mercoledì 11 maggio 2022

Mons. Lorefice, i poveri e la pace

Mons. Lorefice, i poveri e la pace

Quest’anno il premio Dossetti per la pace va a mons. Corrado Lorefice vescovo di Palermo


Più che mai oggi abbiamo bisogno di credibili operatori di pace, e uno di questi lo riconosciamo in Mons. Corrado Lorefice, Arcivescovo di Palermo che venerdì 13 maggio 2022, riceverà a Reggio Emilia il XIII “Premio per la Pace Giuseppe Dossetti”, riconoscimento che gli viene assegnato “per la sua azione costante verso la pace, il dialogo interreligioso, la cura, la carità e l’attenzione ai poveri”. Tra le tante opere e parole evangeliche al servizio dei poveri che potremmo citare a proposito di Mons. Lorefice, sia prima che dopo la sua consacrazione ad arcivescovo di Palermo nel 2015, mi pare ci sia la sua profonda sensibilità che lo avvicina alla spiritualità e all’operato dello stesso Don Dossetti e del Cardinal Lercaro, grande anima del Concilio Vaticano II. Figure a lui molto care e vicine idealmente, sulle quali ha scritto lo splendido testo edito nel 2011 “Dossetti e Lercaro: la Chiesa povera e dei poveri nella prospettiva del Concilio Vaticano II”, con un’analisi puntuale e rigorosa della “fede” che ispirò questi due grandi profeti del nostro tempo.

Un premio, dunque, che sembra agganciarsi alla lunga eco della vitalità del Concilio, se riascoltiamo le parole dello stesso Cardinal Lercaro, nel suo famoso discorso su “Chiesa e povertà” (intervento pronunciato il 6 dicembre 1962 nel corso della Congregazione Generale 35). In questo breve passo il cardinale afferma: “Che nel lavoro da svolgere dal concilio d’ora in poi trovi, non soltanto un posto, ma vorrei dire il primo posto, la formulazione della dottrina evangelica della divina povertà del Cristo nella chiesa: il mistero dell’elezione divina che ha scelto la povertà come un segno e un modo – «sacramentum magnum, dico in Christo et in ecclesia» (Ef 5,32) – come un segno e un modo preferenziale di presenza e di forza operativa e salvifica del Verbo incarnato tra gli uomini.”

Un’attenzione ai poveri che sembra proprio anche il fil rouge di tutto l’operare apostolico di Mons. Lorefice che, da arcivescovo di Palermo, continua a muoversi come instancabile annunciatore tra la gente di una bella notizia, per citare le parole pronunciate nella sua recente visita lungo le strade del quartiere CEP – San Giovanni Apostolo di Palermo: “Qui ci sono tante storie di sofferenza, tanti sogni non ancora realizzati, tante realtà negate; ma c’è anche il profumo del Crisma, ci sono i segni del Messia, di colui che prende su di sé le sofferenze degli altri… Tornando alla commozione, io oggi mi sono commosso perché oggi io non sono venuto a fare la predica su Gesù ma perché l’ho incontrato nella sua Parola e nella sua carne: in quei volti che ho incrociato, in quelle mani che ho stretto, in quelle case che mi hanno ospitato; io oggi non ho fatto una buona azione ma ho continuato a incontrare lo stesso Gesù che incontro quando celebro l’Eucaristia e ascolto la sua Parola. E poi, se non c’è la strada non c’è Vangelo – non c’è Evangelo (εὐ in greco significa “bello”) – perché noi non possiamo annunciare una notizia bella, non possiamo dire che i sogni si realizzano; e Vangelo non è mai astratto, mai come in questo caso il Vangelo è la strada».

Un cammino di Vangelo per le strade di Palermo che è presente anche nel suo recente libro “Il Vangelo e la strada”, scritto in collaborazione con Anna Staropoli e Vito Impellizzeri, quasi una sorta di percorso di discernimento comunitario e sinodale tra le strade e la gente della sua città a partire dall’Enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco: questo infatti lo sta portando a visitare via via uno dopo l’altro tutti i quartieri più poveri e disagiati per ascoltare proprio tutti. Un dialogo con la città che per Lorefice ha sempre avuto molti volti, e ha saputo rinnovare anche tradizionali appuntamenti ufficiali come il consueto discorso alla città che si tiene ogni anno per il Festino di Santa Rosalia, patrona di Palermo. Anche in questa occasione, ben lungi da ogni retorica, Lorefice ha saputo parlare al cuore dei palermitani creando manifesti programmatici di puro vangelo, che scuotessero le coscienze e incoraggiassero ognuno ad un bene comune coraggioso, da costuirsi insieme senza paura. Ne citiamo solo qualche passo, molto più eloquente di qualsiasi commento.

