lunedì 19 giugno 2023

Zuppi e Delpini: Due riti, due omelie, due stili...

Zuppi e Delpini:
Due riti, due omelie, due stili...

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Due commiati


«Faccio mie le parole di Papa Francesco: “Sono certo che dopo più di 50 anni di matrimonio saprai raccogliere l’eredità di fede e di fortezza di Flavia, continuando a testimoniare, nel suo vivo ricordo, la bellezza del vincolo di amore che vi ha tenuto uniti, mano nella mano, fino all’ultima passeggiata insieme”». Con questo augurio il cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della CEI, Matteo Maria Zuppi, ha concluso il 16 giugno 2023 l’omelia al funerale della professoressa Flavia Franzoni, moglie dell’ex presidente del Consiglio e della Commissione europea Romano Prodi, mamma di Giorgio e Antonio, scomparsa per un malore mentre stava percorrendo con il marito e alcuni amici un tratto del Cammino di San Francesco tra Gubbio e Assisi. Due giorni prima, il 14 giugno, l’arcivescovo di Milano, Mario Enrico Delpini, ha celebrato le esequie del senatore ed ex premier Silvio Berlusconi, morto all’età di 86 anni: «È stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio».

Proponiamo qui alcuni passaggi delle due omelie: una pronunciata nel Duomo di Milano, durante la cerimonia a cui hanno preso parte le più alte cariche dello Stato nella giornata di lutto nazionale indetta dal governo Meloni; l’altra pronunciata nella chiesa di San Giovanni in Monte a Bologna, parrocchia della famiglia Prodi, gremita da parenti, amici, imprenditori, ex ministri ed ex presidenti del Consiglio, esponenti politici. (P.T.)

Delpini: un desiderio di vita, di amore, di felicità

Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. (…) Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora. Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Amare ed essere amato

Amare e cercare l’amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande. Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Essere contento e amare le feste

Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. (…) Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Cerco l’uomo

Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri a non ai criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari.

Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte.

Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta.

Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà.

Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento.

Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio.

Zuppi: un legame che unisce

Un legame, il giogo dolce e leggero di cui parla il Vangelo. È un legame abbondantemente d’oro che ha legato Flavia a Romano e viceversa, legame dove si confonde la metà dell’uno e dell’altro eppure dove ognuno era se stesso proprio perché insieme, dove si impara insieme, dove lo sguardo univa sempre, tanto che spesso sembrava che lei non ci fosse ma, invece, c’era. Legame dove tutti diventano belli perché pieni di amore, è un legame che richiede quel trucco, fondamentale, come ha detto con intelligenza Romano, che è la manutenzione. Ha funzionato. Fino alla fine, e adesso si trasforma la manutenzione, perché è sempre necessaria e possibile! Il legame dei nostri legami, che li genera e li mantiene più di tutti, è quello con Gesù vero compagno della nostra e della vostra vita, che è stato in mezzo a voi, dentro di voi, davanti a voi. (…)

Il cuore al centro

Gesù ci aiuta a trovare il cuore. Non è una regola, una morale, lo sappiamo, una legge, fosse la più giusta e convincente. È un amore che richiede amore. “Se mi si domanda perché sono dolce e buono, devo dire: perché sono il servo di uno più buono di me”, diceva Fratel Charles. “Dio è amore: chi rimane nell’amore rimane in Dio e Dio rimane in lui”. Ecco cosa non finisce, cosa resta, esigente come è l’amor vero che non si vende e non si compra, che non possiede e per questo possiede tutto, che è anche pienezza della nostra umanità, perché l’amore tutto copre e tutto trasforma. Dio non fa una lezione sull’amore, non lo spiega e non lo interpreta. Ama. E quindi anche soffre, come chi ama qualcuno per davvero. La devozione del Sacro Cuore è affettiva: ci aiuta a sentire il tanto amore per noi per liberarci dalla paura di amare tanto. Era una devozione legata alla riparazione, cioè aiutare amando, a riparare quello che il male rompe. Lo vediamo nella povertà, nell’ingiustizia, nella guerra che uccide gli uomini e l’umanità, nel desolante e colpevole abbandono dei profughi in mezzo al mare. Flavia spesso diceva che per ogni strappo c’è un rammendo. E questo, come sappiamo, richiede pazienza. Ma l’amore ripara e guarisce, anche strappi dolorosi che richiedono rammendi ancora più attenti. Ecco perché Gesù, cuore di Dio, ci rende umani e ci fa trovare il nostro vero cuore, facendolo funzionare, liberandolo dal volgare e consumista amore per noi stessi e restituendoci al vero amore per noi stessi che è sempre unito all’amore per il prossimo e per Dio.

