i cristiani, oggi divisi in una guerra che li vede contrapposti, sono chiamati a diventare un popolo orante, unito nella preghiera. Preghiera per le vittime, certamente, preghiera per la pace, ovviamente, ma con la consapevolezza che «solo la conversione dei cuori può aprire la strada che conduce alla pace» come ha ricordato il Papa nell’Angelus del 26 marzo scorso.
Per questo la preghiera che i cristiani sono invitati oggi a fare è quella più cristiana e più scandalosa di tutte: la preghiera per i nemici.
Questa è la profezia cristiana: rispondere al male con il bene. Il cristiano prega anche per chi sbaglia, anche per chi pecca (sapendo che questo riguarda tutti). È l’amore anche per il nemico la cifra del cristianesimo che continua, dopo duemila anni che è stato predicato da Gesù, a spiazzare, disorientare e turbare le coscienze degli esseri umani chiamati a diventare qualcosa “di più”. Questo “di più” è il per-dono, il dono moltiplicato, il dono fatto e ripetuto a oltranza, senza misura.
A questo “di più” si deve puntare, altrimenti non si uscirà dalla strettoia della storia. Nel 2001, a seguito della tragedia dell’attentato delle Torri Gemelle, San Giovanni Paolo ii pubblicò il messaggio per la giornata della pace che aveva questo titolo: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”. Siamo ancora qui, perché l’umanità è testarda, come disse il Papa tornando dal viaggio a Malta nell’aprile del 2022, testardamente innamorata della guerra. Per questo bisogna essere testardi, testardamente innamorati della pace e dell’umanità, fiduciosi che, come ha affermato padre Timothy Radcliffe, «il mistero del male è grande, ma il mistero del bene è più grande»
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