mercoledì 15 febbraio 2023

Andrea Monda Il momento della compassione

Andrea Monda
Il momento della compassione


“Muoversi a compassione”. L’espressione verbale in italiano dice precisamente la verità di questa realtà umana, squisitamente umana: compatire non è tanto sentire, quanto muoversi. «La compassione», infatti, «non è un sentimento», è questo il pensiero di Papa Francesco espresso più volte e ripetuto anche nel recente viaggio in Africa.

Può sembrare una frase forte, ad effetto, quasi choc per la società occidentale contemporanea, intrisa di un diffuso sentimentalismo. Se si prova a chiedere oggi una definizione dell’amore (fratello della compassione) la risposta immediata sarà sicuramente una: l’amore è un sentimento. E questo porta con sé non poche conseguenze. Alcune di esse le vediamo tutti i giorni: la crisi delle relazioni umane, diventate così fragili, deboli, ondivaghe, esattamente come ondivago è il sentimento.

Un’altra conseguenza è la perdita della visione. Negli anni ’60 la scrittrice cattolica Flannery O’Connor osserva con il suo linguaggio secco e tagliente come in una società intrisa di sentimentalismo «si guadagna in sensibilità e si perde in visione. Se sentivano meno, altre epoche vedevano di più, anche se vedevano con l’occhio cieco, profetico, insensibile dell’accettazione, vale a dire della fede. Ora in assenza di questa fede siamo governati dalla tenerezza. Una tenerezza che da tempo, staccata dalla persona di Cristo, è avvolta nella teoria. Quando la tenerezza è separata dalla sorgente della tenerezza, la sua logica conseguenza è il terrore. Finisce nei campi di lavoro forzato e nei fumi delle camere a gas».

È giusto e umano provare forti sentimenti ma è ancora più giusto essere consapevoli che il sentimento ci emoziona e può arrivare ad accecarci, mentre l’amore non (solo) sentimentale, permette di vedere meglio le cose e le persone, esattamente come sono, e soprattutto di muoversi verso di esse. «La compassione ti fa vedere le realtà come sono;» ha affermato il Papa in un’omelia a Santa Marta del 17 dicembre 2019, «la compassione è come la lente del cuore: ci fa capire davvero le dimensioni. E nei Vangeli, Gesù tante volte viene preso dalla compassione. La compassione è anche il linguaggio di Dio».

Un’amore e una compassione schiacciati sul sentimento sono frutti di un approccio ideologico, nel senso che un elemento, vero ma parziale, di una realtà viene assolutizzato: l’amore sarebbe quindi tout-court sentimento, nient’altro. E invece c’è ben altro.

Lo aveva intuito bene il genio di Dante nel suo grande poema sull’amore, sul suo amore per Beatrice, che si chiude con il famoso verso: «L’amor che move il sole e l’altre stelle». L’amore è questa potenza divina.

Ancora una volta il verbo “muovere”. Ci si muove a compassione perché si è mossi, com—mossi. Si è compassionevoli quindi perché si viene presi dalla compassione, così come dall’amore; entrambi sono virtù ma non nel senso che sono frutto delle nostra capacità ma al contrario sono una “forza” (virtus in latino) più grande di noi, che ci raggiunge come un dono che ci permette di fare cose ben più grandi di quelle che faremmo solo sull’onda dell’emozione o del sentimento. L’amore, costante, tenace, di una madre per i figli è un esempio di questa forza oblativa così libera e così poco legata al mero sentimento.

Il punto è che Papa Francesco ha in mente, e non potrebbe essere altrimenti, la compassione e l’amore di Gesù, che «ci insegna che la compassione, l’amore, non è un sentimento vago», ha affermato nella catechesi del 27 aprile 2016, «ma significa prendersi cura dell’altro fino a pagare di persona». E quattro mesi dopo, il 17 agosto, lo ha ribadito osservando come «La compassione di Gesù non è un vago sentimento; mostra invece tutta la forza della sua volontà di stare vicino a noi e di salvarci. Ci ama tanto Gesù, e vuole essere vicino a noi […] Il Signore va incontro alle necessità degli uomini, ma vuole rendere ognuno di noi concretamente partecipe della sua compassione».

Una tale compassione non è un di più, ma l’essenza stessa di un’esistenza che sia realmente e pienamente umana; questo è quello che pensa Dostoevskij che ne L’idiota afferma: «La compassione è la più importante e forse l’unica legge di vita dell’umanità intera» e nello stesso romanzo ne dà una perfetta definizione: «Non passione ci vuole, ma compassione, capacità cioè di estrarre dall’altro la radice prima del suo dolore e di farla propria senza esitazione». Per questo lavoro di “estrazione” è però necessario, prima, quella visione che rischia di perdersi se dilaga il sentimentalismo o, peggio, il moralismo. Lo aveva ben chiaro il teologo Dietrich Bonhoeffer: «Dobbiamo imparare a considerare le persone meno alla luce di ciò che fanno o dimenticano di fare, e più alla luce di ciò che soffrono».

Apriamo gli occhi dunque, e teniamoli lucidi e aperti negli occhi degli altri per scoprire le loro sofferenze e vivere quella realtà esclusivamente umana che è l’arte della compassione.
(fonte: L'Osservatore Romano 14/02/2023)