Vi darò ristoro

Insieme apre agli altri, non chiude! Come è stato per Romano e Flavia: insieme e con tanto impegno per il prossimo. “Ben superiore alle perle è il suo valore. Forza e decoro sono il suo vestito e fiduciosa va incontro all’avvenire. Apre la bocca con saggezza e la sua lingua ha solo insegnamenti di bontà”, abbiamo ascoltato. Ecco Flavia, che ha imparato tanto da Gesù mite e umile di cuore. Mite lo è sempre stata, con quel radicalismo dolce che era la sua fermezza e che la coinvolgeva intimamente alle vicende del prossimo. Amava i piccoli. Riservata, in un mondo sguaiato, pieno di vanagloria, davvero vana, di penosa esibizione perché riduce l’amore ad apparenze. Flavia preferiva la sobria e solida vicinanza alla vita vera, partendo dai più fragili, legandosi a loro nella sua ricerca accademica mai chiusa nei corridoi, facendo i luoghi dell’umanità le vere aule dove imparare e vivere, da studiare con cuore e intelligenza, con curiosità e interesse, per provare l’urgenza di cambiare e la programmazione per costruire le soluzioni. (…) Con intelligenza una sua amica ha scritto che Flavia riportava ogni cosa al suo senso profondo, in politica, nelle relazioni occasionali e in quelle profonde, familiari. Era come se lei avesse la bussola. Ci si può smarrire, senza un orientamento così. Ma anche ritrovare, certo, definitivamente. E questa bussola ci porta nel cuore di Gesù, vince e vincerà ogni solitudine.
(fonte: RE - blog 17 Giugno 2023)

