lunedì 31 gennaio 2022

P. Ermes Ronchi GUERRA vs CURA

P. Ermes Ronchi
GUERRA vs CURA
 

Una riflessione su questo tempo amaro.

Vi ricordate cosa si diceva l'anno scorso? "Ne usciremo migliori"... non è vero.

Ci siamo dentro, ancora, e non siamo migliori, c'è disagio e rabbia. Il rischio maggiore che vedo, che sta crescendo, è quello di un' Italia spaccata in due, una specie di conflitto sociale tra chi ha scelto il vaccino e chi no.

Lo sentite il linguaggio aggressivo e violento, che si usa dappertutto, su tutti i mezzi di comunicazione, da tutti, da una parte e dall'altra? Insulti, umiliazioni, aggressioni, disprezzo, assalti. Siamo tornati ai guelfi e ghibellini medievali. Alle guerre civili, le peggiori, dove ci si spara addosso tra no vax e vaccinati. Si spaccano gruppi, compagnie, comunità, addirittura famiglie...

Mi sembra urgente che tutti adottiamo una sorta di bonifica del linguaggio, delle parole, dei pensieri prima di tutto: un'ecologia del dialogo. Ascoltiamoci! Ascoltiamo le ragioni degli altri, non siamo in guerra, siamo in cura. Adottiamo un linguaggio mite, pacificante, dialogante. Lo dico io che ho fatto la terza dose. Contro il Covid, ma non sono vaccinato contro la violenza.

C'è una violenza accovacciata alla porta di ciascuno di noi, ma noi possiamo dominarla. Non facciamola entrare, non apriamo al sottile varco dell'odio.

Si parla di ondate, ultime sacche di resistenza, di guerra. Chi dice "sono degli assassini, dei delinquenti"... No! Usiamo parole dialoganti, ascoltiamo con pace le ragioni. Non lasciamoci inquinare dalla violenza, non alimentiamola, perchè sta crescendo e non sappiamo contro chi si rivolterà domani. La violenza è una bestia che dorme dentro di noi, e che noi alleviamo.

Contro quale altro nuovo capro espiatorio si rivolterà?

Ne abbiamo avuti sempre, c'erano i fascisti e i comunisti, poi i meridionali e i migranti, ora i no vax e per loro i volontari dei centri vaccinali. Mattarella ha detto che è stato l'anno dei costruttori, sarebbe bello che il 2022 fosse l'anno dei riparatori; ci sono tante ferite da riparare, ma con il linguaggio della cura sulle relazioni, non della guerra.

Questo mondo non ha bisogno di altri lividi e bastonate. Ha bisogno di cura, di prenderci cura, di ritrovare la non violenza generativa di Gandhi, Martin Luther King, di Gesù.

p. Ermes Ronchi


«Il Signore sempre ci sorprende, è questa la bellezza dell’incontro con Gesù. La Madonna, modello di umiltà e disponibilità, ci mostri la via per accogliere Gesù.» Papa Francesco Angelus 30/01/2022 (testo e video)

ANGELUS

Piazza San Pietro
Domenica, 30 gennaio 2022



Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Nella Liturgia di oggi il Vangelo racconta la prima predicazione di Gesù nel suo paese, Nazaret. L’esito è amaro: anziché ricevere consensi, Gesù trova incomprensione e anche ostilità (cfr Lc 4,21-30). I suoi compaesani, più che una parola di verità, volevano miracoli, segni prodigiosi. Il Signore non ne opera e loro lo rifiutano, perché dicono di conoscerlo già da bambino, è il figlio di Giuseppe (cfr v. 22) e così via. Così Gesù pronuncia una frase diventata proverbiale: «Nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (v. 24).

Queste parole rivelano che l’insuccesso per Gesù non era del tutto imprevisto. Egli conosceva i suoi, conosceva il cuore dei suoi, sapeva il rischio che correva, metteva in conto il rifiuto. Allora possiamo chiederci: ma se la cosa era così, se prevede un fallimento, perché va lo stesso al suo paese? Perché fare del bene a gente che non è disposta ad accoglierti? È una domanda che ci poniamo spesso anche noi. Ma è una domanda che ci aiuta a capire meglio Dio. Egli, davanti alle nostre chiusure, non si tira indietro: non mette freni al suo amore. Davanti alle nostre chiusure, Lui va avanti. Ne vediamo un riflesso in quei genitori che sono consapevoli dell’ingratitudine dei figli, ma non per questo smettono di amarli e di fare loro del bene. Dio è così, ma a un livello molto più alto. E oggi invita anche noi a credere nel bene, a non lasciare nulla di intentato nel fare il bene.

In ciò che avviene a Nazaret troviamo però dell’altro: l’ostilità nei confronti di Gesù da parte dei “suoi” ci provoca: loro non furono accoglienti, e noi? Per verificarlo, guardiamo ai modelli di accoglienza che Gesù oggi propone, ai suoi compaesani e a noi. Sono due stranieri: una vedova di Sarepta di Sidone e Naamàn, il Siro. Tutti e due accolsero dei profeti: la prima Elia, il secondo Eliseo. Ma non fu un’accoglienza facile, passò attraverso delle prove. La vedova ospitò Elia, nonostante la carestia e benché il profeta fosse perseguitato (cfr 1 Re 17,7-16), era un perseguitato politico-religioso. Naamàn, invece, pur essendo una persona di altissimo livello, accolse la richiesta del profeta Eliseo, che lo portò a umiliarsi, a bagnarsi per sette volte in un fiume (cfr 2 Re 5,1-14), come se fosse un bambino ignorante. La vedova e Naamàn, insomma, accolsero attraverso la disponibilità e l’umiltà. Il modo di accogliere Dio è sempre essere disponibili, accoglierlo ed essere umili. La fede passa di qua: disponibilità e umiltà. La vedova e Naamàn non hanno rifiutato le vie di Dio e dei suoi profeti; sono stati docili, non rigidi e chiusi.

Fratelli e sorelle, anche Gesù percorre la via dei profeti: si presenta come non ce l’aspetteremmo. Non lo trova chi cerca miracoli – se noi cerchiamo dei miracoli non troveremo Gesù –, chi cerca sensazioni nuove, esperienze intime, cose strane; chi cerca una fede fatta di potenza e segni esteriori. No, non lo troverà. Soltanto lo trova, invece, chi accetta le sue vie e le sue sfide, senza lamentele, senza sospetti, senza critiche e musi lunghi. Gesù, in altre parole, ti chiede di accoglierlo nella realtà quotidiana che vivi; nella Chiesa di oggi, così com’è; in chi hai vicino ogni giorno; nella concretezza dei bisognosi, nei problemi della tua famiglia, nei genitori, nei figli, nei nonni, accogliere Dio lì. Lì c’è Lui, che ci invita a purificarci nel fiume della disponibilità e in tanti salutari bagni di umiltà. Ci vuole umiltà per incontrare Dio, per lasciarci incontrare da Lui.

