venerdì 30 dicembre 2022

LA COMPLESSITÀ DEL DIO BAMBINO È UNA PROVOCAZIONE NON SOLO PER LA FEDE

CARA MURGIA, LA COMPLESSITÀ DEL DIO BAMBINO
È UNA PROVOCAZIONE NON SOLO PER LA FEDE


Il teologo Gilfredo Marengo replica alla riflessione della scrittrice che ha sostenuto che “i cattolici amano un Dio Bambino perché rifiutano la complessità”: «Quel Bambino e la sua Famiglia sono il segno, inatteso e inimmaginabile, dell’agire salvifico di Dio tra gli uomini, da secoli atteso, ma che si compie in una forma assolutamente nuova e impensabile»

Il teologo Gilfredo Marengo
In molte parti d’Italia si usa dire che un fatto dalla brevissima vita dura – appunto - “da Natale a Santo Stefano”. È il destino che appartiene nel nostro tempo a molti dibattiti che diventano d’un tratto protagonisti nello scenario della comunicazione e che, per la loro esile consistenza, appena accesi già si spengono. Così si può dire di quanto si sta agitando intorno alle affermazioni della scrittrice Michela Murgia secondo la quale la commozione davanti al Presepe, dove Gesù Bambino nasce, sarebbe il segno che la fede cattolica non è capace di misurarsi con la complessità dell’esistenza e del mondo. Suggerire quanto sia urgente per la vita dei cristiani lasciarsi provocare da tale complessità è sempre utile e non lo si fa mai abbastanza.

Prendere pretesto dal Presepe è ingenuo o superficiale. Il prossimo anno si celebreranno gli ottocento anni dalla sua “invenzione” per opera di San Francesco: è arduo accusare il Santo di Assisi di vivere una fede zuccherosa e incapace di misurarsi con i drammi della storia. È legittimo non apprezzare alcuni canti liturgici, ma converrebbe non dimenticare che il Poverello ha testimoniato che non per modo di dire “Dio si è fatto come noi per farci come Lui”: lo si vede, però, nei segni delle stimmate dove il Santo “diventa” come quel Bambino, ormai uomo fatto, morto in croce per la salvezza del mondo.

Il fastidio di fronte a qualunque “retorica zuccherosa” è sempre da condividere; ma ci si può chiedere se essa sgorghi dal Presepe o non piuttosto da una sensibilità, oggi pervasiva, in cui la perdita della memoria dell’evento che ci fa festeggiare il Natale, lo riduce a luci, canzoncine e pacchetti di regali pieni di stelline luccicanti.

Certamente si può leggere la vicenda della Sacra Famiglia tenendo sul fondo dello sguardo le storie di emigrazione, violenze ed emarginazione che segnano drammaticamente il nostro presente.

Allo stesso tempo, non sarebbe inutile guardare il Presepe con lo sguardo di Giuseppe, commosso per un Figlio che non era suo, nato da una donna che era sua moglie, ma da amare secondo modi mai prima conosciuti, ultimamente divini. Quel Bambino e quella Famiglia (Sacra) era il segno, inatteso e inimmaginabile, dell’agire salvifico di Dio tra gli uomini, da secoli atteso, ma che si compiva in una forma assolutamente nuova. La commozione, lieta e drammatica, del Falegname di Nazareth non ha nulla di zuccheroso ed è desiderabile per ciascuno di noi anche oggi.
(fonte Famiglia Cristiana, articolo di Gilfredo Marengo 28/12/2022)

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Per comprendere meglio la riflessione del teologo Gilfredo Marengo 
 
Michela Murgia
I cattolici amano un dio bambino perché rifiutano la complessità

La storia della Sacra Famiglia è ricca e difficile: racconta di migranti, schiavi, povertà. Assomigliare alla divinità non è alla nostra portata. È umano soffrire, sbagliare, perdere.


Il cattolicesimo è l'unica tra le confessioni cristiane a infantilizzare il suo Dio.

Non è raro vedere chiese, ospedali e ordini religiosi intitolati a un Bambin Gesù di cui nel Vangelo non c'è traccia, oltre la nascita. Tanto meno gli evangelisti hanno scritto sull'infanzia di Gesù ...
Nelle altre chiese di derivazione evangelica la devozione per Gesù neonato - o per Maria bambina, di sponda - è praticamente inesistente e le poche eccezioni, come il Bambino di Praga, restituiscono l'immagine di un infante mistico, per nulla tenero, un'inquietante miniatura d'adulto ... 

Solo i cattolici hanno compiuto nella persona del Cristo incarnato l'idealizzazione dell'infanzia, costruendo intorno alla sua nascita una retorica di tenerezza zuccherosa priva di riscontro biblico. Nelle Scritture il racconto della nascita di Gesù somiglia infatti più alla trama di un film drammatico, sebbene cominci da un innesco piuttosto banale, di quelli in cui potremmo presto o tardi incappare tutti: si parte da un viaggio scomodo intrapreso per obbligo burocratico imposto dal governo. ... 
I protagonisti sono un padre che cerca di far fronte agli imprevisti, una madre stremata e un bambino ignaro che finirà oggetto di una caccia all'uomo perché frainteso come aspirante al trono dal re complottista di quella piccola colonia dell'impero, perché meno è il potere che si ha, più si ha paura di perderlo. A passare da cittadini obbedienti a profughi a volte basta un attimo, eppure non si era partiti male. La famiglia di Nazaret era modesta, ma non indigente ... 
Non c'è razzismo in chi respinge, non c'è odio, nessun problema personale né ideologico: Giuseppe e Maria finiscono senza tetto per un fatto puramente tecnico e del tutto ragionevole. In quelle pagine evangeliche una donna partorisce per terra in una stalla in mezzo agli animali, ma chiunque può dire sereno «non è colpa mia». ... 
                                                                                                                                                                      
Perché mai di questa vicenda così piena di colpi di scena e cose spaventose, dove la posta in gioco è la vita stessa e tutto può andar perduto in un attimo, ci è rimasta attaccata alla fantasia solo l'icona della capanna (anzi della capannina) splendente e magica, degli angeli (anzi angioletti), che cantano la pace santa e dei pastori (anzi, pastorelli) che recano doni al bambino (meglio, al bambinello) che dovrebbe rappresentare la sacralità intoccabile delle nostre famigli(ole) al sicuro? Dio si è fatto come noi per farci come lui, recita il verso di un noto canto d'Avvento ... 

Anche se gli analisti tratteranno spesso pazienti convinti del contrario, diventare come Dio non è alla nostra portata. Dio si è fatto come noi perché ha preso sul serio il nostro essere umani, tutti: il padre, la madre, il bambino, l'albergatore, il pastore, il re complottista, la sua guardia e il primo egiziano che ha offerto un lavoro a Giuseppe profugo. Umano è obbedire a un potere che governa con la forza. Umano è chiedere riparo se viaggi e altrettanto lo è chiedere dei soldi in cambio, ma è umano anche non avere più posto da dare nonostante i soldi. Umano è temere che un altro ti porti via quel che hai, fino a puntargli una spada contro, ma lo è anche lasciare una patria per salvare la vita che quella spada sta minacciando. Umano è tutto quello che ci costringe ad abitare la contraddizione, che è sempre un posto scomodo. 

Se l'unica incarnazione che ci commuove è quella del neonato, è perché è più facile rendere la divinità bambina che l'umanità adulta davanti alle sue contraddizioni.