mercoledì 1 marzo 2023

Naufragio di Cutro - L'analisi e la soluzione proposta: «Non dovevano partire ... Fermiamo le partenze».

Naufragio di Cutro - L'analisi e la soluzione proposta: 
«Non dovevano partire ... Fermiamo le partenze». 


La dimenticata rotta di sud-est. 
Se questa è prima classe

«C’è solo una cosa che di fronte a questa enorme tragedia non doveva essere detta oggi: “Fermiamo le partenze”. Quando ci chiediamo perché intere famiglie con bambini e neonati partono, sapendo che forse possono morire in mare, dovremmo capire che ciò che li spinge a partire è proprio quel forse. Perché l’alternativa a partire è solo una. Morire. I padri, le madri e i bambini morti sulla spiaggia di Cutro avrebbero voluto non dover partire. E sognavano di vivere». Sono le amare e vere parole di Vittorio Zito, sindaco di Roccella Jonica. Lui conosce bene il fenomeno delle migrazioni lungo la rotta turca.

Nel piccolo paese calabrese, non lontano da Cutro, lo scorso anno sono approdate più di 7mila persone, 10mila su tutte le coste reggine, altri 8mila su quelle crotonesi, e circa 2mila su quelle pugliesi. Numeri in costante crescita. L’ultimo rapporto di Frontex riferisce che nel 2022 lungo la rotta turca e mediorientale sono approdati sulle coste europee 42.831 uomini, donne e bambini richiedenti asilo (la metà in Italia), il 108% in più rispetto al 2021. Ma, come ci diceva sempre il sindaco Zito un anno e mezzo fa, «se non c’è una tragedia, non è notizia. Se non ci sono di mezzo le Ong da accusare, non è notizia. L’accoglienza in silenzio non fa notizia».

... Ora che è arrivata la tragedia tanto temuta, tutti intervengono, tutti accorrono, tutti si scandalizzano, denunciano, accusano.

Oggi. Ma dopo tanto silenzio ottuso, ora sarebbe giusto e doveroso un silenzio di vergogna. Nel passato qualcuno era arrivato a dire che questa da sud-est era una «rotta in prima classe», per chi si poteva permettere di pagare anche 8mila euro. Una rotta facile, insomma, e sicura. Senza andare a vedere chi arrivava su quelle barche: afghani, siriani, palestinesi, curdi, iraniani. In fuga da guerre, persecuzioni, violenze.

O, come nella barca naufragata a Cutro, anche somali e pachistani, certamente non partiti da Paesi tranquilli e in pace. Sarebbe bastato andare a guardare, almeno ogni tanto, le facce degli sbarcati, intere famiglie (proprio come quelle affogate a Cutro) anche con disabili gravi (“Avvenire” l’ha raccontato) in viaggio verso la speranza. Cinque-sette giorni di navigazione, spesso in più di cento su barche di 15 metri, gusci svuotati dai trafficanti per stipare più gente e fare più affari. Ma diversamente da altre rotte, come quella libica e quella tunisina, e da altri approdi come Lampedusa o i porti siciliani, la Calabria davvero non ha fatto notizia. E quando domina il silenzio, i trafficanti ringraziano.

E aumentano i loro cinici traffici, anche d’inverno, stagione un tempo senza sbarchi irregolari. E così aumentano i rischi. Fino al dramma, purtroppo non imprevedibile, sicuramente evitabile. Si poteva evitare, si doveva evitare, abbiamo scritto più volte davanti ai morti per un terremoto o un’alluvione. Lo ripetiamo con più forza e dolore oggi, davanti ai teli bianchi che coprono corpi troppo piccoli, sulla bellissima spiaggia calabrese, trasformata in teatro di morte. Quanto durerà l’indignazione, quanto durerà l’attenzione? Purtroppo, altri drammi, su altre coste, sono stati presto dimenticati, o usati solo come strumento di sterile polemica, non per affrontare finalmente, Italia e Europa, in modo concreto il fenomeno migratorio.

Perché davvero il sogno di vivere non si trasformi realtà di morte. Adesso si pensi ai superstiti, al loro futuro, certo diverso da quello che avevano immaginato salendo su quello scassato barcone. Per ora sono stati accolti nel grande Cara di Isola di Capo Rizzuto, quello finito nel passato recente in inchieste di corruzione e ‘ndrangheta, e ancora oggi grande “discarica umana”. ... 
Davvero non c’è altro destino per chi arriva sulle nostre coste scampando alla morte?


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Aiutiamoli a morire a casa loro

Cosa significa «dobbiamo bloccare le partenze»? Significa che milioni di profughi che fuggono dalle guerre, dalla fame, dalla miseria, dalla siccità, dalle inondazioni, devono restare a morire nella propria terra


L’ennesima tragedia dei migranti che muoiono davanti alle nostre coste, che potevano tranquillamente essere salvati prima, ha provocato una reazione unanime nel governo italiano che è stato ben espresso dalla premier addoloratissima per questo ennesimo naufragio: «Basta. Dobbiamo impedire le partenze». Le ha fatto da megafono il ministro Piantedosi: «Non dovevano partire».

Giusto, logico e pragmatico, non fa una grinza. Se nessuno parte su un barcone, gommone o altro mezzo, nessuno muore. Per questa intuizione dovrebbe essere conferito alla presidente del Consiglio, unitamente al suo Ministro degli Interni, uno speciale Nobel per pace, magari con una piccola specificazione: «Per la pace eterna».

