venerdì 15 aprile 2022

Giovedì Santo SANTA MESSA IN COENA DOMINI Papa Francesco: «Questo vorrei metterlo oggi nel cuore di tutti noi, anche nel mio: Dio perdona tutto e Dio perdona sempre!» Omelia 14/04/2022 - Francesco lava i piedi a dodici detenuti: "Dio perdona sempre"

Giovedì della Settimana Santa

SANTA MESSA IN COENA DOMINI

OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Nuovo Complesso Penitenziario di Civitavecchia (Roma)
Giovedì Santo, 14 aprile 2022


Tutti i Giovedì Santo leggiamo questo brano del Vangelo: è una cosa semplice. Gesù, con i suoi amici, i suoi discepoli è a cena, la cena della Pasqua; Gesù che lava i piedi ai suoi discepoli – cosa strana quella che ha fatto: a quel tempo i piedi li lavavano gli schiavi all’entrata della casa. E poi, Gesù – con un gesto che anche tocca il cuore – lava i piedi al traditore, quello che lo vende. Così è Gesù e ci insegna questo, semplicemente: fra voi, dovete lavare i piedi. È il simbolo: tra voi, dovete servirvi; uno serve l’altro, senza interessi. Che bello sarebbe se questo fosse possibile farlo tutti i giorni e a tutta la gente: ma sempre c’è l’interesse, che è come una serpe che entra. E noi ci scandalizziamo quando diciamo: “Sono andato a quell’ufficio pubblico, mi hanno fatto pagare una mancia”. Questo fa male, perché non è buono. E noi, tante volte, nella vita cerchiamo il nostro interesse, come se noi facessimo pagare una mancia tra noi. È importante invece fare tutto senza interesse: uno serve l’altro, uno è fratello dell’altro, uno fa crescere l’altro, uno corregge l’altro, e così bisogna fare andare avanti le cose. Servire! E poi, il cuore di Gesù, che al traditore dice: “Amico” e anche lo aspetta, fino alla fine: perdona tutto. Questo vorrei metterlo oggi nel cuore di tutti noi, anche nel mio: Dio perdona tutto e Dio perdona sempre! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono. E ognuno di noi, forse, ha qualche cosa lì al cuore, che porta da tempo, che gli fa “ron-ron”, qualche scheletrino nascosto nell’armadio. Ma, chiedete perdono a Gesù: Lui perdona tutto. Soltanto vuole la fiducia nostra di chiedere perdono. Tu lo puoi fare quando stai da solo, quando stai con altri compagni, quando stai con il sacerdote. Questa è una bella preghiera per il giorno di oggi: “Ma, Signore, perdonami. Io cercherò di servire gli altri, ma Tu servi me con il Tuo perdono”. Lui ha pagato così con il perdono. Questo è il pensiero che vorrei lasciarvi. Servire, aiutarci l’un l’altro ed essere sicuri che il Signore perdona. E quanto perdona? Tutto! E fino a dove? Sempre! Non si stanca di perdonare: siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono.

E adesso, io cercherò di fare lo stesso gesto che ha fatto Gesù: lavare i piedi. Lo faccio di cuore perché noi sacerdoti dovremmo essere i primi a servire gli altri, non sfruttare gli altri. Il clericalismo alle volte ci porta su questa strada. Ma dobbiamo servire. Questo è un segno, anche un segno di amore per questi fratelli e sorelle e per tutti voi, qui; un segno che vuol dire: “Io non giudico nessuno. Io cerco di servire tutti”. C’è Uno che giudica, ma è un Giudice un po’ strano, il Signore: giudica e perdona. Seguiamo questa cerimonia con la voglia di servire e perdonarci.