E noi, siamo accoglienti o assomigliamo ai suoi compaesani, che credevano di sapere tutto su di Lui? “Io ho studiato teologia, ho fatto quel corso di catechesi… Io conosco tutto su Gesù!”. Sì, come uno scemo! Non fare lo scemo, tu non conosci Gesù. Magari, dopo tanti anni che siamo credenti, pensiamo di conoscere bene il Signore, con le nostre idee e i nostri giudizi, tante volte. Il rischio è di abituarci, abituarci a Gesù. E così come ci abituiamo? Chiudendoci, chiudendoci alle sue novità, al momento in cui Lui bussa alla tua porta e ti dice una cosa nuova, vuole entrare in te. Noi dobbiamo uscire da questo rimanere fissi sulle nostre posizioni. Il Signore chiede una mente aperta e un cuore semplice. E quando una persona ha una mente aperta, un cuore semplice, ha la capacità di sorprendersi, di stupirsi. Il Signore sempre ci sorprende, è questa la bellezza dell’incontro con Gesù. La Madonna, modello di umiltà e disponibilità, ci mostri la via per accogliere Gesù.

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Dopo l'Angelus

Cari fratelli e sorelle,

oggi ricorre la Giornata Mondiale dei Malati di Lebbra. Esprimo la mia vicinanza a quanti soffrono di questa malattia e auspico che non manchino loro il sostegno spirituale e l’assistenza sanitaria. È necessario lavorare insieme alla piena integrazione di queste persone, superando ogni discriminazione associata a un morbo che, purtroppo, colpisce ancora tanti, specialmente in contesti sociali più disagiati.

Dopodomani, 1° febbraio, in tutto l’Estremo Oriente, nonché in varie parti del mondo, si celebrerà il Capodanno Lunare. In questa circostanza, rivolgo il mio cordiale saluto ed esprimo l’augurio che nel Nuovo Anno tutti possano godere la pace, la salute e una vita serena e sicura. Com’è bello quando le famiglie trovano occasioni per radunarsi e vivere insieme momenti di amore e di gioia! Molte famiglie, purtroppo, non riusciranno quest’anno a riunirsi, a causa della pandemia. Spero che presto potremo superare la prova. Auspico, infine, che grazie alla buona volontà delle singole persone e alla solidarietà dei popoli, l’intera famiglia umana possa raggiungere con rinnovato dinamismo traguardi di prosperità materiale e spirituale.

Alla vigilia della festa di San Giovanni Bosco, vorrei salutare i salesiani e le salesiane, che tanto bene fanno nella Chiesa. Ho seguito la Messa celebrata nel santuario di Maria Ausiliatrice [a Torino] dal Rettore maggiore Ángel Fernández Artime, ho pregato con lui per tutti. Pensiamo a questo grande Santo, padre e maestro della gioventù. Non si è chiuso in sagrestia, non si è chiuso nelle sue cose. È uscito sulla strada a cercare i giovani, con quella creatività che è stata la sua caratteristica. Tanti auguri a tutti i salesiani e le salesiane!

Saluto tutti voi, fedeli di Roma e pellegrini di varie parti del mondo. In particolare, saluto i fedeli di Torrejón de Ardoz, in Spagna, e gli studenti di Murça, in Portogallo.

Con affetto saluto i ragazzi e le ragazze dell’Azione Cattolica della Diocesi di Roma! Sono qui in gruppo. Cari ragazzi, anche quest’anno, accompagnati dai genitori, dagli educatori e dai sacerdoti assistenti, siete venuti – un piccolo gruppo, per la pandemia – al termine della Carovana della Pace. Il vostro slogan è Ricuciamo la pace. Bello slogan! È importante! C’è tanto bisogno di “ricucire”, partendo dai nostri rapporti personali, fino alle relazioni tra gli Stati. Vi ringrazio! Andate avanti! E adesso liberate verso il cielo i vostri palloncini come segno di speranza… Ecco! È un segno di speranza che ci portano i ragazzi di Roma oggi, questa “carovana per la pace”.



Auguro a tutti una buona domenica. E per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci.

Guarda il video


domenica 30 gennaio 2022

Preghiera dei Fedeli - Fraternità Carmelitana di Pozzo di Gotto (ME) - IV Domenica del Tempo Ordinario - Anno C


Fraternità Carmelitana 
di Pozzo di Gotto (ME)

Preghiera dei Fedeli

  IV Domenica del Tempo Ordinario
Anno C
30 gennaio 2022 


Per chi presiede 

Fratelli e sorelle, teniamo fisso lo sguardo su Gesù, il Figlio, che è oggetto della compiacenza del Padre. A Lui, che ci ha reso visibile la misericordia del Padre, innalziamo con fiducia le nostre preghiere e le nostre intercessioni ed insieme diciamo:

R/ Abbi pietà di noi, Signore


Lettore

- Signore, Tu che ami la tua Chiesa di un amore sponsale, passa in mezzo ad essa, spezza il cerchio asfissiante dell’autoreferenzialità e spingila con la forza del tuo Santo Spirito a non aver timore ad affrontare la comunità degli uomini e delle donne, portando a tutti il lieto annunzio della l’accoglienza e della misericordia del Padre. Preghiamo.

- Suscita, Signore, nel cuore dei popoli e delle varie fedi religiose uomini e donne capaci di profezia. Il mondo globalizzato è un mondo che va smarrendo il senso dell’umano e della vera relazione. Fa’ sorgere persone in ascolto di Te e del tuo disegno di amore, perché sappiano dire parole vere, parole di vita. Preghiamo.

- Signore, liberaci dalla guerra. In Ucraina si gioca questo pericoloso scontro tra la NATO e la Russia. Dona a politici e militari la chiara coscienza che con la guerra ci perdiamo tutti. Ricordati, Signore, anche del popolo dello Yemen e di quello etiopico, vittime di guerre che non fanno notizia. Preghiamo.

- Sii vicino, Signore, a quanti sono senza casa o che hanno lasciato il loro paese e si ritrovano a morire di freddo. Sostieni e dona forza a quanti sono stati licenziati e a tutti quei giovani che disperano di trovare un lavoro continuativo. La tua mano protegga quei lavoratori esposti a lavori pericolosi. Benedici le nostre case e fa’ che in tutte regni il dialogo e l’accoglienza reciproca. Preghiamo.

- Davanti a te, Signore Gesù, ci ricordiamo dei nostri parenti e amici defunti e delle vittime del corona-virus [pausa di silenzio]; ci ricordiamo anche di coloro che muoiono nella solitudine e nell’abbandono, di coloro che muoiono di fame e di freddo, e di coloro che muoiono per l’inquinamento. Fa’ che tutti possano contemplare il tuo Volto di Misericordia. Preghiamo.