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I mondi di Zuppi e Delpini

Il destino, qualunque cosa sia e chiunque lo governi, ci vede benissimo. Dev’essere per questo che con generosità e pazienza estreme ha messo di fronte alla nostra balbuzie e alla nostra miopia — alla nostra difficoltà di interpretare il tempo — uno spettacolo senza precedenti, anzi due, all’unisono. Due omelie, due teatri. Due riti in chiesa a distanza di pochi chilometri e ore. Come se fossero lì per dire uno dell’altro, illuminarsi a vicenda: due idee di mondo, opposte e coeve. Un discorso — mite — parlava con dolore di un “mondo sguaiato, di vanagloria che riduce l’amore ad apparenza”. L’altro — assertivo — di “gesti simpatici”, di “godere il bello della vita, essere contento senza troppi pensieri”. Uno di “essere vicini alla marginalità, vedere il mondo dalla parte dei poveri”, della “pazienza del rammendo”, per ogni strappo ce n’è uno, della “fatica del cammino”. L’altro di “fare affari, non fidarsi degli altri”, “vincere, arrischiarsi in imprese spericolate”, “fare affari”, di nuovo: “Guardare ai numeri e non ai criteri”. Non ai criteri. Quel che conta è il risultato, non come ci si arriva. Quel che conta è guadagnare, vincere.
Nessuno sceneggiatore avrebbe saputo mettere in scena due funerali così, nella stessa settimana, due rappresentazioni plastiche della battaglia di idee e di progetti che ha opposto per decenni due grandi protagonisti della vita politica italiana. I necrologi coi loro cognomi alternati sui giornali, aggettivi antitetici. La distanza vien da dire antropologica, etica ed estetica, degli invitati fra i banchi. Sono morti a distanza di pochi giorni Silvio Berlusconi, non serve indugiare nella biografia, e Flavia Franzoni, docente, esperta di metodi dei servizi sociali e per oltre cinquant’anni moglie di Romano Prodi: anche lui più volte Presidente del Consiglio, leader dello “schieramento avverso” a quello di centrodestra, l’unico ad aver sconfitto Berlusconi nelle urne, due volte. Berlusconi e Prodi hanno rappresentato per un tempo molto lungo due possibili modelli di governo del Paese. Non c’è dubbio che oggi abbia prevalso il modello berlusconiano. Governa infatti la destra che lui ha contribuito a portare a Palazzo Chigi, restandone fino all’ultimo alleato. Non c’è dubbio, altrettanto, che la “nuova sinistra”, quella in sintesi di Elly Schlein, sia figlia politica di Prodi.
La storia non è finita qui, insomma: gli eredi e le eredi scriveranno il seguito.
Ma le omelie, dicevamo. Prima di tutto gli oratori.
A Milano, in Duomo, di Berlusconi ha parlato l’arcivescovo Mario Delpini. Uomo cresciuto nei cortili nei dormitori e nelle aule dei seminari, prima da alunno poi da docente infine da rettore, tutta una vita nei collegi e nelle scuole cattoliche dedicate alla formazione del clero. Nominato vescovo di Milano da Benedetto XIV, confermato da Francesco. A Bologna ha parlato don Matteo Zuppi, prete di strada, animatore di mense e rifugi dei poveri, formato alla comunità di Sant’Egidio, dedito alla cura degli ultimi, oggi presidente della Cei: nominato da Papa Francesco, di recente suo emissario nella difficile trattativa di conciliazione fra Russia e Ucraina. La guerra di invasione. Gli invitati alla cerimonia: a Milano il mondo Mediaset, gli eredi della concessionaria di pubblicità Publitalia 80 da cui ogni fortuna è nata, il Milan, naturalmente, le bionde soubrette i “volti” e i giornalisti delle sue tv, l’emiro del Qatar.
Sergio Mattarella, trattandosi di Funerali di Stato e di lutto nazionale decretato dal governo Meloni, seduto assai silenzioso accanto al ricchissimo emiro. Vedove ufficiali almeno quattro, decine invece quelle non censite — care amiche. A Bologna la sinistra di allora e di oggi, quella in cui è riposta la strenua speranza di un’alternativa eventuale, professori, accademici, infermieri degli ospedali e volontari del terzo settore, maestre, disabili, cittadini semplici, amici d’infanzia del tutto anonimi, la numerosissima famiglia: una corona di figli e nipoti tutti generati da un solo matrimonio, una sola lunghissima storia di complicità intellettuale e di amore.
L’omelia di Delpini aveva il passo e il tono di un’indulgenza plenaria. L’assoluzione da ogni peccato. La comprensione dell’umana debolezza, non sono gli uomini a dover giudicare: Dio accoglie i peccatori. Fondata lessicalmente sulla ripetizione, sull’allitterazione, in qualche modo ipnotica: diceva, ad ogni passo, “è in Dio il giudizio”. Capitolo primo: il desiderio di vita. Era un uomo esuberante, diciamo così. “Vivere e non sottrarsi alle sfide, agli insulti, alle critiche: continuare a sorridere, sfidare, contrastare”.
Sfidare.
Capitolo secondo: il desiderio di “amare ed essere amato”. Certo, chiunque vuol essere amato.
Dipende come. Se con la “manutenzione dell’unione” — dice Zuppi — o con l’accumulazione, la continua incessante sostituzione della fonte di consenso amoroso.
Assolto anche qui, l’umano narcisismo. Chi non lo capisce? L’uomo che “vuol essere contento e ama le feste”, le cene eleganti, le ragazze con lui gentili, le serate “in simpatia”, le battute, che ridere. Assolto, nel nome di Dio. E poi l’uomo d’affari. Deve vincere, un uomo d’affari. Le “imprese spericolate” — qualunque cosa significhi, a spanne intuiamo cosa — le opacità, le alleanze (ma è “un uomo d’affari”), la ribalta permanente, essere “di parte”. Contano i numeri, non i mezzi. Non i compromessi: il risultato. Tutto perdonato. Nel nome di Dio. “Celebriamo il mistero del compimento”.
A Bologna quel “mondo sguaiato di vanagloria” è nell’omelia di Zuppi il metro che calibra il valore del suo opposto. Di chi lavora al rammendo, alla manutenzione dell’unione, alla tutela di chi resta indietro e non vince mai. La cura di chi perde, in questa gara dove solo chi ha soldi comanda e non importa come li ha fatti, i soldi: quello è il mistero (mica tanto) del compimento. Di Flavia Franzoni Zuppi ricorda la mitezza nella radicalità.
L’ostinazione a restare dove c’è qualcuno che esce di strada. “Restare nei luoghi dell’umanità”, in quelli costruire soluzioni. Riparare i guasti, avere pazienza, “essere bussola” per chi cerca il senso di una vita dove non c’è festa ma fatica. Sostenere la fatica. “L’amore vero non si vende e non si compra, non possiede niente e per questo possiede tutto”. Che altro c’è da dire, serve altro?
Non si compra. Forse sì, forse bisogna esortare a non dimenticare. Non cedere alla lusinga del successo, se e quando arriva, con questo cancellando il pezzo di vita che ti ha condotto fin li, non eliminare i testimoni per il favore della nuova gradita telecamera. Forse questo, potremmo cominciare a spiegare meglio ai figli influencer: non è un challenge, la vita. È un cammino e tutto resta, tutto conta — in quel cammino. Non lasciare indietro nessuno, voltarsi a cercare con lo sguardo chi ha inciampato.
Andarlo a riprendere. Insomma. Due omelie, due chiese. Due discorsi solenni, entrambi da opposti pubblici applauditi. Però contano, i criteri. Questo bisognerebbe sottolineare. Conta cosa fai, che risultati ottieni, ma anche come li ottieni. È cruciale, come. Due Italie, due modelli, un solo futuro.
Dipende da quale strada vogliamo indicare. Da quale omelia partire. Quale sentiero, quale esempio.