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Guarda il video di TG2000
(servizio di Cristiana Caricato)


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Francesco lava i piedi a dodici detenuti:
"Dio perdona sempre"

Il Papa celebra la Messa in Cena Domini del Giovedì Santo nella Casa circondariale di Civitavecchia. Nella cappella, il rito sempre commovente della Lavanda dei piedi a nove uomini e tre donne di diverse età e nazionalità. Omelia a braccio sul concetto del servizio: "È bello servire senza interesse". Il Pontefice accolto da palloncini e applausi di ospiti, polizia penitenziaria e autorità, tra cui la ministra Cartabia. Un saluto ai dipendenti e i loro figli: "Grazie per ciò che fate"


Balduz si toglie la mascherina e bacia la mano del Papa, per poi poggiarci sopra la fronte. Lo fa per quattro volte. Nell’Egitto da cui proviene è segno di massima gratitudine. Francesco ha appena lavato i piedi a lui ed altri undici detenuti della Casa circondariale di Civitavecchia, dove ha scelto quest’anno di celebrare la Messa in Cena Domini del Giovedì Santo. “Grazie”, sussurra l’uomo che, dopo quattro mesi e mezzo, l’8 giugno tornerà in libertà. “Grazie a te”, risponde il Papa. Passa poi a Daniele, 38 anni, un figlio e una compagna a Fiumicino. Era presidente di un’associazione per ragazzi disabili, è finito in galera “per una stupidaggine”: “Durante la pandemia, c’è stato un calo di soldi e ho dovuto commettere un reato”. Gli hanno dato due anni, tra poco tornerà dalla famiglia. Sul dolcevita nero indossa un rosario di plastica azzurro. Il Papa, dopo aver lavato i piedi anche a lui, lo invita a recitarlo tutti i giorni. “Certo”, assicura il ragazzo. Ha la faccia da duro ma è commosso a fine celebrazione: “Ste cose te capitano ‘na volta nella vita…”. “Te posso di’ na cosa”, aggiunge con inflessione romana, “a me il carcere m’ha salvato, avrei preso strade più brutte”. Annuiscono gli altri compagni, sistemati su un palchetto.

Una grande comunità

Con tutti loro il Papa ha ripetuto il gesto di Gesù durante l‘Ultima Cena. Un rito che commuove ogni volta che viene celebrato. Sedute tra gli undici ci sono anche tre donne, tra cui un’anziana signora assistita da una giovane nigeriana che la aiuta pure a prendere la Comunione. Non si conoscono, vengono dalle diverse sezioni di questo penitenziario alla periferia della città laziale che, tra detenuti e personale, ospita una comunità di circa 900 persone. I carcerati sono 530, buona parte donne.

Francesco nella cappella della Casa circondariale di Civitavecchia

L'accoglienza

Solo una rappresentanza è potuta venire nella cappella a salutare il Papa. Molti sono rimasti fuori, appoggiati al muro a riprendere e salutare l’arrivo, poco prima delle 16, della Fiat 500L bianca che trasporta il Pontefice. “Ah, ma non è una papamobile!”, urla un ragazzino, dopo aver fatto volare con altri bambini palloncini gialli e bianchi. Il Papa scende dall’auto accolto dalla direttrice Patrizia Bravelli, che aveva già avuto modo di conoscere qualche anno fa. Uno scambio di battute, la presentazione di alcuni rappresentanti della struttura e delle autorità presenti, tra cui il Ministro della Giustizia italiano, Marta Cartabia.

Subito dopo il boato. L’ingresso del Papa in cappella con due nutrite ali di detenuti che urlano e applaudono: “W il Papa! Daje Francè!”. Un uomo con la testa rasata e un tatuaggio sul volto guida il coro, i compagni lo abbracciano divertiti, Francesco si gira e sorride. Molti provano a stringere le mani mentre il Papa si dirige verso la sagrestia, da dove esce pochi minuti dopo tenendo in mano un pastorale in legno d’ulivo.

Il pastorale del Papa

Una celebrazione raccolta, un rito commovente

La celebrazione è raccolta, animata da canti intonati da un coro di detenuti. Altri fanno da ministranti, altri ancora da lettori. L’omelia del Papa è tutta a braccio, pronunciata con un filo di voce e incentrata sui concetti di perdono e servizio. Il Vescovo di Roma commenta le letture del giorno, parlando del segno della Lavanda dei piedi, “cosa strana” in questo mondo: “Gesù che lava i piedi al traditore, quello che lo vende”, dice Francesco. “Gesù ci insegna questo, semplicemente: fra voi dovete lavarvi i piedi… Uno serve l’altro, senza interesse: che bello sarebbe se questo fosse possibile farlo tutti i giorni e a tutta la gente”. “Senza interesse”, ripete il Papa. “Dio - aggiunge - perdona tutto e Dio perdona sempre! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono”. “Chiedete perdono a Gesù”, insiste Papa Francesco: “C’è un Signore che giudica, ma è un giudizio strano: il Signore giudica e perdona”. E conclude esortando ad andare avanti con “la voglia di servire e perdonarci”.

