mercoledì 19 ottobre 2022

Pace a tutti i costi, contro ogni guerra di Luigi Bettazzi


Quando giunsi al concilio, all’inizio del secondo periodo (fui ordinato vescovo il 4 ottobre 1963), trovai i vescovi pensosi per la morte di Papa Giovanni XXIII e l’inizio del pontificato di Papa Paolo VI, ma anche per il messaggio lasciato da Papa Giovanni con la sua lettera enciclica Pacem in terris (11 aprile 1963). Era stato quasi il suo testamento (neanche due mesi prima della morte!), suggeritogli dall’essere stato provvidenzialmente strumento di pace tra gli Stati Uniti e la Russia nella tensione per la “crisi di Cuba”. Fidel Castro aveva respinto il tentativo di invasione di esuli cubani protetti dagli Usa e aveva chiesto aiuto alla Russia, che stava inviando missili, provocando la minaccia di Kennedy di bombardare Cuba. Le due potenze non volevano la guerra, ma non potevano evitarla, e l’appello pubblico di Papa Giovanni (concordato con loro) aveva permesso alle due potenze di fermarsi senza “perdere la faccia”.

L’enciclica di Papa Giovanni non solo parlava della pace — fondata sulla verità, la giustizia, l’amore, la libertà, nelle convivenze personali e nei rapporti tra gli esseri umani e i poteri pubblici, sia all’interno delle singole comunità politiche come tra queste fra di loro — ma, parlando delle necessità di un progressivo disarmo, giungeva ad affermare (n. 67): «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». La traduzione sfumava il latino «alienum a ratione» che vuol dire esattamente «è una follia», come va ripetendo Papa Francesco.

La novità era altresì che il Papa non si rivolgeva solo ai cattolici, bensì «a tutti gli uomini di buona volontà». I vescovi del concilio decisero allora di raccogliere spunti di idee circa le qualità positive dell’umanità in un documento veramente “pastorale”, come Papa Giovanni aveva voluto il concilio (non tanto “dogmatico”, che definisce dogmi, verità, scomunicando quanti non li accettano, ma appunto “pastorale”, impegnato ad aiutare i fedeli ad accogliere quelle verità e a viverle). Nacque così la costituzione pastorale Gaudium et spes (doppiamente “conciliare”, perché non prevista ma nata in concilio), essa pure rivolta «indistintamente a tutti gli uomini». Essa infatti non contrappone i cristiani a tutti gli altri esseri umani, ma a tutti illustra i veri valori umani, richiamando i primi a viverli compiutamente nella luce e per la forza della Rivelazione. Lo enuncia l’inizio stesso della costituzione: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo... ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti».

Tra questi “valori”, nel capitolo su «la vita della comunità politica», emerge quello della pace, che «non è semplice assenza della guerra, ne può ridursi al solo rendere stabile l’equilibrio delle forze contrastanti, né è effetto di dispotica dominazione, ma essa viene con tutta esattezza definita opera della giustizia» (n. 78); e poiché essa «nasce dall’amore del prossimo, è immagine ed effetto della pace di Cristo... tutti i cristiani sono pressantemente chiamati a praticare la verità nell’amore e ad unirsi a tutti gli uomini sinceramente amanti della pace per implorarla dal cielo e attuarla» (ivi).

La costituzione passa poi a considerare l’inumanità della guerra, con crescenti devastazioni derivate dal «progresso delle armi scientifiche» (n. 80). Ne derivava lo stimolo ad una considerazione sulla liceità stessa della guerra; e v’era chi voleva (ad esempio l’arcivescovo di Parigi, cardinale Feltin, e quello di Utrecht, cardinale Alfrink, che seppi poi essere l’uno il presidente in carica di Pax Christi internazionale e l’altro il suo primo successore) la condanna netta in forza della Rivelazione («non uccidere»). Ma c’era una forte, diffusa resistenza, in particolare dei vescovi americani (gli Usa erano allora impegnati in Vietnam nella guerra contro i comunisti), i quali scongiuravano: «non pugnalate alle spalle i nostri giovani, che in Estremo Oriente stanno difendendo la civiltà cristiana!». S’è giunti però alla condanna della “guerra totale” (allora era indicata come abc, cioè Atomica, Biologica, Chimica), come ormai sono tutte le guerre, ed è l’unica condanna di tutto il concilio pastorale: «ogni atto di guerra, che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città e di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e la stessa umanità e con fermezza e senza esitazione dev’essere condannato» (n. 80). Le parole sono chiare, tanto che alcuni moralisti erano giunti a dichiarare che il cristiano non potrebbe fare il soldato se non facendo obiezione di coscienza, almeno implicita, alla “guerra totale”.

La costituzione continua condannando la corsa agli armamenti che è «una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri», perché «mentre si spendono enormi ricchezze per la preparazione di armi sempre nuove, diventa poi impossibile arrecare sufficiente rimedio alle miserie così grandi del tempo presente» (81): e si sollecitano interventi globali e decisi, soprattutto dell’Onu (che è frenata dai “veti” delle cinque Nazioni che hanno vinto la seconda Guerra mondiale).

È necessario che si giunga davvero ad una sincera volontà di “pace a tutti i costi”, contro la tradizionale mentalità che solo la violenza della difesa possa fermare la violenza dell’offesa: ma, se la guerra è una follia, lo è anche la guerra cosiddetta di difesa.

Allora, si devono accettare passivamente anche le oppressioni e le ingiustizie? No, si deve invece escogitare come reagire in modo non violento. Gesù ha dato l’insegnamento e l’esempio della nonviolenza, della mitezza, e dobbiamo credere che la croce porta sempre con sé anche la risurrezione. Ce ne ha offerto l’esempio anche il Mahatma Gandhi, che diceva di averlo appreso pure dal Vangelo, confessando poi che non si era mai fatto cristiano vedendo quanto poco i cristiani lo mettessero in pratica in questo ambito.

Ripensiamo allora a Papa Giovanni, riprendiamo in mano il concilio e ascoltiamo Papa Francesco, per compiere seriamente un cammino di pace.

(fonte: blog di Enzo Bianchi)