martedì 22 marzo 2022

Guerini, una macchina da guerra

Aumento delle spese militari: previsti 104 milioni al giorno

Guerini, una macchina da guerra

Il conflitto in Ucraina fa il “miracolo” (si fa per dire) di accelerare i tempi e di mettere tutti (o quasi) i deputati d’accordo per portare le spese militari al 2% del Pil. Ma già con il Conte 2 e con le due leggi di bilancio Draghi le spese erano aumentate. È il ministro della difesa il garante della Nato, osannato da militari e industrie di settore. Perfino i fondi etici hanno fiutato l'affare...

La foto tratta dal profilo Twitter del ministro della Difesa Lorenzo Guerini, Roma, 5 giugno 2020.

In parlamento possono azzuffarsi su tutto. Ma ora, coi venti di guerra che spirano da est, sono diventati tutti appassionatamente bellicisti. È bastato un semplice ordine del giorno collegato al decreto Ucraina, lo strumento meno incisivo a disposizione dei parlamentari, per far indossare la divisa grigioverde a 391 deputati. Tutti signorsì che invitano il governo a impegnarsi ad «avviare l’incremento delle spese per la difesa verso il traguardo del 2% del Pil», dall’1,5% attuale.

E l’esecutivo, per bocca del sottosegretario al ministero della difesa Giorgio Mulé, ha risposto che certo. Non vedevano l’ora di riempire di sistemi d’arma i nostri arsenali. Anzi, l’avrebbero fatto anche a prescindere da quel consenso di massa ottenuto nell’emiciclo.

Perché il presidente del Consiglio Mario Draghi già nel settembre scorso (quando il conflitto in Ucraina era solo nella mente, forse, del più sinistro menagramo) era intervenuto in aula affermando che «è chiarissimo che bisognerà spendere molto di più in difesa di quanto fatto finora». Concetto ribadito in una informativa indirizzata al Senato il 1° marzo scorso.

E il suo fido scudiero ministro della difesa, il piddino Lorenzo Guerini, è da anni che annuncia la necessità di incrementare quelle spese e soprattutto di finanziare il complesso militare-industriale italiano. Nigrizia ne aveva scritto qui e qui solo pochi mesi fa.

E che la spesa militare al 2% del Pil ha soprattutto finalità altre, ce lo ricorda nel suo editoriale di oggi Stefano Feltri sul Domani: «Un composito gruppo di avvoltoi – spesso ben remunerati o comunque con notevoli interessi in gioco – sta usando la tragedia ucraina per una formidabile azione di lobbyng che sposta risorse pubbliche dalla transizione ecologica e dalla spesa sociale verso la spesa militare, in nome delle sofferenze ucraine»

Ma stavolta sa che dalla sua parte c’è un’ampia fetta dell’opinione pubblica o perché disinteressata o perché barricata nelle sue paure.

Da agosto dell’anno scorso, il ministro ha letteralmente inondato il parlamento di richieste per nuovi sistemi d’arma. Un carrello della spesa gonfio di ben 23 programmi per un controvalore, secondo l’Osservatorio Mil€x, che supera di poco i 12 miliardi di euro (spalmati tra 2022 e 2036). A gennaio, inoltre, sono stati approvati alla chetichella ulteriori 5 programmi militari.

Una spesa già prevista

La guerra ha fatto il miracolo (si fa per dire) di accelerare i tempi e di mettere tutti (o quasi) d’accordo.

Del resto, la Nato – che tanti inciampi ha creato in questi anni – lo aveva già imposto: entro il 2024 tutti i paesi che fanno parte dell’Alleanza devo investire il 2% del Pil nelle spese militari. Noi, che siamo tra i più discoli, avevamo programmato quell’obiettivo per il 2027. Ora si avvicinerà. Anche se non è ancora chiaro come il governo possa dar seguito all’ordine del giorno promosso del capogruppo in commissione difesa della Lega, Paolo Roberto Ferrari.

E come noi, anche altri paesi europei hanno deciso di armarsi fino ai denti. È di ieri l’annuncio del governo spagnolo che incrementerà le sue spese militari fino al 2%. Pure la Svezia. Per non parlare della Germania, dove il Cancelliere Scholz ha promesso per il 2022 un raddoppio del budget della difesa, che passerebbe così da una cinquantina di miliardi di euro a 100 miliardi. Un annuncio che ha terremotato le diplomazie di mezzo mondo.

Oltre 100 milioni al giorno in armi

Ma di quanto dovrà aumentare il bilancio della difesa italiano per raggiungere il 2% del Pil? Se quest’ultimo s’aggira sui 1.800 miliardi, la cifra dovrebbe essere tra i 37-38 miliardi di euro. Un balzo enorme dagli oltre 25 previsti per il 2022 che ci fa avvicinare alle spese francesi (quasi 40 miliardi).

L’Osservatorio Mil€x ha subito quantificato la spesa giornaliera: 104 milioni di euro (per Mulé 100 milioni) dai 68 attuali.

E pensare che militari e industriali della difesa avevano già osannato Guerini per l’ottimo bilancio 2022 e per non aver di fatto «ceduto a certe sirene populiste anti-difesa». Un ruolo che lui si assume in pieno, come emerge dall’intervista al Corriere della Sera.