Per chi presiede 

Signore Gesù, accogli la nostra preghiera e fa’ che senza remore ed esitazioni ci lasciamo interpellare docilmente dalla tua Parola che libera, guarisce e illumina. Te lo chiediamo perché sei nostro Fratello e Signore, nei secoli dei secoli. AMEN.


"Un cuore che ascolta lev shomea" - n. 13/2021-2022 anno C

 "Un cuore che ascolta - lev shomea"

"Concedi al tuo servo un cuore docile,
perché sappia rendere giustizia al tuo popolo
e sappia distinguere il bene dal male" (1Re 3,9)



Traccia di riflessione sul Vangelo
a cura di Santino Coppolino


IV Domenica del Tempo Ordinario

Vangelo:



Il discorso-commento su Is 61 nella sinagoga di Nazareth, lascia i nazaretani letteralmente esterrefatti e increduli poiché Gesù ha soltanto parole di grazia e di misericordia per coloro che attendono liberazione. Egli, infatti, omette volontariamente di leggere di quei passi che fanno riferimento alla vendetta di Yahweh (Is 61 ,2). Tutto ciò suona come una bestemmia, un vero tradimento per quanti aspettano il re-messia guerriero e giustiziere, pronto a punire i peccatori e a cacciare via da Israele gli odiati romani. Nei suoi concittadini che rifiutano un Messia capace soltanto di amare, «più che vedere Israele, sono da vedere i suoi di ogni tempo» (cit.); in concreto è da vedere la Chiesa stessa quando si lascia tentare dal potere e dalla violenza. Il modo in cui Gesù si manifesta e scandalizza i cristiani d'oggi è uguale a quello di quel tempo a Nazareth . E' la tragica sorte di ogni profeta, l'anticipazione di quanto avverrà a Gerusalemme: gettato fuori dalla città e messo a morte. Gesù però non si lascia catturare dai suoi concittadini, così come non rimarrà prigioniero della morte. Il suo gesto di attraversare incolume la folla ostile è il presagio della sua resurrezione.

sabato 29 gennaio 2022

UN BUCO BIANCO - Dico di conoscerlo, ma cosa so, io, del mistero di quella persona? Non sprechiamo i nostri profeti! Anche la nostra Chiesa e il nostro Paese traboccano di mistici, profeti, sognatori coraggiosi. - IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO / C - Commento al Vangelo a cura di P. Ermes Ronchi

UN BUCO BIANCO
 

Dico di conoscerlo, ma cosa so, io, del mistero di quella persona?
Non sprechiamo i nostri profeti! Anche la nostra Chiesa e il nostro Paese traboccano di mistici, profeti, sognatori coraggiosi.
 

I commenti di p. Ermes al Vangelo della domenica sono due:
  • il primo per gli amici dei social
  • il secondo pubblicato su Avvenire

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (...) Luca 4,21-30.

per i social

UN BUCO BIANCO

Dico di conoscerlo, ma cosa so, io, del mistero di quella persona? Non sprechiamo i nostri profeti! Anche la nostra Chiesa e il nostro Paese traboccano di mistici, profeti, sognatori coraggiosi.


La sinagoga è incantata davanti al sogno di un mondo nuovo che Gesù ha evocato. Poi, quasi senza spiegazione, lo conducono sul ciglio del monte per gettarlo giù. Nazaret passa di colpo dalla fierezza, dalla festa per questo figlio che torna circondato di fama, potente in parole ed opere, ad una sorta di furore omicida. Dalla meraviglia alla furia.

L'entusiasmo passa in fretta, i compaesani hanno già catalogato Gesù: non è costui il figlio di Giuseppe? Che un profeta sia un uomo straordinario, siamo pronti ad ac­cettarlo. Ma che la profezia sia nella casa del falegname, in uno che non è neanche sacerdote o scriba, che ha le mani segnate dalla fatica come me, che ha più o meno i problemi che ho io, con quella famiglia così così, ci pare impossibile.

L'hanno chiuso nei loro preconcetti e, con l'abitudine, hanno spento il mistero e la sorpresa, così l'altro, invece di essere una finestra di cielo, una benedizione che cammina, è solo il figlio di Giuseppe, o il falegname, l'idraulico, il postino, la maestra… Dico di conoscerlo, ma cosa so, io, del mistero di quella persona?

C'è profezia nel quotidiano, profezia di casa mia, ma come tutta Nazaret non riesco a vederla.

Perché la folla passa rapidamente dall'entusiasmo all'odio? Difficile dirlo, ma la storia biblica insegna che la persecuzione rivela sempre l'autenticità del profeta. Essi non cercano Dio, ma un taumaturgo che intervenga nei loro naufragi, uno che dirotti la forza di Dio fra i vicoli del loro paese. Ma questo non è il Dio dei profeti.

Infatti Gesù risponde parlando di un Dio padre anche delle vedove di Sidone e dei lebbrosi di Siria. “Non farò miracoli qui”, dice Gesù. Li ho fatti a Cafarnao, li ho fatti a Sarepta e nel corpo del lebbroso.

Il mondo è pieno di miracoli, eppure non bastano, perché voi li preferite alla Parola di Dio.

Gesù sa che con il pane e i miracoli non si liberano le persone, piuttosto ci si impossessa di loro, e Dio non si impossessa, Dio non invade.

Quando lo condussero sul monte per gettarlo giù, improvvisamente si verifica uno strappo nel racconto, un buco bianco, un “ma”. Ma Gesù passando in mezzo a loro si mise in cammino. Un finale a sorpresa: non fugge, passa in mezzo aprendosi un solco come di seminatore, mostrando che si può ostacolare la profezia, ma non bloccarla. «Non puoi fermare il vento, gli fai solo perdere tempo» (F. De Andrè).

Bellissimo Spirito che accende il suo roveto all'angolo di ogni strada, che disperde la Parola nelle sillabe di ogni volto.

Non sprechiamo i nostri profeti! Anche la nostra Chiesa e il nostro Paese traboccano di mistici, profeti, sognatori coraggiosi. A mancare sono solo gli ascoltatori; noi, che fatichiamo a vedere l'infinito all'angolo della strada, il mistero rannicchiato sulla so­glia della nostra casa.

per Avvenire

Non i profeti ma gli amanti salveranno il mondo (...)

