Omicidio di Varese, Pellai:
«Che angoscia avrà respirato
fuori e dentro di sé quel bambino?»
Il noto psicologo riflette sul caso del piccolo di 7 anni ucciso per mano del padre, autorizzato a vederlo durante le feste, nonostante fosse agli arresti domiciliari per aver aggredito un collega.
Un ennesimo infanticidio seguito da tentato femminicidio. Il tutto agito da un uomo che da un mese era agli arresti domiciliari perché poche settimane prima aveva cercato di accoltellare un collega di lavoro, all’interno della ditta di cui erano entrambi dipendenti. Il cadavere del proprio figlio nascosto in un armadio, una dose di cocaina reperita sull’automobile del criminale, la possibilità di spostarsi da un paese all’altro per andare a cercare di uccidere la propria ex moglie: la storia dell’orribile tragedia di Morazzone ci confronta con un sistema di protezione e giustizia che fa acqua da tutte le parti.
Come è possibile che un uomo così violento abbia il diritto di convivere nel fine settimana con un bambino senza la compresenza di un altro adulto con funzioni di supervisione e protezione? Come è possibile che una persona agli arresti domiciliari possa procurarsi sostanze psicotrope che di sicuro hanno avuto un ruolo nello slatentizzare una violenza senza freni? Apparentemente nessuno ha autorizzato (e tanto meno voleva) tutto questo. Nei fatti, però, tutto questo è accaduto. E ora ha conseguenze irreparabili. Nelle storie di violenza famigliare, si parla spesso di “violenza assistita” da parte dei bambini. Ovvero di minori che osservano gli adulti farsi male con le parole e con i gesti. Che quasi sempre vedono madri picchiate e abusate, maltrattate e umiliate, subendone un impatto traumatico. Ma è davvero solo un “assistere” alla violenza quella che vivono i bambini, o è un totale subirla, fino a sentirla segnata oltre che nella mente e nel cuore, anche nel loro corpo?
Il bambino morto a Morazzone ci serva da monito per comprendere come essere immersi nel delirio violento di un adulto che non sa autoregolarsi e che usa il coltello per vendicarsi di chi non fa le cose “come le dice lui” rappresenta un enorme rischio per la propria incolumità fisica oltre che psicologica. Non è semplicemente un “assistere” ma è un subire che può portare anche alle più estreme delle conseguenze. Proviamo anche ad immaginarci che cosa deve avere vissuto e provato il bambino nel tempo trascorso insieme a quel padre poi diventato il suo assassino nelle ore precedenti al crimine.
Che cosa avrà visto e “sentito” in quel tempo sospeso? Che ansia e che angoscia avrà respirato fuori e dentro di sé? Si rabbrividisce di orrore e terrore se solo ci si prova a mettere nella mente di questo bimbo che si è trovato in balia di un folle omicida senza poter fare niente per chiedere aiuto e mettersi in salvo, chiuso in una “prigione” di terrore e follia. Se un adulto è agli arresti domiciliari per atti violenti, la visita di un figlio non può più essere ritenuta un diritto né dell’uno, né dell’altro. Bensì diventa un evento ad alto rischio per il quale è necessario attuare tutte le precauzioni possibili. La morte di questo bambino rappresenta un “precedente” di cui non ci si può e deve dimenticare mai più.