sabato 28 maggio 2022

«MA PERCHÉ SE CERCO CASA, DEVO SPECIFICARE CHE SONO NERA?»

«MA PERCHÉ SE CERCO CASA,
DEVO SPECIFICARE CHE SONO NERA?»

La testimonianza di vittima dell'intolleranza strisciante in Italia di Clementine Pacmogda, originaria del Burkina Faso, dottoressa in linguistica, arrivata in Italia grazie a una borsa di studio alla Normale di Pisa. «Capii che la differenza di colore mi avrebbe obbligata a esibire solo i miei documenti per essere tranquilla»



Quando chiami per affittare casa devi dire che sei nera? «Sì, devo specificare che sono nera o che sono straniera. Altrimenti si rischia di avere brutte sorprese». Lo confessa Clementine Pacmogda, nata 44 anni fa in Burkina Faso, arrivata in Italia grazie a una borsa di studio alla Normale di Pisa. Dottoressa in Linguistica, è insegnante di sostegno, sempre positiva, nonostante le non poche difficoltà sperimentate. Sulla sua storia, di bimba africana senza genitori che sognava di studiare, ha scritto un romanzo. «L’unica parola nella mia lingua usata in tutto il libro, è Wendyam. Significa ‘La volontà di Dio», spiega. «È la storia di vita e di fede di una donna e del suo viaggio dall’Africa all’Italia».

Com’è stato cercare casa in Italia?

«A Pisa avevo conosciuto una ragazza nigeriana che studiava anche lei alla Normale. Io avevo già finito e stavo portando avanti un assegno di ricerca. Lei era al primo anno in Italia e parlava solo inglese. Per tre mesi è stata in collegio, poi dovette cercare una camera perché volevano ristrutturare l’edificio. Mi chiese di aiutarla. Trovammo qualche annuncio. Provai a chiamare, ma quando venivano a sapere che si trattava di una nera, dicevano che non affittavano a stranieri. Una volta sembrava tutto a posto e abbiamo preso un appuntamento per visitare il posto. Appena ci videro, cambierono idea, decisero che non affittavano più. Alla fine ha trovato una camera in un appartamento, una signora con la mente aperta aveva deciso di affittare alla mia amica africana».

Quando ha capito che non era semplice essere afrodiscendente qui?

«Tutto dipende da come arrivi e da chi è con te. Io sono venuta per studiare, in un ambiente universitario dove di solito trovi persone accoglienti. Quando sono arrivata il personale e gli utenti del Laboratorio di Linguistica si sono resi disponibili ad aiutarmi. Il problema è quando vai in un ambiente dove nessuno ti conosce. Sei subito considerato lo straniero, il nero o l’africano. Poveri, cattivi da scartare. Sembra che siamo in una categoria di umani a parte. A volte saluti perché vuoi chiedere informazioni ma non ti rispondono, continuano per la loro strada. Ti avvicini a un gruppo di persone che stava parlando e appena apri bocca, vedi che le espressioni del viso sono cambiate. Senti di non essere gradito. Non puoi spiegarlo, sono cose che osservi e capisci solo tu».

Com'è vivere in Italia per una persona non bianca?

«Quando viaggi hai paura del minimo errore sul documento o di incontrare qualcuno che vuole categorizzarti. Negli aeroporti gli afrodiscendenti sono sempre i più controllati mentre tutti gli altri fanno se ne vanno tranquillamente agli imbarchi. L’unica cosa che ti salva è avere un passaporto italiano. Sei legato al documento che hai, altrimenti non conti nulla. Ho scritto qualche episodio vissuto nel mio primo libro. Hai l’impressione che molti aspettano un tuo minimo errore per confermare il loro pregiudizio sulla tua persona e su tutti quelli come te. Un errore di un nero è considerato un errore di tutti i neri. Quando siamo venuti ad abitare in provincia di Parma, a Borgotaro e dovevamo cambiare appartamento, andavo in giro a cercare una casa e facevo qualche chiamata. Dovevo sempre precisare che mio marito era italiano e medico, per farmi ascoltare. Però esiste anche l’altra faccia della medaglia. Essere nero può anche attirare delle persone «curiose» di conoscerti meglio, pronti ad aiutare perché immaginano non sia facile vivere in un paese nuovo».

Dove ha percepito che c'era qualcosa di diverso?

«Quando sono arrivata per la prima volta all’aeroporto di Pisa sotto una pioggia incessante, ero stanca perché avevo aspettato 24 ore all’aeroporto di Roma. Arrivai con 44 persone, tutte bianche. Gli altri passeggeri potevano prendere i loro bagagli e uscire senza problemi, io invece sono stata bloccata per la verifica dei documenti. Presero il passaporto e lo sfogliarono, videro il visto che mi autorizzava ad entrare in Italia, ma non bastava. Dovetti frugare in borsa e tirare fuori tutti i documenti per passare. Quando finii tutto, ero rimasta la sola a non essere ancora uscita. Capii che la differenza di colore mi avrebbe obbligata a vivere solo pensando ai documenti per essere tranquilla».
(fonte: Famiglia Cristiana, articolo di Nicola Nicoletti 27/05/2022)