La direttrice: da qui nuove "ripartenze"

L’omelia si conclude con una lunga pausa di silenzio. Invece un forte applauso risuona in cappella quando un ragazzo alle Preghiere dei Fedeli scandisce: “Per i nostri compagni più fragili, che in carcere hanno perso la vita, perché il Signore li accolga nel suo abbraccio amoroso e faccia splendere la beatitudine sui loro volti”. Mani che battono in memoria di chi non ce l’ha fatta. Un segno del forte senso di comunità che anima gli abitanti del penitenziario. Lo dice pure la direttrice nel suo saluto, senza negare le problematiche della “casa”: quelle portate da fuori - violenza, disturbi psichici, dipendenze, emarginazione sociale - quelle che inevitabilmente accadono all’interno. “Qui c’è una umanità diversificata e complessa in cui intravediamo tante fragilità”, dice la donna, che però parla di “ripartenze”. Nuove vite, nuove speranze, nuovi traguardi.

Francesco saluta i carcerati

Saluti, cori, applausi

Francesco ascolta, annuisce, accenna sorrisi, guarda con interesse i tanti regali ricevuti: cestini di piante e fiori, sculture di legno e fili di rame, disegni a matita. “Tutto materiale povero”. A ognuno dei presenti viene regalato un rosario del pontificato. C’è chi ne chiede due per quando uscirà e vedrà la moglie o la compagna. Un ragazzo, giovanissimo con la barba, ne tiene in mano uno proprio di colore nero e chiede al Papa di benedirlo. Il Pontefice prova a fermarsi con tutti e, mentre esce, la folla cerca di stringerglisi intorno, frenata da poliziotti e gendarmi. Di nuovo cori, di nuovo applausi, di nuovo urla “Evviva il Papa!”. All’uscita ci sono le suore Ancelle della Visitazione, prestano servizio nel carcere ma sono così emozionate da non riuscire a dire nemmeno due parole. Il Papa scambia alcune parole con loro e con un gruppo di insegnanti, poi in macchina si dirige in una piccola struttura del complesso utilizzata per gli incontri con parenti e amici. È la Sala dei colloqui, con all’interno una ludoteca colorata chiamata “Le gioie di Leda”.

Il rito della Lavanda dei piedi

L'abbraccio ai dipendenti e ai loro figli

In questa stanza dalle pareti bianche Francesco incontra i detenuti della sezione di alta sicurezza: meno di una cinquantina, di varie età e con storie differenti. Il Pontefice scherza con alcuni di loro, ad esempio a un uomo con un cerotto sul naso dice: “Ti hanno tirato un pugno?”. Lui scoppia a ridere e si china a baciare le mani del Papa. Un anziano apre una busta e mostra delle foto: “Sono i miei nipoti, li può benedire? Io non li ho mai visti”.

Segue il saluto ai dipendenti civili e ad una parte del personale della struttura, tra cui un gruppo di infermieri. Al centro è sistemata una poltrona dorata, ma il Papa la usa solo per firmare il Libro d’onore. Fa lui il giro tra la gente: benedice famiglie, dà buffetti sulle guance ai bambini, raccoglie disegni, confidenze, le lacrime di una donna, moglie di un poliziotto, che ha perso qualche giorno fa entrambi i genitori.

"Grazie per quello che fate"

Sono istantanee, fotogrammi fugaci, sufficienti però per la comunità del carcere di Civitavecchia a scrivere interi capitoli nella vita personale di ognuno. “Non ci posso credere che lei è venuto qua, Santo Padre”, dice una guardia, appoggiandosi alla macchina del Papa. Tutto dura meno di due ore, ma sembra molto di più. Intorno alle 17.45 Papa Francesco si dirige già verso Roma. Prima di varcare il cancello fa fermare la macchina per un uomo che chiede un selfie. Alla direttrice esprime la sua gratitudine per quanto viene fatto in quelle quattro mura: “Grazie, grazie per quello che fate e andate avanti”.
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 14/04/2022)