martedì 1 novembre 2022

Giuseppe Florio CHI SONO I SANTI?

Giuseppe Florio*

CHI SONO I SANTI?
Masaccio, L'elemosina di Pietro (1424-28), part. Firenze, Cappella Brancacci al Carmine


“Santo, santo, santo il Signore degli eserciti! Tutta la terra è piena della sua gloria” (Is 6, 3). Così si esprimeva Isaia settecento anni prima del Cristo.
Dio, nel suo mistero, è e resta l’ineffabile, e nessuna parola umana riesce contenere e trasmettere la sua realtà. Non sarà possibile dargli un nome.

Una possibile comunione di vita con Dio

I profeti, esprimendo la lenta maturazione del popolo, intuiscono però che il Dio “santo”, malgrado la sua alterità assoluta, è entrato in relazione con noi, ha cercato la comunione con l’uomo.

Solo Israele, nelle culture del mediterraneo e del Medio Oriente, ha intuito (con “l’Alleanza”) che è possibile una comunione di vita con il Dio ineffabile e unico. È così che troviamo, per esempio nel Deuteronomio, affermazioni sorprendenti. “Tu infatti sei un popolo consacrato al Signore, tuo Dio: il Signore, tuo Dio, ti ha scelto per essere il suo popolo particolare fra tutti i popoli che sono sulla terra” (Dt 7,6).

Il popolo scopre di essere ‘proprietà’ del Dio tre volte santo. E allora come rispondere? Come partecipare alla sua ‘santità’? Per questo è lentamente sorta la Legge, per essere certi di camminare nelle vie di Dio. Per questo c’è un tempio con il suo culto, per rendere onore al Dio santo ed entrare in comunione con lui. Per chiedere la sua misericordia.

Ma per il culto era previsto un ‘mediatore’: il sacerdote. Esiste l’infedeltà, il peccato, e il suo compito era di invocare il perdono del Dio santo sul popolo. A questo punto ci troviamo di fronte ad un quadro piuttosto complesso per quanto riguarda la santità.

Tra impurità e misericordia

Nel Levitico leggiamo: “Siate santi, perché santo sono io, il vostro Dio” (Lv 19, 2). Per rispondere a questo invito, per partecipare alla santità di Dio, bisognava passare dal livello profano della vita al livello sacro. È così che è sorto un sistema di ‘separazioni’ rituali per essere certi di ottenere i favori di Dio. Il cap. 21 del Levitico ne esplicita alcune, riguardanti i sacerdoti, molto rigorose. Ma sono molto dettagliate e insistenti le prescrizioni sull’impurità, per evitare di compromettere il buon esito del culto.

Un lebbroso, ad esempio, era considerato impuro e non poteva andare al Tempio. Che dire? Forse ci è lecito pensare che era stata dimenticata, da questa religiosità rituale, quell’immagine di Dio, nuova e originale, che ci è trasmessa nei primi capitoli dell’Esodo. “Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto … conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo dal potere dell’Egitto” (Es 3, 7-8). E ancora, poco più avanti: “Sono venuto a visitarvi e vedere ciò che viene fatto a voi in Egitto … Vi farò salire dalla umiliazione dell’Egitto verso la terra dove scorrono latte e miele” (Es 3, 16-17).

Sono parole incredibili, mai applicate a nessuna divinità di quel tempo. Il Dio santo “scende”, senza la mediazione di alcun culto. E scende proprio verso un popolo misero al quale il faraone ha reso “la vita amara” (Es 1, 14). La ‘kenosis’ di Dio! Nessuno l’aveva mai prevista, e sarà Mosé a manifestarla concretamente.

La novità di Gesù di Nazareth

Gesù di Nazareth porterà a compimento questa ‘kenosis’ di Dio. Quando ha deciso di “scendere” nella vita misera della sua gente in Galilea non lo ha fatto come sacerdote dedito al culto, ma come un profeta. Così il popolo lo ha percepito (non era della tribù di Levi ma di Giuda).

E nella sua vita itinerante, annunciando che il Regno di Dio era già presente, come ha caratterizzato la sua ‘discesa’? Con il culto? No. Si è rivolto ai miseri con tutta la sua umanità, con la più grande fraternità. Proprio nella sua umanità si è resa visibile, una volta per sempre, quella ‘comunione’ con il Dio santo che nei secoli era stata intuita.

Ha agito con una grande libertà dalla Legge. Non ha esitato a relazionarsi con gli impuri. Nel suo tempo erano sette le categorie degli impuri: i lebbrosi, le donne mestruate, i cadaveri, i pagani, i Samaritani, i pubblicani, le prostitute. Si direbbe che più che del peccato si preoccupa dei ‘peccatori’. E non chiede di convertirsi alla Legge. Ecco la vera ‘conversione’: per Gesù la persona viene sempre prima della Legge e del culto del Tempio.