Cosa significa «dobbiamo bloccare le partenze»? Significa che milioni di profughi che fuggono dalle guerre, dalla fame, dalla miseria, dalla siccità, dalle inondazioni, devono restare a morire nella propria terra. Ma, stia tranquilla, signora presidente del Consiglio: il 94% dei rifugiati, dei cosiddetti “diplaced people” si spostano all’interno dei loro paesi o in paesi confinanti, come Niger, Congo, Sud Sudan, ecc. Solo il 6% emigra verso altri continenti, non necessariamente in Europa.

Quelli che s’imbarcano per raggiungere le coste del Sud Europa sono quelli che non hanno più niente da perdere. Sono una piccola parte del’1,3 milioni di siriani rimasti intrappolati in Libano in una spaventosa crisi economica che ha generato una forte pressione per rimandarli in Siria dove li attende a braccia aperte Bashar Assad, per dargli l’estrema unzione. Sono i curdi bombardati quotidianamente dal grande «mediatore pacifista» Erdogan, che ricatta persino la Nato per poter giustiziare quei leader curdi che sono rifugiati politici nei paesi scandinavi. Sono tunisini che fuggono dalla miseria che dilaga in questo paese dove le grandi speranza accese dalla Primavera araba stanno definitivamente tramontando. Chi sale, pagando, su un barcone sovraffollato per venire in Italia, sa perfettamente che rischia la vita, ma non ha alternative, non ha una prospettiva diversa, una piccola fiammella di speranza.

Bene. Volete farli morire a casa loro in modo da poter dire «abbiamo salvato tante vite umane da quando abbiamo impedito le partenze verso l’Europa»? Avete ragione: occhio non vede cuore non duole. Infatti, quanti europei o nordamericani sanno che gli ultimi 20 paesi del mondo per reddito pro-capite, aspettativa di vita, livello di istruzione, ecc. , i cosiddetti Last Twenty, sono per oltre i 2/3 paesi attraversati da guerre e conflitti. Guerre alimentate dalle nostre industrie delle armi, fomentate da chi vuole prendersi le risorse di questi paesi, guerre dimenticate che producono fame, devastazione ambientale e migrazioni di massa. Non è la mancanza di investimenti, di risparmio, di know how, di tecnologia, che hanno provocato l’impoverimento di questi paesi, ma le guerre di lunga durata.

E noi cosa facciamo? Aumentiamo la spesa per armamenti fino al 2% del nostro Pil, in modo tale che possiamo continuare ad aiutare questi popoli a casa loro. Se solo spendessimo una piccola parte di questi miliardi per i corridoi umanitari molti rinuncerebbero a rischiare la vita puntando su una futura possibilità di arrivare dignitosamente nel nostro paese. Come già avviene grazie alla Caritas, a Sant’Egidio e alla Federazione delle Chiese Evangeliche, che finanziano i corridoi umanitari dal Libano, dalla Libia, dall’Afghanistan ecc. Si tratta, purtroppo, di piccoli numeri che hanno un grande valore umano – ogni vita salvata ha un valore- ma non possono offrire una risposta adeguata come potrebbe offrirla lo Stato. Ed invece il nostro governo pensa a murare le frontiere, a fare morire in mare i profughi impedendo alla Ong di salvarli, spostando verso Nord i porti autorizzati in modo tale che queste navi umanitarie possano salvare il meno possibile; intanto le nostre industrie cercano disperatamente manodopera che non trovano più, devono ridurre le attività per mancanza di personale. Ma, neanche i richiami di Confindustria riescono a incidere su un governo così spietato, cinico, crudele, come non l’avevamo mai visto. Se non ci sarà una ribellione di massa, se la maggioranza degli italiani resterà indifferente rispetto a queste stragi di migranti, allora avremo perso definitivamente la nostra umanità.
(fonte: Il Manifesto, articolo di Tonino Perna 28/02/2023)

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La partenza intelligente

Quando si parte occorre prendere delle precauzioni, non ci si improvvisa vacanzieri. Qualche piccolo accorgimento per navigare in modo responsabile.


Non dovevano partire. Con quel mare mosso, così tanti su una sola barca.

Dovevano aspettare la bella stagione e prendersi un bel traghetto.

Non dovevano partire. Ma restare lì a ricostruire le loro città, per riportare pace e sviluppo nei loro Paesi. Non si fugge di fronte alle responsabilità della storia. Troppo facile voltare le spalle alla propria terra e andarsene in viaggio di piacere in Europa, mentre i propri concittadini restano nella sofferenza e nella miseria.

Io ad esempio, che sono una personcina responsabile, parto solo quando ho la coscienza a posto. A luglio, quando ho finito di lavorare e il mio Paese è nella pace e nella prosperità, chiedo le ferie, mi procuro i documenti necessari, controllo che ci sia bel tempo, preparo le valigie, mi cospargo di crema protettiva, pago il mio biglietto per un traghetto ampio e climatizzato, e – con la mia famigliola – mi faccio un viaggetto in Grecia.

Mica sono un irresponsabile, io.

Non s’improvvisano le vacanze!

Prendessero esempio da me che faccio: le partenze intelligenti.
(fonte: Vino Nuovo, articolo di Fabio Colagrande 28/02/2023)