Andrea Monda
Dieci anni dopo lo storico viaggio a Lampedusa il Papa rilancia il grido assordante dei migranti morti nel Mediterraneo
La vergogna di una società
incapace di piangere
C’è un grido, «doloroso e assordante», che si alza dalle morti di innocenti, «che non può lasciarci indifferenti». Il Papa, scrivendo all’arcivescovo di Agrigento, “ritorna” oggi a Lampedusa, a distanza di dieci anni quando arrivò nell’isola siciliana scelta come meta del suo primo viaggio dopo nemmeno quattro mesi dalla sua elezione. E ritorna anche a quelle parole pronunciate nell’omelia dell’8 luglio 2013 e ripete quelle tre domande, contenute in quel testo, che bruciano intensamente ancora oggi. Le prime due, prese dalla Bibbia, oggi le riassume e le ripropone perché «il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze. Dio ancora ci chiede: «Adamo dove sei? Dov’è tuo fratello?». A queste due domande la risposta l’ha data Gesù con il nuovo comandamento dell’amore unico ma suddiviso nelle due direzioni “verticale” e “orizzontale”.
Sono domande poste «all’uomo disorientato», come disse il Papa dieci anni fa quando aggiunse una terza domanda su quanti “di noi” avessimo pianto per tutte quelle morti in mare. Se avessimo insomma ancora il dono delle lacrime o la “globalizzazione dell’indifferenza” avesse inaridito i nostri cuori. E quindi rivolgeva una preghiera a Dio per avere la “grazia di piangere” e chiedere perdono per “quell’anestesia del cuore” provocata dal benessere materiale. In quell’omelia confidò che il pensiero di tutti quei morti nelle acque del Mediterraneo era «tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza». Quella “spina” lo aveva spinto a muoversi, scegliere Lampedusa come prima delle oltre 40 tappe del suo lungo viaggio di questi dieci anni. Parlando il 27 maggio ad alcuni artisti il Papa ha usato la stessa immagine della “spina nel cuore”: «Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano [..] la parola letteraria è come una spina nel cuore che muove alla contemplazione e ti mette in cammino». La parola, e i racconti, possono diventare spine, voci che risvegliano la coscienza e spingono all’azione, da qui scaturisce la responsabilità non solo degli artisti, ma di tutti gli operatori della comunicazione. È la responsabilità anche della Chiesa, scrive nella lettera al vescovo Damiano, che deve uscire da se stessa «per essere realmente profetica». Una responsabilità oggi ancora più urgente. A distanza di dieci anni infatti possiamo dire che il mondo è cambiato, il vento della politica mondiale ha girato verso tendenze di maggiore chiusura anziché di accoglienza, c’è stata una pandemia a livello mondiale e i “pezzi” della terza guerra mondiale sembrano essersi saldati; quelle domande quindi restano ancora lì, più pesanti e brucianti e anzi forse bisogna aggiungere la quarta: abbiamo recuperato la capacità di «piangere e compatire l’altro»? O l’indifferenza, la paura, hanno completato l’anestesia totale dei nostri cuori?
(fonte: L'Osservatore Romano 08/07/2023)
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Pubblichiamo di seguito la Lettera che il Santo Padre Francesco ha inviato all’ Arcivescovo di Agrigento, S. E. Mons. Alessandro Damiano, in occasione della celebrazione a ricordo del 10° anniversario della Sua visita a Lampedusa:
Al Caro Fratello
Mons. Alessandro Damiano
Arcivescovo di Agrigento
In occasione della celebrazione a ricordo del 10° anniversario della visita a Lampedusa, desidero inviare a Lei, ai fedeli dell’Arcidiocesi, alle Autorità ed ai presenti il mio cordiale saluto. Sono vicino a Voi con l’affetto, la preghiera e l’incoraggiamento.
Carissimi, in questi giorni in cui stiamo assistendo al ripetersi di gravi tragedie nel Mediterraneo, siamo scossi dalle stragi silenziose davanti alle quali ancora si rimane inermi e attoniti. La morte di innocenti, principalmente bambini, in cerca di una esistenza più serena, lontano da guerre e violenze, è un grido doloroso e assordante che non può lasciarci indifferenti. È la vergogna di una società che non sa più piangere e compatire l’altro.
Sono trascorsi dieci anni dal viaggio che ho voluto compiere nella comunità lampedusana per manifestare il mio sostegno e la paterna vicinanza a chi dopo penose peripezie, in balìa del mare, è approdato sulle vostre coste. Il consumarsi di sciagure così disumane deve assolutamente scuotere le coscienze; Dio ancora ci chiede: “Adamo dove sei? Dov’è il tuo fratello?” Vogliamo perseverare nell’errore, pretendere di metterci al posto del Creatore, dominare per tutelare i propri interessi, rompere l’armonia costitutiva tra Lui e noi? Bisogna cambiare atteggiamento; il fratello che bussa alla porta è degno di amore, di accoglienza e di ogni premura. È un fratello che come me è stato posto sulla terra per godere di ciò che vi esiste e condividerlo in comunione.
In tale contesto, tutti siamo chiamati ad un rinnovato e profondo senso di responsabilità, dando prova di solidarietà e di condivisione. È necessario quindi che la Chiesa, per essere realmente profetica, si adoperi con sollecitudine per porsi sulle rotte dei dimenticati, uscendo da se stessa, lenendo con il balsamo della fraternità e della carità le piaghe sanguinanti di coloro che portano impresse nel proprio corpo le medesime ferite di Cristo.
Vi esorto perciò a non restare imprigionati nella paura o nelle logiche di parte, ma siate cristiani capaci di fecondare con la ricchezza spirituale del Vangelo codesta Isola, posta nel cuore del Mare Nostrum, affinché ritorni a splendere nella sua originaria bellezza.
Mentre ringrazio ciascuno di Voi, volto radioso e misericordioso del Padre, per l’impegno di assistenza a favore dei migranti, affido al Signore della vita i morti nelle traversate, e volentieri imparto la mia Benedizione, chiedendo per favore di pregare per me.
Roma, da San Giovanni in Laterano, 20 giugno 2023
FRANCESCO
(fonte: Sala Stampa, Bollettino del giorno 08/07/2023)
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