mercoledì 8 febbraio 2023

VIAGGIO APOSTOLICO DI PAPA FRANCESCO nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN (Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan) 31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023 - GIUBA 05/02/2023 Il saluto finale a conclusione del viaggio: "Siete nel nostro cuore, siete nei nostri cuori, siete nei cuori dei cristiani di tutto il mondo! Non perdete mai la speranza. E non si perda l’occasione di costruire la pace." (cronaca, foto, testi e video)

VIAGGIO APOSTOLICO DI SUA SANTITÀ FRANCESCO
nella REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO e in SUD SUDAN
(Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan)

31 GENNAIO - 5 FEBBRAIO 2023


Domenica, 5 febbraio 2023

GIUBA - ROMA

8:45 S. Messa presso il Mausoleo "John Garang"
11:00 Cerimonia di congedo presso l'Aeroporto Internazionale di Giuba
11:30 Partenza in aeroporto Internazionale di Giuba per Roma
Conferenza stampa del Santo Padre durante il volo di ritorno
17:30 Arrivo all'Aeroporto Internazionale di Roma/Fiumicino

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SANTA MESSA

Mausoleo "John Garang" (Giuba)


Quella gioia incontenibile nonostante il sole cocente


Papa Francesco ha concluso domenica 5 febbraio la sua visita in Africa con un appello a «deporre le armi», lanciato durante la messa celebrata nella capitale del Sud Sudan alla presenza di oltre centomila fedeli in festa. È stato l’appuntamento conclusivo del suo 40° viaggio apostolico: una visita di sei giorni nel segno della pace e della riconciliazione, iniziata nella Repubblica Democratica del Congo, e proseguita come pellegrinaggio ecumenico a Giuba.

Dopo essersi congedato dal personale e dai benefattori della nunziatura apostolica che lo ha ospitato in questi giorni — lasciando in dono una formella della medaglia commemorativa del viaggio e un calice —, il Pontefice ha raggiunto in automobile il mausoleo “John Garang”.

Sotto un sole cocente fin dal primo mattino, ha compiuto un giro tra la folla a bordo della papamobile, accompagnato dall’ordinario locale, l’arcivescovo Mulla.

Tra bandiere, magliette colorate e qualche strumento musicale, tutti hanno salutato il passaggio della vettura con gioia incontenibile. E di fatto l’afflusso di persone nell’area è proseguito anche durante il rito. Francesco ha benedetto e salutato in particolare le numerose donne e i bambini molto piccoli che erano presenti nella grande piazza, i cui cancelli d’ingresso erano stati aperti alle 5.30 del mattino dalle autorità locali. Agli angoli dei settori, divisi dalla sicurezza con apposite barriere, la distribuzione di bottiglie d’acqua era incessante.

Alla presenza del presidente della Repubblica sud sudanese Salva Kiir Mayardit, il Papa ha presieduto la celebrazione eucaristica in lingua inglese nella quinta domenica del Tempo ordinario. Le preghiere dei fedeli sono state elevate in arabo, dinka, bari, nuer e zande.

«Sono giunto alla fine di questo pellegrinaggio», ha detto tra l’altro Francesco a conclusione del rito, dopo il saluto rivoltogli dall’arcivescovo di Juba. «Desidero esprimere la mia gratitudine per l’accoglienza ricevuta e per tutto il lavoro svolto per preparare questa visita», ha aggiunto tra gli applausi e la commozione che si è trasformata in lacrime di molti dei fedeli presenti.

Dalla sagrestia, infine il Papa si è trasferito all’aeroporto internazionale della capitale del Sud Sudan per la cerimonia di congedo. In un’altra auto, hanno raggiunto lo scalo anche l’arcivescovo Welby e il pastore Greenshields. Il corteo papale è arrivato all’aeroporto intorno alle 11.15 locali. Qui Francesco ha incontrato in privato il capo dello Stato per alcuni minuti, prima di salire sul velivolo che lo ha ricondotto a Roma insieme ai due leader cristiani che lo hanno accompagnato in questo pellegrinaggio ecumenico di pace.