Dal primo coraggioso discorso, appena insediato da pochi mesi, nel 2016, dove subito chiariva verso quale giustizia si schierava: “Si può apparire potenti, si possono avere tanti soldi vivendo da mafiosi, da sfruttatori, ma non facciamoci annebbiare, non fatevi annebbiare care ragazze e cari ragazzi che siete qui stasera: chi vive così è un disperato, chi vive così non gusta nulla della vita! È solo un latitante della vita!! … Per questo voglio rivolgermi da qui agli uomini che hanno violato e ferito così profondamente la nostra Città, a tutti quelli che intendono continuare su questa strada: ‘Fermatevi! Riflettete! Pensate a quando il sole tramonta, scende la sera, e voi tornate a casa, dalla vostra famiglia, dai vostri figli. E sapete di non poter essere fieri davanti a loro di aver annientato la bellezza, di aver dato fuoco agli alberi, di aver violato la natura, di aver estorto denaro e trafficato narcotici devastanti la mente ed il cuore delle nuove generazioni, di aver disprezzato la giustizia e l’onestà. Risvegliate il vostro cuore. Non rimanete in questo nulla. Vi dico stasera, da vescovo – cioè da uno che è chiamato a ‘vegliare’ sulla Chiesa e sulla Città – che nonostante tutto voi siete e io mi sento vostro fratello, che sono qui pronto ad ascoltare le vostre parole, a sentire il risentimento o la mancanza da cui si genera la vostra determinazione nel male. Sono qui ad aspettarvi e a darvi un’occasione, a piangere come Gesù ma anche a sperare. Non tradite Palermo e non tradite voi stessi!”

E più avanti, nel 2020, in piena pandemia, si rivolgeva alla stessa “Santuzza” con queste parole: “È come se tu stasera ci ricordassi che la pandemia, ogni pandemia, è stata ed è una grande lezione di sobrietà… Rosalia, tu ci inviti a riscoprire la lentezza, le piccole cose, la gioia di gesti e di atti di cui non ci rendevamo più conto, che non apprezzavamo più. Dire una parola buona, guardare negli occhi chi ci ama, aspettare che venga su il caffè e berlo accanto alle persone con cui condividiamo la vita, innaffiare una pianta o scambiare quattro chiacchiere per il puro piacere della compagnia, dare una mano al vicino, alla vicina di casa di cui non ci siamo mai accorti. Mi ha colpito molto che nel tempo del lockdown, abbia potuto conoscere e frequentare ogni giorno dal balcone le famiglie che abitano di fronte al vescovado…”

Nell’ultimo discorso del 2021 presentava, infine, con calore lo stile di un possibile stare insieme evangelico: “la sfida oggi, della casa e della città: nonostante la diversità di visioni e di interessi, ritrovare nuovamente la rete umana di cui facciamo parte. Essere interconnessi non è né un’imposizione dall’alto, né un precetto morale: è un’istanza di identità e di sopravvivenza. Restare in questa interconnessione, restare nella condivisione, è l’unica via per la vita piena. Questo per i cristiani è la Pentecoste. Lo Spirito unisce perché comprende e rispetta ogni lingua. Come quando si mette in atto la traduzione da una lingua all’altra che ha la stessa dignità della prima, così una comunione è vera se ad ogni lingua, ad ogni persona, ad ogni gruppo viene riconosciuta pari dignità”.

Un premio, diremmo, certamente meritato quello a Monsignor Lorefice, anche perché inserito in un tempo sinodale della Chiesa dove, per dirla con le sue stesse parole, “la comunità cristiana si rimette in ascolto innanzitutto del suo Signore e poi ascolta tutti, ma proprio tutti, anche coloro che non hanno una partecipazione attiva – magari sporadica – alle nostre comunità, anche coloro che, lontani dalla Chiesa seppur battezzati, possono offrire molto in questo momento.”
(fonte: VINO NUOVO, articolo di Chiara Gatti 10 maggio 2022)