Leggi su Avvenire

Liberi da se stessi. L’esempio virtuoso di una sciatrice

Liberi da se stessi.
L’esempio virtuoso di una sciatrice

Che una giovane sportiva come Sofia Goggia sintetizzi il suo stato d’animo con un’espressione di fede sorprende, incuriosisce e provoca: rapido sguardo sull’interiorità di un altro, bagliore subitaneo dal di dentro, scoprire la fede di una persona colpisce sempre, diventa oggetto di citazioni, “retweet”, commenti… e tutto sommato ci fa ben sperare per le sorti del mondo, in linea con quanto tanti, tanti anni fa auspicava anche un Chesterton, che in un oblio del Cristianesimo così completo da farlo ridiventare esotico vedeva il principio di una nuova evangelizzazione possibile

(Foto ANSA/SIR)

A seguito di un infortunio, la sciatrice nostrana Sofia Goggia (29 anni) ha perso la possibilità di essere la portabandiera dell’Italia ai Giochi invernali di Pechino. Fin qui, rischi del mestiere. Quello che invece ha sollevato molto interesse e destato il chiacchiericcio del web è un messaggio che la Goggia ha inviato dai suoi profili social in merito all’evento: “Se questo è il piano di Dio per me, io altro non posso fare che spalancare le braccia, accoglierlo e accettarlo. E andare avanti. Grazie a tutti”. Seguito da due emoji: un cuoricino rosso incrinato, e uno integro.

L’interesse destato da un simile commento concerne due livelli: anzitutto, il personale rapporto di questa donna con l’esperienza del limite e del fallimento; poi, la reazione del web alla sua affermazione, rimbalzata per ogni dove sui social.

Quanto al primo punto, è vero che l’affermazione della Goggia potrebbe di primo acchito sembrare semplicemente fatalistica: “Sia fatta la volontà di Dio!” ben di rado si riferisce a quanto prega il Padre Nostro, quanto piuttosto significa, il più delle volte e per la maggior parte della gente, una rassegnata sottomissione, spesso più verbale che reale, all’imperscrutabile incombenza del Fato.
Quello che però ci fa sospettare che nell’approccio di questa sportiva ci sia di più è la scelta dei verbi: non si tratta di subire cose che capitano, ma di rendersi disponibili (“spalancare le braccia”) a quanto ci viene dalla vita, accogliendolo e vedendovi qualcosa per noi, per un di più di amore e di gioia, anche quando non lo comprendiamo lì per lì (“Se questo…”).
I “no” della vita si rivelano sempre, nello sguardo pasquale, svolte per ulteriori passaggi e ulteriori “sì”, e Sofia (di nome e di fatto), che lo sapesse o meno mentre scriveva, ha dato un bell’esempio di “santa indifferenza”, per dirla con sant’Ignazio di Loyola, una libertà da se stessa che le ha permesso di riformularsi al presente verso il futuro, da qui in avanti, senza farsi vincere dalla tristezza, “e andare avanti”, come ha scritto lei stessa.

La sciatrice, “predicando” con un semplice tweet (e con la vita), ci ricorda che non c’è un Fato che ci inchioda, ma una Provvidenza paterna che ci guida e che ci ama, anche quando non la capiamo, e che tenendoci per mano continua a farci camminare, contro ogni tentazione di rassegnazione, abbattimento o disperazione – ed ecco che il primo cuoricino diventa il secondo, e da spezzato ridiventa integro, risanato dalla speranza.

Come si diceva all’inizio, altrettanto interessante è la reazione del web. Oggi l’intimità più recondita non è certo quella genitale, che al contrario è ampiamente divenuta oggetto di scambi e di visualizzazioni – è quella spirituale. Che una giovane sportiva sintetizzi il suo stato d’animo con un’espressione di fede sorprende, incuriosisce e provoca: rapido sguardo sull’interiorità di un altro, bagliore subitaneo dal di dentro, scoprire la fede di una persona colpisce sempre, diventa oggetto di citazioni, “retweet”, commenti… e tutto sommato ci fa ben sperare per le sorti del mondo, in linea con quanto tanti, tanti anni fa auspicava anche un Chesterton, che in un oblio del Cristianesimo così completo da farlo ridiventare esotico vedeva il principio di una nuova evangelizzazione possibile.
(fonte: Sir, articolo di Alessandro Di Medio 28/01/2022)


VOI, COME FIUMI CARSICI Lettera di Don Mimmo Battaglia (arcivescovo di Napoli) agli uomini e alle donne con le mani sporche di vangelo

VOI, COME FIUMI CARSICI

Lettera di Don Mimmo Battaglia agli uomini e alle donne 
con le mani sporche di vangelo





Conosco una storia nascosta e silenziosa, per nulla appariscente, poco visibile agli occhi degli uomini e ai riflettori delle telecamere.

È la storia minima e tenace, discreta e coraggiosa di una Chiesa che quotidianamente la camorra la guarda in faccia, dritta negli occhi e senza piegare la schiena.

É la storia di preti che in certi territori dove l’unica legge sembra essere quella della sopraffazione e della violenza hanno fatto delle loro parrocchie avamposti credibili e autorevoli in difesa della dignità umana. Preti che dinanzi alla cappa omertosa della sovranità mafiosa non arretrano neanche di un centimetro e propongono in alternativa la logica “eversiva” di spazi comuni da recuperare alla bellezza dello stare insieme, perché la tendenza all’isolamento alimentata dalla paura della camorra si vince solo con il gusto della condivisione e del fare comunità.

Preti che si sentono chiamare “sbirri” perché con franchezza e “parresia” non hanno timore a ricordare che la denuncia è l’altra faccia dell’annuncio, perché il Dio di Gesù di Nazareth è lo stesso che attraverso il profeta Ezechiele ci dice “se tu non parli per distogliere l’empio dalla sua condotta, egli, l’empio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io chiederò conto a te” (Ez 33,8).

È la storia di religiosi e religiose che non si limitano ad aspettare il ritorno del figliol prodigo, ma gli stanno dietro, seguono i suoi passi, non gli danno tregua nel ricordargli lo sperpero che sta facendo della sua vita, e spesso trasformano la cella carceraria della pena in un crocevia di tormento e di speranza: tormento per il male sul quale finalmente apre gli occhi, speranza per una vita che si fa sempre in tempo a riprendere in mano.

Uomini e donne di vangelo costretti però anche ad ingoiare spesso i bocconi amari dell’incomprensione e dell’insulto perché chi viene sollecitato a mettere in discussione la propria esistenza fatta di sangue e di morte si ribella, non accetta e non manda giù le parole chiare e per questo dure di chi senza esitazioni e diplomazia gli ricorda che ha venduto l’animo al diavolo.

Non voglio girarci intorno.

Io lo so che queste storie silenziose e anonime non attenuano per nulla la chiassosa responsabilità per i silenzi di non pochi uomini di Chiesa dinanzi all’arroganza e alla prepotenza della camorra; non voglio negare l’imbarazzante tentativo di un certo pensiero ecclesiastico di sminuire e minimizzare questo problema con la solita affermazione che l’evangelizzazione non può appiattirsi sulla lotta alla mafia, e lungi da me il tentativo di proporre i santini dei preti impegnati, o addirittura di chi ci ha rimesso la vita come don Peppe Diana, come paraventi insanguinati da mostrare all’occorrenza.