In onore della visita di Papa Bergoglio, il governo sud sudanese, insediatosi nel 2011, ha deciso di dedicargli una strada della capitale, che parte da Kololo Junction square e prosegue fino alla nunziatura apostolica, passando per le sedi diplomatiche dell’Unione europea e degli Stati Uniti d’America.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Silvina Perez 06/02/2023)

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Massimiliano Menichetti racconta l'attesa della Messa a Giuba


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OMELIA DEL SANTO PADRE


Le parole che l’Apostolo Paolo ha rivolto alla comunità di Corinto nella seconda Lettura, vorrei oggi farle mie e ripeterle davanti a voi: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1 Cor 2,1-2). Sì, la trepidazione di Paolo è anche la mia, nel trovarmi qui con voi nel nome di Gesù Cristo, il Dio dell’amore, il Dio che ha realizzato la pace attraverso la sua croce; Gesù, Dio crocifisso per tutti noi; Gesù, crocifisso in chi soffre; Gesù, crocifisso nella vita di tanti di voi, in molte persone di questo Paese; Gesù il Risorto, vincitore sul male e sulla morte. Vengo a voi a proclamarvi Lui, a confermarvi in Lui, perché l’annuncio di Cristo è annuncio di speranza: Egli, infatti, conosce le angosce e le attese che portate nel cuore, le gioie e le fatiche che segnano la vostra vita, le tenebre che vi opprimono e la fede che, come un canto nella notte, levate al Cielo. Gesù vi conosce e vi ama; se rimaniamo in Lui, non dobbiamo temere, perché anche per noi ogni croce si trasformerà in risurrezione, ogni tristezza in speranza, ogni lamento in danza.

Vorrei dunque soffermarmi sulle parole di vita che il nostro Signore Gesù ci ha rivolto oggi nel Vangelo: «Voi siete il sale della terra […]. Voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13.14). Che cosa dicono queste immagini a noi, discepoli di Cristo?

Anzitutto, siamo sale della terra. Il sale serve a dare sapore al cibo. È l’ingrediente invisibile che dà gusto a tutto. Proprio per questo, fin dai tempi antichi, è stato visto come simbolo della sapienza, cioè di quella virtù che non si vede, ma che dà gusto al vivere e senza la quale l’esistenza diventa insipida, senza sapore. Ma di quale sapienza ci parla Gesù? Egli utilizza questa immagine del sale subito dopo aver proclamato ai suoi discepoli le Beatitudini: capiamo allora che sono esse il sale della vita del cristiano. Le Beatitudini, infatti, portano in terra la sapienza del Cielo: rivoluzionano i criteri del mondo e del modo comune di pensare. E che cosa dicono? In poche parole, affermano che per essere beati, cioè pienamente felici, non dobbiamo cercare di essere forti, ricchi e potenti, bensì umili, miti, misericordiosi; non fare del male a nessuno, ma essere operatori di pace per tutti. Questa – dice Gesù – è la sapienza del discepolo, è ciò che dà sapore alla terra che abitiamo. Ricordiamoci: se mettiamo in pratica le Beatitudini, se incarniamo la sapienza di Cristo, non diamo un buon sapore solo alla nostra vita, ma anche alla società, al Paese dove viviamo.

Ma il sale, oltre a dare sapore, ha un’altra funzione, essenziale ai tempi di Cristo: conservare i cibi perché non si corrompano, diventando avariati. La Bibbia, però, diceva che c’era un “cibo”, un bene essenziale che andava conservato prima di ogni altro: l’alleanza con Dio. Perciò a quei tempi, ogni volta che si faceva un’offerta al Signore, si metteva un po’ di sale. Ascoltiamo infatti che cosa dice la Scrittura in proposito: «Nella tua oblazione non lascerai mancare il sale dell’alleanza del tuo Dio; sopra ogni tua offerta porrai del sale» (Lv 2,13). Così il sale ricordava il bisogno primario di custodire il legame con Dio, perché Lui è fedele a noi, la sua alleanza con noi è incorruttibile, inviolabile e duratura (cfr Nm 18,19; 2 Cr 13,5). Perciò il discepolo di Gesù, in quanto sale della terra, è testimone dell’alleanza che Lui ha realizzato e che celebriamo in ogni Messa: un’alleanza nuova, eterna, infrangibile (cfr 1 Cor 11,25; Eb 9), un amore per noi che non può essere incrinato neanche dalle nostre infedeltà.

Fratelli, sorelle, siamo testimoni di questa meraviglia. Anticamente, quando delle persone o dei popoli stabilivano tra loro un’amicizia, spesso la stipulavano scambiandosi un po’ di sale; noi che siamo sale della terra, siamo chiamati a testimoniare l’alleanza con Dio nella gioia, con gratitudine, mostrando di essere persone capaci di creare legami di amicizia, di vivere la fraternità, di costruire buone relazioni umane, per impedire che prevalgano la corruzione del male, il morbo delle divisioni, la sporcizia degli affari iniqui, la piaga dell’ingiustizia.

