martedì 24 maggio 2022

PENSARE LA FEDE - Fede e dubbi - di GILBERTO BORGHI

PENSARE LA FEDE
Fede e dubbi
di GILBERTO BORGHI

Che effetto produce, sul piano comunicativo, testimoniare una fede senza dubbi?


"Il non credente che è dentro di me”. Qualche giorno fa, seduti ad un bel pranzo di matrimonio, un prete che stimo, parlando della condizione della fede dei suoi parrocchiani, citava a proprio carico questa espressione, che nell’interlocutore del suo racconto aveva procurato un certo disagio. Mi è ritornata in mente rileggendo, per lavoro, un testo del card. J.H.Newman: “Si consideri poi che la legge che segue sembra sovraintendere al conseguimento della conoscenza da parte nostra: tanto più essa è desiderabile, per eccellenza, ambito o complessità, tanto maggiore e la sottigliezza delle prove in base alle quali viene accettata. Siamo costituiti in modo tale che, se insistiamo sull’essere tanto certi quanto più è possibile in ogni stadio del nostro percorso, dobbiamo accontentarci di strisciare per terra, senza mai poterci levare in volo. Se siamo destinati a grandi fini, siamo chiamati a grandi rischi; e, poiché non ci viene data certezza assoluta in niente, dobbiamo in tutte le cose scegliere fra il dubbio e l’inazione”. (Sermone XI)

Il dubbio, perciò, fa parte della fede, cosa che Newman esprime in modo icastico in una sua celeberrima frase: “Mille dubbi non fanno una mancanza di fede”. Ma oggi sembra che tale consapevolezza, in molti fedeli cattolici, sia stata dimenticata. Parlando con parecchie persone di ambito ecclesiale, anche persone che stimo e sulla cui fede metterei davvero la mano sul fuoco, mi capita spesso di percepire una sorta di intenzione di fondo, mai esplicitata ma molto presente, che cerca di mostrare come avere fede sia una condizione interiore in cui il dubbio viene eliminato, come se esistesse una legge secondo cui più cresce la fede e meno sono presenti dubbi nella persona credente.

Mi è venuto da riflettere su questa percezione che avverto diffusamente: nella fede cristiana funziona davvero così? Personalmente non sono d’accordo. Se credo che Dio mi ami, dentro di me ciò si appoggia sulla percezione, attuale o passata, che il suo amore mi raggiunge, mi tocca e io ne sono consapevole. Ma questa percezione non è mai capace di riempire totalmente il mio spazio interiore di ricerca della verità, tanto che posso comunque sempre continuare a dirmi, che me la sto raccontando, che forse quella percezione di sentirmi amato è solo frutto della mia mente. Credere perciò, per me significa che io decido di continuare a pensare che tale percezione è frutto dell’opera di Dio dentro di me, e i dati percettivi che possiedo non sono mai tali da “costringere” la mia coscienza ad assentire a tale verità per la luminosità interna che essa produce dentro di me.

Se fosse così, in realtà vorrebbe dire che la mia fede è “obbligata” dal dato percettivo e io non sarei più libero di accettare o meno la presenza di Dio dentro di me. Cosa diciamo, perciò, quando affermiamo che la fede è dono di Dio? Diciamo che Lui pone il suo amore dentro di me, in una condizione tale da essere percepibile, ma non da essere costringente e sostiene misteriosamente la mia volontà nel continuare a decidere che tale percezione è frutto della sua presenza e non della mia allucinazione. Non si tratta perciò di una tegola che ci cade sulla testa a prescindere dalla nostra volontà, ma di una sinergia tra la mia volontà e la sua, che lascia comunque sempre libera la mia mente di assentirvi o no.

Se le cose stanno così, allora è inevitabile che restino dei dubbi nella mia mente di credente e nel mio cuore di amante, che non possono mai essere tolti e che segnano il fatto che i miei limiti come essere umano non vengono mai tolti, fino a che siamo su questa terra. La fede, cioè, se è autentica, se è atto libero di risposta all’amore di Dio, si nutre dei dubbi e resta sempre in bilico tra lo stare e il cadere. Molti santi, soprattutto mistici, parlano della “notte dello spirito”, quella condizione in cui la crescita nella fede, invece di rendere sempre maggiore luce alla loro mente e calore al loro cuore, al contrario aumenta i dubbi e la percezione della distanza tra loro e Dio.

Conseguenza. Possiamo presentarci con onestà spirituale a chi non ha fede, mostrando tutte le nostre certezze e oscurando i nostri dubbi? Che effetto produce, sul piano comunicativo, testimoniare una fede senza dubbi? Attrae o respinge? Forse attrae chi desidera non avere dubbi, ma il rischio è quello di spingerli a credere in un Dio che sta dentro la loro misura umana e, quasi, diventa controllabile. Chi, invece, vuole restare umano e mantenere aperta la tendenza alla verità, spesso sente disagio e repulsione di fronte ad una fede senza dubbi.

Facciamo, allora, un buon servizio alla fede quando, armati di certezze incrollabili, promuoviamo crociate etiche o spirituali? L’anno scorso, durante la testimonianza a scuola di una suora che si occupa di violenza sulle donne, un ragazzo le chiese come si comportava davanti a donne che vogliono abortire: “Di sicuro non mi troverete sulle barricate anti abortiste. Le accompagno con l’amore che posso, anche durante e dopo l’aborto. Loro sanno bene cosa ne penso io, ma nessuna ha mai rifiutato la mia presenza”. Un mio collega, ateo dichiarato, esclamò: “Proprio da una suora dovevo venire per trovare quello che penso sia giusto?”

(Fonte: Vino Nuovo - 18 maggio 2022)