In coscienza, però, sento semplicemente il dovere di restituire merito e onore a quei preti e religiosi che in silenzio vivono il proprio ministero incarnando il vangelo del “si si, no no” (Mt 5,37): quel vangelo che non ti fa scendere a patti con nessuno, che ti fa essere di parte perché hai scelto di schierarti con i più deboli rivendicando per loro quei sacrosanti diritti che i mafiosi e i potenti trasformano invece in favori da chiedere in elemosina, quel vangelo che ti invita a sporcarti le mani perché se sogni un mondo giusto e una società libera dalle mafie quelle mani non puoi tenerle in tasca.

E io di preti con le mani sporche di vangelo ne conosco tanti!

Per questo ho preso carta e penna. Per dirvi grazie.

Non so se siete una sparuta minoranza o molti di più di quello che si possa immaginare, so solo che voi siete quella profezia di cui oggi ha sempre più bisogno questa nostra amata e tormentata Città, siete i pilastri ben conficcati nella roccia e per questo nascosti su cui tutti insieme ci stiamo impegnando per costruire la casa di una nuova umanità, e siete come fiumi carsici, quei fiumi cioè che scavano più di altri e quando poi escono allo scoperto più di altri trasformano il volto di un territorio. Ma vi scrivo anche per chiedervi di spronarmi se doveste accorgervi di una mia eccessiva prudenza dinanzi alle lacrime innocenti della prepotenza mafiosa e di trasmettermi la vostra “parresia” se anche io talvolta dovessi girarmi dall’altra parte, e di accompagnare e sostenere i passi di quei nostri confratelli che non poche volte continuano a preferire la neutralità alla profezia e il silenzio rassicurante allo scomodo grido di libertà che viene dal Vangelo.

Grazie fratello parroco, che ogni giorno attraverso il tuo servizio pastorale testimoni la bellezza del vangelo, annunciandone le esigenze di giustizia e di bene, raccontando a tutti coloro che incontri nella tua chiesa e per le strade del tuo quartiere che è possibile vivere una vita bella nella sequela del Signore, perché il camminare dietro a lui conduce alla vita, a differenza della camorra che è un cammino di morte, di tenebre.

Grazie giovane presbitero, che doni le energie dei primi anni del tuo ministero a raccogliere tanti bambini, ragazzi e giovani per mostrare loro che è possibile sognare e trasformare i sogni in realtà nella misura in cui si cammina insieme, prendendosi per mano, nella gioia e nell’impegno: un po’ come avviene nell’oratorio dove svolgi il tuo servizio e che diventa non solo scuola di santità ma baluardo di impegno civico, difesa dalle mani della malavita che pure desirerebbe sfruttare la tua giovane età.

Grazie a te fratello religioso e sorella religiosa, perché hai compreso che la tua consacrazione a Dio non può essere mai disgiunta dall’impegno a favore dell’uomo, e soprattutto dell’uomo ferito, emarginato, tentato: quante storie hai ascoltato, quante volte la periferia è diventata il tuo chiostro e una piazza di spaccio il luogo della tua preghiera, quante vite cerchi ogni giorno di sottrarre, lontano dai riflettori, alle maglie mortifere delle mafie e dell’ingiustizia.

Grazie a te giovane, che semini l’entusiasmo dell’impegno civile nella tua comunità parrocchiale, che traduci il vangelo con l’alfabeto dell’impegno politico, associativo, sociale, diventando per i tuoi coetanei un segno di speranza e un riferimento sicuro. Quanti ragazzi e ragazze per seguire la tua allegria hanno resistito ad altre proposte che li avrebbero condotti lontano dai sentieri della giustizia e della legalità.

Grazie a te fratello, sorella, che indipendentemente dal tuo ruolo nella chiesa e nella società o perfino dalla fede di appartenenza, percorri ogni giorno a testa alta e senza paura il sentiero della giustizia, della denuncia, della solidarietà, senza grandi proclami ma con azioni piccole e quotidiane che, goccia dopo goccia, scavano nuovi spazi e possibilità di rinascita tra i detriti lasciati qua e la dalle mafie.

E in ultimo grazie a te, fratello e sorella, che sproni la chiesa ad essere sempre più fedele al vangelo, criticando quanto in esso è ancora intriso di neutralità e timore. E nel dirti grazie ti chiedo anche di camminare insieme, di non lasciarci soli, di prenderci per mano superando steccati e diffidenze per servire insieme la causa della giustizia, del bene, della civiltà fondata sull’amore.

Don Mimmo Battaglia


venerdì 28 gennaio 2022

Telefonata a sorpresa di Papa Francesco a una famiglia affidataria

Telefonata a sorpresa di Papa Francesco a una famiglia affidataria

Caterina sente squillare il cellulare. Sul display compare "numero privato". Ha un attimo di esitazione, poi decide di rispondere.



Dal 2003 la coppia, che fa parte della Comunità Papa Giovanni XXIII e vive in provincia di Torino, si è aperta all'affido ed è attiva nel cercare e formare famiglie disponibili ad accogliere minori con disabilità.

Papa Francesco telefona a una famiglia affidataria piemontese per sentire come va con i due ragazzi che hanno accolto, entrambi con disabilità.
È successo domenica 23 gennaio.

Sono da poco passate le 17 quando Caterina sente squillare il cellulare. Sul display compare “numero privato”. Ha un attimo di esitazione, poi decide di rispondere.
«Buongiorno, sono Papa Francesco». «Oh, mammamia!» è la prima reazione spontanea di Caterina. E lui: «No, non mamma mia… sono davvero Papa Francesco!».
L’accento è inconfondibile, non si tratta di uno scherzo, e all’improvviso Caterina si rende conto di che cosa è successo.
«Qualche giorno fa – racconta – una coppia che conosciamo ci aveva detto che sarebbe andata ad incontrare il Papa e ci aveva proposto di scrivere una lettera che poi loro gli avrebbero consegnato».
Questa coppia ha una figlia con gravi disabilità. «Ci siamo conosciuti – spiega Caterina – perché anche noi abbiamo una bambina con disabilità, Giorgia (nome di fantasia), che abbiamo accolto quando aveva otto mesi, adesso ha 11 anni.»

