venerdì 21 ottobre 2022

«CHIEDERE AIUTO È SEGNO DI MATURITÀ»

«CHIEDERE AIUTO È SEGNO DI MATURITÀ»

Lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet commenta i dati della Commissione Europea sulla richiesta di bonus psicologico. Il 60 per cento viene da giovani under 35. «E' una "bella notizia" perché significa che vogliono prendere in mano i propri problemi a fronte di una difficoltà oggettiva»



Lo psichiatra e piscoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet
I dati recentemente diffusi dalla Commissione Europea per quel che concerne le richieste del “bonus psicologo” in Italia, sono piuttosto preoccupanti. Su 300.000 domande, oltre il 60%, pari a 180.000, proviene da cittadini sotto i 35 anni: il 43,55% riguarda giovani tra i 18 e i 35 anni, mentre il 16,62% è a favore di minori (0-18 anni).

Pandemia, guerra, inflazione, caro-bollette sono tutti fattori che sicuramente incidono, ma anche lo stress lavorativo, il timore di perdere il lavoro in un periodo di incertezze, i cambiamenti subentrati nei luoghi e negli orari adibiti all’ambito lavorativo hanno avuto conseguenza, soprattutto sui più giovani, su quello che è il benessere psicologico.

Ne parliamo con lo psichiatra e psicoterapeuta Gustavo Pietropolli Charmet, che è stato primario in diversi ospedali psichiatrici e docente di Psicologia Dinamica all’Università Statale di Milano e all’Università di Milano Bicocca. «Non mi stupisce che una maggiore richiesta di sostegno e di aiuto provenga dai giovani e che rispetto a questo siano meno interessate persone che hanno superato i 40 anni. Anzi è auspicabile che succeda questa cosa perché l’età migliore per poter far sì che la consultazione sia efficace è proprio quella che va dai 20 ai 30 anni quando, finita l’adolescenza, si aprono le scelte fondamentali della vita: il lavoro, il matrimonio, i figli, la scelta territoriale, la separazione dal gruppo di amici. È un periodo molto travagliato per le decisioni da affrontare e per le occasioni che il mondo ti mette di fronte».

Un aiuto indispensabile per orientarsi nelle scelte della vita eppure a lungo trascurato.

«Come psicologi abbiamo fatto di tutto perché chi si sente anche vagamente confuso o non sa che fare prenda in considerazione l’aiuto psicologico. Abbiamo promosso l’idea che la consultazione psicologica sia utile a chiarirsi le idee. Nel caso degli adolescenti abbiamo fatto di tutto per avvicinare il microfono alle loro richieste ed è stato un successo. Non come dogma o come segnale di dipendenza, ma come segnale di coraggio. Tornare in classe e dire “son stato dallo psicologo, non è niente male” è un segno di maturità».

Oltre agli adolescenti anche i cosiddetti "giovani adulti" sono provati dalla situazione.

«Una definizione dei sociologi; coloro che fanno la vita dell’adulto, ma senza gli strumenti dell’adulto. Senza le possibilità, il contesto di vita dell’adulto (la casa, il lavoro e quindi i soldi, la famiglia). Questo determina una situazione di sofferenza soprattutto in un contesto in cui sembra che la ricerca del lavoro e della casa sia davvero complicata. Tant’è vero che ci sono molti disoccupati, molti che vivono ancora coi genitori e che scelgono di non avere figli. Tutti segnali di ansia e preoccupazione da cui scaturisce il bisogno di un consulto psicologico».

Tutto in un momento storico particolarmente preoccupante: immersi nella pandemia e con la guerra alle porte.

«Sono chiamati ad affrontare il futuro in un contesto in cui è tutto difficile, tra disoccupazione, guerra, pandemia, bollette che aumentano. Ecco perché, ripeto, chiedere aiuto allo specialista invece di darsi al bere o diventare un neet è un segno di maturità! È un voler prendere in mano i propri problemi a fronte di una difficoltà oggettiva (dagli esami di maturità, allo scegliere di fare un figlio o andare a vivere da soli). È confrontarsi e vedere nella propria mente quali paure suscita quella scelta, che trascorsi ci sono e farsi aiutare a chiare le idee perché la decisione sia autentica e sostenibile il più possibile. E meno male che questo aiuto viene finanziato dal Governo!».

Torniamo agli adolescenti. Lei ha da poco pubblicato con Rizzoli Gioventù rubata. Cosa è stato rubato ai nostri ragazzi?

«In tanti si sono chiesti come mai ci sia stato un disastro così grande da un punto di vista psicologico; moltissimi hanno scelto il digiuno per manifestarlo o il ritiro sociale, chi l’autolesionismo; non è stato possibile trovare un posto nei reparti di psichiatria e nemmeno in ambulatorio, mesi e mesi di attesa ed è aumentata a dismisura la richiesta di consultazioni. La questione è che, nonostante siano stati risparmiati dall’attacco fisico, i nostri ragazzi hanno sofferto perché si è improvvisamente oscurato il futuro. È come se gli avessero detto “va tutto bene” e improvvisamente avessero scoperto che andava tutto male: il papà ha perso il lavoro, il nonno è morto; sono spariti sport e vita sociale. La scuola traballa, la dad non funziona. Ecco allora che non sarebbe dissennato pensare a un risarcimento per i danni subiti così come lo si pensa per gli albergatori, i gondolieri; danni che per i ragazzi non sono economici ma morali. E non perché gli è stato rubato il campetto da calcio, ma il futuro. La scuola, per esempio, che è il vero campo di allenamento in cui trovare se stessi, la propria vocazione, il proprio interesse ed dove essere sostenuti e confermati in quell’interesse. Il futuro per loro non è più garantito. La pandemia li ha delusi e la delusione è fonte di grandissima sofferenza».

Come possiamo restituire loro il futuro?

«Creando consultori, potenziando quel che c’è già: lo sportello di consultazione scolastica per esempio; i servizi psicologici, i consultori familiari. Vanno potenziati i servizi di prossimità verso i giovani e verso i genitori che sono i primi a cui i figli chiedono risposte. Perché sappiano cosa rispondere. È importantissimo, per esempio, parlare della morte e di come affrontarla».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Chiara Pelizzoni 20/10/2022)