Oggi vorrei ringraziarvi perché siete sale della terra in questo Paese. Eppure, dinanzi a tante ferite, alle violenze che alimentano il veleno dell’odio, all’iniquità che provoca miseria e povertà, potrebbe sembrarvi di essere piccoli e impotenti. Ma, quando vi assale la tentazione di sentirvi inadeguati, provate a guardare al sale e ai suoi granelli minuscoli: è un piccolo ingrediente e, una volta messo sopra un piatto, scompare, si scioglie, però è proprio così che dà sapore a tutto il contenuto. Così, noi cristiani, pur essendo fragili e piccoli, anche quando le nostre forze ci paiono poca cosa di fronte alla grandezza dei problemi e alla furia cieca della violenza, possiamo offrire un contributo decisivo per cambiare la storia. Gesù desidera che lo facciamo come il sale: ne basta un pizzico che si scioglie per dare un sapore diverso all’insieme. Allora non possiamo tirarci indietro, perché senza quel poco, senza il nostro poco, tutto perde gusto. Iniziamo proprio dal poco, dall’essenziale, da ciò che non compare sui libri di storia ma cambia la storia: nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini, deponiamo le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità; superiamo quelle antipatie e avversioni che, nel tempo, sono diventate croniche e rischiano di contrapporre le tribù e le etnie; impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce. E, anche se il cuore sanguina per i torti ricevuti, rinunciamo una volta per tutte a rispondere al male con il male, e staremo bene dentro; accogliamoci e amiamoci con sincerità e generosità, come fa Dio con noi. Custodiamo il bene che siamo, non lasciamoci corrompere dal male!

Passiamo alla seconda immagine usata da Gesù, la luce: Voi siete la luce del mondo. Una famosa profezia diceva di Israele: «Io ti renderò luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (Is 49,6). Ora la profezia si è compiuta, perché Dio Padre ha inviato il suo Figlio, ed è Lui la luce del mondo (cfr Gv 8,12), la luce vera che illumina ogni uomo e ogni popolo, la luce che splende nelle tenebre e dissipa le nubi di qualsiasi oscurità (cfr Gv 1,5.9). Ma lo stesso Gesù, luce del mondo, dice ai suoi discepoli che anche loro sono luce del mondo. Ciò vuol dire che noi, accogliendo la luce di Cristo, la luce che è Cristo, diventiamo luminosi, irradiamo la luce di Dio!

Gesù aggiunge: «Non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa» (Mt 5,15). Si tratta anche in questo caso di immagini familiari a quei tempi: diversi villaggi in Galilea erano sulle colline, ben visibili da lontano; e le lampade, nelle case, erano poste in alto perché facessero luce in tutti gli angoli della stanza; poi, quando dovevano essere spente, si coprivano con un oggetto di terracotta chiamato “moggio”, che faceva mancare l’ossigeno alla fiamma fino a estinguerla.

Fratelli e sorelle, l’invito di Gesù ad essere luce del mondo è chiaro: noi, che siamo suoi discepoli, siamo chiamati a splendere come una città posta in alto, come un lucerniere la cui fiamma non deve essere mai spenta. In altre parole, prima di preoccuparci delle tenebre che ci circondano, prima di sperare che qualcosa attorno si rischiari, siamo tenuti a brillare, a illuminare con la nostra vita e con le nostre opere le città, i villaggi e i luoghi che abitiamo, le persone che frequentiamo, le attività che portiamo avanti. Il Signore ce ne dà la forza, la forza di essere luce in Lui, per tutti; perché tutti devono poter vedere le nostre opere buone e, vedendole – ci ricorda Gesù –, si apriranno con stupore a Dio e gli daranno gloria (cfr v. 16): se viviamo come figli e fratelli sulla terra la gente scoprirà di avere un Padre nei cieli. A noi è dunque chiesto di ardere d’amore: non accada che la nostra luce si spenga, che dalla nostra vita scompaia l’ossigeno della carità, che le opere del male tolgano aria pura alla nostra testimonianza. Questa terra, bellissima e martoriata, ha bisogno della luce che ciascuno di voi ha, o meglio, della luce che ognuno di voi è!

Carissimi, vi auguro di essere sale che si sparge e si scioglie con generosità per insaporire il Sud Sudan con il gusto fraterno del Vangelo; di essere comunità cristiane luminose che, come città poste in alto, gettino una luce di bene su tutti e mostrino che è bello e possibile vivere la gratuità, avere speranza, costruire tutti insieme un futuro riconciliato. Fratelli e sorelle, sono con voi e vi auguro di sperimentare la gioia del Vangelo, il sapore e la luce che il Signore, «il Dio della pace» (Fil 4,9), il «Dio di ogni consolazione» (2 Cor 1,3), vuole effondere su ciascuno di voi.

Guarda il video dell'omelia

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Al termine della messa, dopo il saluto rivoltogli dall’arcivescovo di Juba, il Papa si è congedato dal Sud Sudan con le seguenti parole.