La lettera di Giorgia, che comunica con lo sguardo

Caterina aveva accolto la proposta e consegnato alla coppia una lettera indirizzata al Papa: «Io non cammino, non parlo con la voce, ma comunico con il mio sguardo – aveva scritto Caterina a nome di Giorgia –. Ho un impianto cocleare che mi fa sentire la musica (di cui sono appassionata) e le voci dei miei cari e dei miei amici. In questo ultimo anno ho dovuto subire un intervento perché avevo una lussazione all’anca e ho sofferto molto, ma grazie a Dio, adesso sto meglio. I miei genitori ringraziano Gesù ogni giorno per essermi stato vicino attraverso l’operato di medici e operatori».

Nella lettera si raccontava poi dei due figli naturali della coppia, 19 e 22 anni, e di Marcel (nome di fantasia), un «ragazzone di 26 anni affetto da autismo» e della sua grande fede.
Mamma Caterina aveva allegato al testo una foto in cui Giorgia e Marcel stavano guardando in TV l’Angelus di Papa Francesco, cosa che fanno davvero assieme tutte le domeniche. E aveva aggiunto come contatto il suo numero di cellulare. «Ma non mi aspettavo che mi chiamasse davvero, e addirittura dopo soli due giorni da quando gli hanno consegnato il nostro scritto» racconta ancora emozionata.

«Sembrava di parlare con un amico»

Papa Francesco durante la telefonata le dice che ha letto la lettera e chiede come stanno Giorgia e Marcel. «Sembrava di parlare con un amico – racconta –. Ha voluto sapere altri particolari sulle loro storie».
Superata la sorpresa, Caterina coinvolge il marito. «Ho messo il cellulare in vivavoce e sono andata nell’altra stanza dove c’era Bruno. “C’è Papa Francesco, ti vuole salutare” gli ho detto mentre lui mi guardava incredulo.» Poi passa il telefono anche a Marcel. «Lui – spiega Caterina – è con noi da quando aveva 15 anni. Nonostante la disabilità ha una forte spiritualità. Dice sempre che vuole andare in paradiso e chiama il paradiso "città dell'inclusione", un posto meraviglioso dove si parla la "lingua del cuore". Ho raccontato a Papa Francesco che tutte le sere mette sul comodino le icone che gli sono state regalate il giorno del suo battesimo e prega ad alta voce, ci è di esempio con la sua fedeltà nella preghiera».

L'impegno per assicurare una famiglia ad ogni bambino

Caterina e Bruno vivono in provincia di Torino e fanno parte della Comunità Papa Giovanni XXIII che hanno conosciuto nel 1996 quando lei ha fatto la tesi di laurea in Psicologia sull’esperienza della case famiglia. L’anno dopo si sono sposati e dal 2003 hanno deciso di aprire la loro famiglia all’accoglienza. Da allora sono una quindicina i minori che hanno avuto in affido.
Oggi Bruno lavora nella cooperativa sociale "Senza Confini" promossa dall’Associazione mentre Caterina cura la formazione delle famiglie che si aprono all’accoglienza. In particolare dal 2019 è punto di riferimento del progetto “Portami a casa” che si prefigge di sensibilizzare le famiglie all’accoglienza di minori abbandonati alla nascita o provenienti da situazioni difficili.
«Vi ringrazio per ciò che fate per questi bambini» le ha detto papa Francesco.

Caterina ripensa alla telefonata. «Ho ancora il cuore in gola, il Papa che chiama proprio te… gli avevo mandato una lettera ma chissà quante ne riceve. Mi rendo conto di avere avuto un grande privilegio. È stato un momento davvero eccezionale. Allo stesso tempo però anche una cosa semplice, naturale: sembrava di parlare con una persona di famiglia che ti chiede come va, come stanno i tuoi figli, che ti ascolta senza fretta. Avremo parlato almeno 10 minuti. E alla fine ci ha anche ringraziato e ci ha dato la sua benedizione».

«Ancora una volta la delicatezza e l'attenzione di Papa Francesco ci stupiscono - ha commentato Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, nell'apprendere la notizia -. Veramente è vicino alla povera gente a chi vive nella ferialità la condivisione con chi soffre».
(fonte: Sempre News, articolo di Alessio Zamboni 24/01/2022)
 

1945-2022: il dovere della memoria, per vincere l’indifferenza, per vivere questo nostro tempo - Messaggio dell'Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice per la Giornata della Memoria


1945-2022: il dovere della memoria, per vincere l’indifferenza, per vivere questo nostro tempo

Messaggio dell'Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice per la Giornata della Memoria: «Sulla fragile barca dell’umanità ci uccide l’indifferenza, ma può ancora salvarci la memoria. Il corpo dei nostri fratelli che muoiono tentando di raggiungere l’Europa, proprio nei giorni in cui questa Europa celebra la Giornata della Memoria, ci urla con quanta facilità la storia rischi di ripetersi»


«Sulla fragile barca dell’umanità ci uccide l’indifferenza, ma può ancora salvarci la memoria. Il corpo dei nostri fratelli che muoiono tentando di raggiungere l’Europa, proprio nei giorni in cui questa Europa celebra la Giornata della Memoria, ci urla con quanta facilità la storia rischi di ripetersi».

Così l’Arcivescovo di Palermo Mons. Corrado Lorefice commenta la tragica fine dei sette migranti morti la scorsa notte per ipotermia a poche miglia da Lampedusa e allo stesso tempo lancia il suo messaggio per il 27 gennaio, giorno in cui si commemorano le vittime della Shoah: «Lasciar morire di freddo qualcuno alle porte dell’Europa, alla porta di ognuna delle nostre case, significa rinnovare il disinteresse e l’indifferenza che ci rende colpevoli.

È una coincidenza che ci ammonisce: non possiamo permetterci di guardare con dolore agli stermini che siamo stati capaci di commettere in passato, se allo stesso tempo non siamo capaci di aprire gli occhi su quelli verso cui restiamo inermi nel presente».

«Ripetutamente e da più parti – prosegue Lorefice – commenteremo in queste ore, in questi giorni, la portata della raccapricciante mortificazione della dignità umana che il mondo intero si trovò davanti il giorno in cui furono aperti i cancelli di Auschwitz, e ripeteremo quel ‘never again’ che oggi è scolpito in tutte le lingue sulle porte di quei campi; tante volte ribadiremo sui giornali, nelle piazze, nelle scuole, che il dolore di quella mortificazione ci riguarda tutti, perché tutti siamo ancora esposti al rischio di essere emarginati o di emarginare, di ritrovarci vittime o di diventare complici di chi sceglie la strada della sopraffazione verso chi ci sembra diverso e verso chi è più debole.

Ecco, faccio appello alle coscienze di tutti affinché possiamo accostarci a questo necessario e prezioso momento della Memoria con un senso di responsabilità privo di qualunque ipocrisia dettata dalle circostanze.

