Trent'anni fa la scomparsa di don Tonino Bello
Ora o mai più
di Sergio Magarelli
Trent’anni. Sì, trent’anni. Tanto, tantissimo tempo è trascorso da quel primo pomeriggio del 20 aprile 1993. Un’infinità di giorni lasciati alle spalle senza ascoltare la sua voce armoniosa, senza ubriacarci della sua travolgente parola e, soprattutto, senza lasciarci trasportare dalla sua credibile e instancabile testimonianza umana, sacerdotale e apostolica. Ma in che modo abbiamo saputo investire, come comunità ecclesiale e comunità civile, quei “talenti” che don Tonino Bello ci ha lasciato in eredità prima di partire per il suo ultimo viaggio? Già, i talenti, simili a quelli che ci richiamano alla famosa parabola dell’evangelista Matteo, dove per trasposizione anche noi possiamo considerarci ereditieri di quei beni che il Vescovo ha voluto affidarci. E oggi, finalmente, dopo tre decenni si presenta a noi la possibilità seria e concreta di una verifica, una propizia occasione per esaminare e capire se siamo stati, come nella citata parabola, “servi buoni e fedeli” oppure “servi malvagi e infingardi”.
La città di Molfetta e la sua Chiesa diocesana hanno ricevuto dal Venerabile don Tonino Bello – più di ogni altra comunità o istituzione al mondo – un grandissimo e prezioso patrimonio etico, religioso e dottrinale. Un bene inestimabile che, diciamocelo francamente, non abbiamo saputo fin qui registrare correttamente sui libri contabili a “partita doppia” della nostra testimonianza di vita, alla quale abbiamo saputo soltanto affiancare una “doppia vita”. Alla voce “dare” siamo ancora oggi nettamente in passivo, e difficilmente arriveremo a pareggiare quelle “entrate” cui il Venerabile con tanta generosità ha dispensato attraverso la sua profezia. In tutti questi anni, inutile negarlo, siamo stati molto bravi soltanto a celebrare puntualmente tutti i suoi anniversari, e per farlo abbiamo invitato vescovi, cardinali e, addirittura, il Papa. Ci mobilitiamo e ci illudiamo di riabilitarci, nel nome di don Tonino Bello, soltanto quando ci fa comodo sfoderare qualche sua parola ad effetto; o quando vogliamo ricordarlo ripetutamente a ogni Santo Natale con i suoi “Auguri scomodi” o per qualche sua iniziativa che fu a sostegno delle persone più fragili, più bisognose, dei poveri, degli ultimi; o con l’organizzazione di conferenze o convegni. Ma alla fine, in poche parole, noi, sì, tutti noi insieme, laici e sacerdoti, religiosi e vescovi, che cosa abbiamo fatto di concreto in questo trentennio attraverso il nostro impegno per rendere la nostra città più vivibile “a misura d’uomo” e la nostra chiesa locale più credibile come “ministra della felicità della gente”? Quali e dove sono i presunti obiettivi e risultati raggiunti, sia nell’ambito ecclesiale sia in quello civile, attraverso queste ripetute celebrazioni? Se celebrare la santità di don Tonino significa per la nostra Chiesa locale battere i piedi per ottenere in Cattedrale le sue spoglie mortali, o per le autorità civili piantare una sua grande croce pettorale nel bel mezzo della villa comunale, allora possiamo concludere che in tutti questi anni non soltanto non abbiamo saputo fruttare i talenti del Venerabile don Tonino, ma che di lui non abbiamo ancora capito un bel cazzo di niente (i lettori ci perdonino questa enfasi verbale).
È arrivato il momento, ora o mai più, di abbandonare definitivamente l’esaltazione effimera del personaggio. Non servirebbe di certo allo stesso don Tonino – di cui non ha avuto bisogno né in vita tantomeno adesso – perché si configurerebbe un’offesa se non proprio alla sua memoria, ma sicuramente alla schiera dei suoi preferiti, gli ultimi. Ultimi di cui siamo tutt’oggi circondati e facciamo ancora fatica a riconoscerli per adoperarci a loro servizio, nelle nostre comunità parrocchiali dove il più delle volte si arranca una pastorale di contenimento e in tutti gli ambiti dove la politica non è ancora in grado di metterli al centro di ogni visione.
A distanza di trent’anni, c’è soltanto un modo per onorare e celebrare la sua memoria, ed è quello di iniziare seriamente a vivere la sua santità, e quel modo ancora una volta ce lo suggerisce il Venerabile: «I Santi ci concedano di trasferire le loro virtù dalla cripta delle buone intenzioni sulle barricate della vita di ogni giorno».
Ecco, noi abbiamo soltanto le buone intenzioni, quello che ci manca è il coraggio di iniziare a praticare seriamente nella nostra Chiesa e nella nostra Città le sue virtù.
Ora o mai più.
(fonte: L'altra Molfetta 20/04/2023)