SALUTO FINALE

Grazie, caro Fratello Stephen, per queste parole. Saluto il Signor Presidente della Repubblica insieme a tutte le Autorità civili e religiose presenti. Sono ormai giunto alla conclusione di questo pellegrinaggio in mezzo a voi e desidero esprimere riconoscenza per l’accoglienza ricevuta e per tutto il lavoro svolto per preparare questa visita, che era una visita fraterna in tre.

Sono grato a tutti voi, fratelli e sorelle che siete accorsi qui numerosi da diverse parti, molti facendo tante ore se non giorni di strada! Oltre che per l’affetto che mi avete manifestato, vi ringrazio per la vostra fede, per la vostra pazienza, per tutto il bene che fate e per le fatiche che offrite a Dio senza scoraggiarvi, sapendo andare avanti. In Sud Sudan c’è una Chiesa coraggiosa, imparentata con quella del Sudan, come ci ricordava l’Arcivescovo, il quale ha menzionato la figura di santa Giuseppina Bakhita: una grande donna, che con la grazia di Dio ha trasformato in speranza la sofferenza patita. «La speranza, che era nata per lei e l’aveva “redenta”, non poteva tenerla per sé; questa speranza doveva raggiungere molti, raggiungere tutti», ha scritto Benedetto XVI (Lett. enc. Spe salvi, 3). Speranza è la parola che vorrei lasciare a ciascuno di voi, come un dono da condividere, come un seme che porti frutto. Come ci ricorda la figura di santa Giuseppina, la speranza, qui specialmente, è nel segno della donna e vorrei ringraziare e benedire in modo speciale tutte le donne del Paese.

Alla speranza vorrei associare un’altra parola, la parola di questi giorni: pace. Con i miei Fratelli Justin e Iain, che ringrazio di cuore, siamo venuti qui e continueremo ad accompagnare i vostri passi, tutti e tre insieme, facendo tutto quello che possiamo perché siano passi di pace, passi verso la pace. Vorrei affidare questo cammino di tutto il popolo con noi tre, questo cammino della riconciliazione e della pace a un’altra donna. È la nostra tenerissima Madre Maria, la Regina della pace. Ci ha accompagnato con la sua presenza premurosa e silenziosa. A lei, che ora preghiamo, affidiamo la causa della pace in Sud Sudan e nell’intero Continente africano. Alla Madonna affidiamo anche la pace nel mondo, in particolare i numerosi Paesi che si trovano in guerra, come la martoriata Ucraina.

Carissimi fratelli e sorelle, torniamo, ognuno di noi tre, alla propria sede, portandovi ancora di più nel cuore. Lo ripeto: siete nel nostro cuore, siete nei nostri cuori, siete nei cuori dei cristiani di tutto il mondo! Non perdete mai la speranza. E non si perda l’occasione di costruire la pace. La speranza e la pace dimorino in voi, la speranza e la pace dimorino in Sud Sudan!

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Cerimonia di congedo presso l'Aeroporto Internazionale di Giuba Partenza per Roma

Al termine della Santa Messa presso il complesso del Mausoleo “John Garang”, il Santo Padre Francesco si è trasferito all’Aeroporto Internazionale di Giuba per la Cerimonia di congedo dal Sud Sudan.

Al Suo arrivo, insieme all’Arcivescovo di Canterbury, Sua Grazia Justin Welby, e al Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, il Pastore Iain Greenshields, il Papa è stato accolto dal Presidente della Repubblica, S.E. il Sig. Salva Kiir Mayardit, all’ingresso della VIP Lounge dove ha avuto luogo un breve incontro in privato. Quindi, dopo il saluto delle Delegazioni e la Guardia d’Onore, Papa Francesco è salito a bordo di un A359/ITA Airways per far rientro in Italia.

L’aereo con a bordo il Santo Padre di ritorno dal Viaggio Apostolico nella Repubblica Democratica del Congo e dal Pellegrinaggio Ecumenico di Pace in Sud Sudan, decollato dall’Aeroporto Internazionale di Giuba alle ore 11.56 locali (10.56 ora di Roma), è atterrato all’Aeroporto Internazionale Leonardo da Vinci di Roma Fiumicino alle ore 16.49.



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In un minuto, il viaggio del Papa in Sud Sudan


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La partenza dall'aeroporto di Giuba raccontata da Massimiliano Menichetti


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Durante il volo, si è svolta la tradizionale conferenza stampa con i giornalisti che hanno accompagnato il Papa in questo suo 40.mo viaggio apostolico in Repubblica Democratica del Congo e Sud Sudan. Il volo A359 di Ita Airways ha sorvolato Sudan, Egitto e Grecia. Dopo quasi 5 mila chilometri di viaggio e sei ore e 45 minuti, l’aereo è atterrato all’aeroporto di Roma Fiumicino alle 16.49.

Vedi il post:

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Vedi anche il post: (all'interno link a quelli precedenti)