Farci profondamente interpreti del significato di un orrore così grande significa oggi prendere posizione a testa alta e ad alta voce contro nuovi orrori che perdurano: ricordiamo i nostri fratelli morti di stenti, di fatica, di soprusi, di malattia nei lager nazisti, privati dell’identità e di ogni dignità, e troviamo il coraggio di unirci nel giudicare inaccettabili gli stenti, la fatica, i soprusi, la malattia per cui altri nostri fratelli continuano a morire nei lager libici, nei deserti che attraversano, nel mare a cui si affidano, nei respingimenti finanziati con i fondi italiani ed europei. Il dramma di cui facciamo Memoria ci aiuti a riconoscere il loro, e a non esitare più nell’accoglierlo. Perché chi non ricorda il proprio passato è destinato a riviverlo».


"Volti di fraternità e sororità nella fede biblica" - I MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2022 - Fraternità Carmelitana di Barcellona P.G.

I MERCOLEDÌ DELLA BIBBIA 2022
"Volti di fraternità e sororità 
nella fede biblica" 
promossi dalla 
Fraternità Carmelitana 
di Barcellona Pozzo di Gotto (ME) 

Dal 2 Febbraio al 23 Marzo 
Chiesa-Santuario e in streaming 
dalle h. 20.00 alle h. 21.00



MERCOLEDÌ 2 FEBBRAIO 
Caino e Abele: una fraternità soffocata 
(Gregorio Battaglia) 

MERCOLEDÌ 9 FEBBRAIO 
Abramo, lo sradicato e il forestiero, divenuto “tenda” ospitale e segno di benedizione 
(Aurelio Antista)

MERCOLEDÌ 16 FEBBRAIO 
Noè: rifondare in Dio i vincoli della fraternità umana 
(Carmelo Russo)

MERCOLEDÌ 23 FEBBRAIO 
Giacobbe ed Esaù: dal conflitto al riconoscimento del volto dell’altro 
(Francesco Ciaccia)

MERCOLEDÌ 9 MARZO 
Giuseppe e i suoi fratelli: la fraternità ritrovata
(Alberto Neglia)

MERCOLEDÌ 16 MARZO 
Lia e Rachele: una sororità sofferta 
(Cettina Militello)

MERCOLEDÌ 23 MARZO 
Gesù, il Messia Figlio di Dio che non si vergogna di chiamarci fratelli 
(Egidio Palumbo)

 Per informazioni: 
Chiesa del Carmine – Tel. 0909762800

P.S.: Per seguire la diretta streaming aprire il seguente link:
         https://m.youtube.com/user/QdV100/live

Il nuovo abbraccio tra il Papa e Edith Bruck: tramandare la memoria ai giovani

Il nuovo abbraccio tra il Papa e Edith Bruck: tramandare la memoria ai giovani

Nella Giornata della Memoria, il nuovo incontro a Santa Marta tra Francesco e la scrittrice ungherese, sopravvissuta ad Auschwitz. Oltre un'ora di conversazione, tra aneddoti, ricordi e scambi di doni, alla presenza dell'assistente Olga e del direttore de L'Osservatore Romano, Andrea Monda


L’affetto che ormai li lega, da quella prima visita del 20 febbraio 2021, è racchiuso nel regalo che il Papa le ha offerto e nelle parole con cui ha accompagnato il dono. Uno scialle di lana, poggiato sulle sue spalle dicendo: “Questo è per il caldo, perché ora fa freddo”. Edith Bruck, 90 anni, ungherese naturalizzata italiana, sopravvissuta agli orrori di sei lager, testimone preziosa del nostro tempo e scrittrice di fama internazionale, aveva tentato dall'inizio di trattenere le lacrime e invece ha ceduto davanti al dono del Papa e alla delicatezza con cui lui l’ha presentato. L’ha commossa la tenerezza di un uomo che non le ha mai nascosto la sua ammirazione e con il quale, come racconta spesso, ha instaurato un rapporto di amicizia fatto di lettere e telefonate.

I giovani e la memoria

Proprio la tenerezza si è resa evidente nell’abbraccio con cui Francesco ha accolto la donna a Casa Santa Marta, in questa giornata simbolica in cui si commemorano le vittime della Shoah. Circa un’ora è durato l’incontro alla presenza di Olga, l’assistente ucraina della scrittrice, e Andrea Monda, direttore de L’Osservatore Romano, che ne riferisce i dettagli. Tanti i discorsi, gli aneddoti, i ricordi rievocati, ma soprattutto centrale è stato il tema della memoria e l’importanza di tramandarla a questa nuova generazione di giovani, digiuna dalla storia e tormentata dai fantasmi di razzismo e antisemitismo che sembrano riemergere anche dal web. "Entrambi hanno sottolineato il valore inestimabile della trasmissione ai più giovani della memoria del passato, anche nei suoi aspetti più dolorosi, per non ricadere nelle stesse tragedie", riferisce la Sala Stampa vaticana. “Gli uomini non hanno imparato dai loro misfatti. Non hanno imparato da Auschwitz, come dal Vietnam”, ha detto infatti Bruck in un’intervista concessa ieri a Vatican News.

La scrittrice, finalista del Premio Strega, ha raccontato a Francesco tutto quello che sta facendo. Non solo la partecipazione ad eventi importanti, le centinaia di interviste rilasciate in questi ultimi giorni per la Giornata di oggi, ma soprattutto i suoi ‘pellegrinaggi’ nelle scuole di Roma per parlare con i ragazzi e raccontare quello che ha visto, che ha perduto, che ha scoperto. Un lavoro fondamentale per la società ma anche per lei stessa. “Mi fa bene”, ha detto al Papa Edith Bruck. E Francesco infatti ha risposto con simpatia di aver notato che il lavoro ringiovanisce. A rincuorare la superstite è soprattutto vedere “l’effetto straordinario” che le sue parole hanno sui giovani. “Vorrei dire ai genitori che i loro figli sono meglio di quello che immaginano”, ha detto Bruck, come riportato da Monda. Il Papa ha quindi ribadito, come tante volte nei suoi discorsi ai più giovani, che è fondamentale che si ristabilisca una comunicazione reale tra genitori, nonni, nipoti, tra anziani e nuove generazioni.

Papa Francesco e Edith Bruck a Santa Marta

Il dono del "pane ritrovato"

La conversazione è proseguita a lungo. Si è interrotta al momento dei doni, assalita dalla forte commozione di regalare al Papa un pane intrecciato, cotto in casa. È quel “pane perduto”, titolo del suo famoso romanzo, che cuoceva la mamma poco prima che venisse prelevata dai nazisti, che oggi al Papa è stato presentato come “il pane ritrovato”. Il simbolo, probabilmente, di una serenità recuperata nonostante sia vivido il ricordo del male vissuto. I presenti ne hanno assaggiato ognuno un pezzetto.