Bilancio 2022

Dal bilancio presentato dal ministero, infatti, emerge più forte che mai la necessità di aumentare le spese militari. Il suo valore complessivo per ordine del giorno è pari a 25,95 miliardi di euro con un aumento di 1,372 miliardi rispetto al 2021.

Praticamente tutte le voci che l’accompagnano sono in crescita.

Ma i 26 miliardi non è una fotografia esatta, perché include i 7,3 miliardi della cosiddetta, “Funzione sicurezza” rappresentata dall’Arma dei carabinieri.

La “Funzione difesa” vera e propria è pari a 18,1 miliardi di euro, dai 16,8 miliardi nel 2021 (+7,7%). È un dato in crescita per il 5° anno consecutivo. «Evento praticamente storico», commenta Giovanni Martinelli per Analisi Difesa. Nel giro di 3 anni la “Funzione difesa” ha visto crescere le risorse disponibili di ben 4,1 miliardi. E ora si annuncia il Bengodi.

Ma anche i 18 miliardi non è un dato veritiero per capire la reale spesa militare italiana. Perché a questa cifra bisogna poi aggiungere i fondi per “le politiche di sviluppo dei settori ad alto valore tecnologico per difesa e sicurezza” del Mise, il ministero dello sviluppo economico (quasi 4 miliardi di euro) e quelli per finanziare le missioni internazionale (1.397,5 milioni di euro).

Record dei fondi per l’investimento

Il dato che balza agli occhi è che sommando i fondi per l’investimento della difesa con quelli del Mise si arriva a una cifra intorno agli 8 miliardi di euro. Un botto. Nel 2019, quindi solo 3 anni fa, erano 4,3 miliardi (+85,6%).

Soldi che vanno a quel comparto militare industriale italiano che sta inanellando profitti a grappoli in questi mesi. L’invasione russa dell’Ucraina sta gonfiando le casse delle industrie degli armamenti italiane e globali. Complessivamente valgono quasi cinquecento miliardi di dollari e riforniscono entrambe le parti in conflitto.

Il conflitto ha già generato un notevole aumento delle spese militari. L’Ue ha inizialmente annunciato di voler comprare e consegnare all’Ucraina armi per 450 milioni di euro.

Corruzione a Versailles

E al Vertice di Versailles di pochi giorni fa i leader europei hanno deciso di aumentare drasticamente le spese portandole a quasi 600 milioni di euro. Ma l’European Network Against Arms Trade ENAAT (di cui Rete italiana pace e disarmo fa parte) e il Transnational Institute hanno denunciato in un report come quelle somme siano «inficiate da conflitti d’interesse, accuse di corruzione e sono notevolmente al di sotto degli standard etici e legali più elementari».

Il Rapporto rileva come 9 dei 16 rappresentanti dell’organo consultivo dell’Ue, che ha portato alla creazione del bilancio militare, fossero affiliati all’industria delle armi. Otto di queste entità – Airbus, BAE Systems, Indra, Leonardo, MBDA, Saab, Fraunhofer e TNO – hanno finora ricevuto oltre 86 milioni di euro o il 30,7% del totale, anche se l’importo finale sarà probabilmente molto più alto una volta che l’intero bilancio sarà assegnato.

Come si legge sul sito di Rete italiana pace e disarmo, «5 degli 8 maggiori beneficiari – Leonardo, Safran, Thales, Airbus e Saab – sono stati coinvolti in numerose accuse di corruzione, mentre i 7 maggiori beneficiari sono coinvolti in esportazioni di armi altamente controverse verso paesi che vivono conflitti armati o dove sono in vigore regimi autoritari e le violazioni dei diritti umani sono diffuse. “Il fatto che l’Ue potrebbe finanziare entità coinvolte in affari di armi controverse, produttori di armi nucleari, o che sono stati esposti per corruzione, solleva seri interrogativi sulle procedure di approvazione dell’Ue”, sottolinea Alexandra Smidman, ricercatrice associata di Shadow World Investigations».

Fondi “etici” che finanziano industrie armate

Ma che ormai siano ormai pochi coloro che non si rassegnano all’inaccettabile lo dimostra il caso dei fondi etici gestiti dalla banca svedese SEB, raccontato da Claudia Vago per Valori. Dal prossimo mese di aprile 6 degli oltre 100 fondi saranno autorizzati a investire in aziende operanti nel settore della difesa. Lo ha annunciato l’istituto finanziario nei giorni scorsi. Ribaltando la posizione adottata nel febbraio 2021 come parte del suo impegno a investire sulla base di principi ambientali, di sostenibilità e di governance (ESG).

Secondo quanto dichiarato dal gruppo finanziario, la guerra in Ucraina avrebbe ammorbidito il punto di vista di alcuni suoi clienti. Ciò ha portato alla decisione di permettere ad alcuni fondi investire in società che generano più del 5% dei loro ricavi dal settore della difesa. Pur continuando a escludere le aziende che producono o vendono armi che violano le convenzioni internazionali, come le bombe a grappolo. O sono coinvolte nella produzione di ordigni nucleari.
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