Inoltre, nei vangeli sono almeno una ventina le guarigioni (a quel tempo si riteneva che la malattia fosse un castigo). Verso i sofferenti Gesù si è relazionato con un amore compassionevole e gratuito. Per almeno 12 volte ricorre, nei vangeli, il verbo ‘splankizomai’, l’amore viscerale, di pancia, verso gli umiliati.

Così lo descrive Matteo: “Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte. Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, senti compassione per loro e guarì i loro malati” (Mt 14, 13-14).

Come stupirsi se proprio questa sua umanità lo ha posto in conflitto con ‘la religione’? Non potremo mai dimenticare in che modo il Gesù storico si è relazionato con il mondo degli umiliati e dei sofferenti. E a questo punto non possiamo tralasciare di prendere in considerazione il mistero della sua morte. Già sappiamo che ha subito la morte infamante della croce, è stato un crocifisso. Un innocente che ha condiviso la sorte di tante vittime innocenti, eliminate dalla crudeltà umana.

Una morte per dono gratuito

Nella lettera ai Corinti, 25 anni circa dopo la resurrezione, troviamo il primo Kerigma scritto per le comunità cristiane. Come è stata presentata e proposta quella morte scandalosa? “Vi proclamo poi, fratelli, il Vangelo che vi ho annunciato e che voi avete ricevuto … A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture …” (1Cor 15, 1-3).

Gesù viene annunciato come colui che è morto “per”. Anche nella cultura greca si celebra chi è stato messo a morte ma è sempre una morte per motivi nobili e in Israele non è mai stato scritto che qualcuno sia morto per i peccati degli altri. Quel “per” indica la finalità, l’intenzione del dono di sé, un’offerta personale che dimostra per sempre l’amore di Dio per noi.

Quella morte è stata un puro dono di amore gratuito, senza aver chiesto alcuna condizione previa. Prima di tutto siamo stati amati. Ecco “il Vangelo”. E a noi è chiesta la fede; non ci è chiesto di passare la vita nell’espiazione per i nostri peccati e quelli del mondo.

La santità nella prossimità

E qui nasce la libertà del cristiano. È libero “per” … per amare, per servire. E può vivere la kenosis in una comunione salvifica direttamente con il Cristo. Non è filantropia o una vaga fratellanza, è un confronto diretto con il Cristo “che mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Ga 2, 20). E ancora: “Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo” (Ga 6, 2).

A questo punto merita ricordare quanto è stato scritto nella lettera agli Ebrei, composta pochi anni dopo quella di Paolo ai Corinti. Così si esprime l’autore: “Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Cristo, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi …” (Eb 10, 19-20).

Gesù ha inaugurato una “via nuova”. È finito il tempo delle ‘separazioni’. Per questo chi ha tenuto gli occhi aperti sul dolore del mondo e delle vittime rende davvero visibile la prossimità di Dio. È vero per i credenti e anche per i non credenti. Ma ora è chiaro che siamo di fronte all’assoluto del cristiano. Cercherà il Dio santo nella ‘prossimità’.

E allora … chi sono i santi? Sono coloro che hanno imparato a “scendere”. Sono tutti coloro che hanno percorso “la via nuova”. Ma nella vita ‘profana’, dove incontriamo quanti hanno fame, sete, con gli stranieri, i nudi, i malati e i carcerati (Mt 25, 31-46).

I santi sono tutti coloro che hanno amato e servito senza nulla chiedere in cambio.

E infine, quanta gioia abbiamo recentemente provato nel vedere le immagini di Charles de Foucauld e del vescovo Romero pendere sui balconi di s. Pietro. Sono stati dichiarati “santi”. Hanno vissuto la kenosis fino alla morte. Per diventare “fratelli universali” o per risanare la violenza del loro popolo. E quanto è grande il numero di “santi” che non hanno avuto l’onore degli altari. E sono anche loro che hanno reso più umano questo nostro mondo.

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“Non vedremo sbocciare dei santi finché non ci saremo costruiti dei giovani che vibrino di dolore e di fede pensando all’ingiustizia sociale”. (don Lorenzo Milani)

Giuseppe Florio*
Teologo biblista. Dopo gli studi di filosofia e teologia presso l’Università di Friburgo (Svizzera), ha conseguito il dottorato in teologia biblica alla Gregoriana di Roma. Si è formato alla spiritualità di Charles de Foucauld.

[L’immagine che correda l’articolo è ripresa dal sito: it.wikipedia.org]
(fonte: Viandanti 26/10/2022)