Francesco alla sua amica ha regalato, oltre allo scialle, una medaglia realizzata per lui a Gerusalemme, cosa che ha molto colpito Bruck. La quale ha lasciato al Pontefice anche due libri: “Lettere a mia madre”, nella nuova riedizione della Nave di Teseo, e un libro di poesie di Miklós Radnóti, il poeta ungherese “la cui brillante carriera – come disse lo stesso Francesco a Budapest - fu spezzata dall’odio accecato di chi, solo perché era di origini ebraiche, prima gli impedì di insegnare e poi lo sottrasse alla famiglia”. Le poesie sono state tradotte e curate dalla stessa Bruck.

Francesco sfoglia il libro portato in dono da Edith Bruck

Un abbraccio e la preghiera per l'Ucraina

Ancora un abbraccio ha segnato l’incontro, oltre alle lacrime della donna e ai complimenti del Pontefice per la sua intelligenza e lucidità. Non è mancato anche un breve scambio di parole con l’assistente, proveniente dall’Ucraina, che ha chiesto al Papa preghiere per la sua terra. E Francesco ha assicurato di star pregando.

Il primo incontro nel 2021

Papa Francesco aveva incontrato per la prima volta Edith Bruck lo scorso anno. Le aveva fatto visita nel suo appartamento nel centro di Roma, dopo aver letto su L'Osservatore Romano una toccante intervista in cui la donna raccontava la profondità dell'abisso che lei e la sua famiglia hanno sperimentato nel tempo della persecuzione nazista. “Sono venuto qui da lei per ringraziarla della sua testimonianza e rendere omaggio al popolo martire della pazzia del populismo nazista e con sincerità le ripeto le parole che ho pronunciato dal cuore allo Yad Vashem e che ripeto davanti ad ogni persona che come lei ha sofferto tanto a causa di questo: perdono Signore a nome dell’umanità”, aveva detto Papa Francesco in quell'occasione. Parole che il Pontefice non ha mai smesso di ripetere dinanzi a quella che, proprio ieri, al termine dell'udienza generale, ha definito una "pagina nera" della storia dell'uomo segnata da una "indicibile crudeltà".
(fonte: Vatican News, articolo di Salvatore Cernuzio 27/01/2022)

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Vedi anche il post precedente:



LA CHIESA E IL SINODO - SCELTE CORAGGIOSE E PROFEZIA Intervista a Padre Gianni Notari


LA CHIESA E IL SINODO 
SCELTE CORAGGIOSE E PROFEZIA 
Intervista a Padre Gianni Notari,
Gesuita e direttore dell’Istituto di Formazione Politica “Pedro Arrupe”

a cura di Marco La Grassa


Di rinnovamento della chiesa se ne parla dal concilio vaticano II. Si sono scritti in tal senso numerosi documenti ufficiali nella chiesa, e celebrati numerosi convegni, che sono rimasti, quasi sempre, lettera morta. Papa Francesco ha scritto diversi documenti che spingono ad un forte rinnovamento. In particolare: Evangelii gaudium, Laudato si, Fratelli tutti. Cosa c’è di nuovo nel sinodo indetto da Papa Francesco?

La Chiesa cattolica in Italia vive un nuovo tempo: è chiamata a fare scelte coraggiose, profetiche, per un annuncio più snello, cioè libero, evangelico e umile, come chiesto ripetutamente da Papa Francesco. La strada da percorrere è lunga. Ci aspettano 5 anni di ricerca che hanno come filo conduttore l’annuncio del Vangelo in un tempo di rinascita, nel solco delle indicazioni emerse dal Convegno ecclesiale di Firenze del 2015.Gli animatori di questo processo sono tutti i membri del popolo di Dio che scelgono di fare “sinodo”, di “camminare insieme” nella linea di costruzione di un “noi”. In questo cammino sinodale tutti sono protagonisti, nessuno può essere considerato semplice comparsa. Tutti siamo coinvolti perché tutti siamo battezzati, comune è la responsabilità dell’annuncio evangelico, pur con modalità differenziate a secondo della vocazione di ciascuno. Assumendo la prospettiva ecclesiologica del Concilio Vaticano II e in conformità all’insegnamento della Lumen Gentium, Papa Francesco ha affermato che il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Comunità ecclesiale del terzo millennio. Nella Evangelium Gaudium si sostiene che il cammino della sinodalità rappresenta un
presupposto indispensabile per infondere alla Chiesa un rinnovato slancio missionario: tutti i membri della Chiesa sono soggetti attivi di evangelizzazione.


Come comunità cristiana, nonostante che tutti i documenti predetti abbiano rivalutato la categoria del popolo di Dio, abbiamo praticato con profitto solo le categorie della chiesa gerarchica, rimanendo per i laici un ruolo vagamente consultivo. La chiesa italiana, e direi anche tutta la chiesa cattolica, è matura per i nuovi cammini solidali proposti da Papa Francesco , in cui la novità principale consisterebbe nel dare finalmente più spazio e voce ai laici?

Per molti secoli la Chiesa è stata concepita come una piramide: ci si trovava divisi in due corpi distinti e separati: chi stava sopra e comandava, esercitando ogni funzione attiva, e chi stava sotto doveva solo obbedire ed eseguire. Dice il Papa: “La sinodalità ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso sistema gerarchico, tratteggiando l’immagine di una Chiesa che – come una piramide rovesciata, in cui il vertice si trova al di sotto della base – armonizza tutti i soggetti: Popolo di Dio, collegio episcopale, Successore di Pietro


Questo sinodo sarà vero, aperto, audace o sarà la solita passerella di idee che non porteranno a nulla di concreto? Un sinodo che dia veramente la parola al popolo dei battezzati e non ponga dei veti già prima di iniziare? Cosa ci aspettiamo da questo Sinodo per i giovani.

Lo stile del camminare insieme, se non vuole ridursi a un accattivante slogan di marketing istituzionale e finire per generare delusioni e frustrazioni, è chiamato ad animare le strutture e le pratiche ecclesiali, anche decisionali, in chiave autenticamente partecipativa, non per il gusto di stravolgere l’esistente, ma al servizio della missione. Il Sinodo del 2018 ha già profeticamente indicato come questo rappresenti un vero e proprio kairòs: anche grazie alle potenzialità dei nuovi media, i giovani hanno sviluppato una cultura che dà grande valore alla partecipazione e nutrono a questo riguardo precise aspettative. Anzi, una delle cause dell’allontanamento di molti di loro dalla Chiesa va probabilmente ricercata proprio nella frustrazione di queste attese. Il lavoro sulle pratiche e le strutture ecclesiali non è solo una questione organizzativa, ma implica l’identità e la missione.


Come può avvenire tutto questo senza creare nuove illusioni? 

La corresponsabilità dell’intero popolo di Dio alla missione della Chiesa richiede anche di avviare processi consultivi che rendano più partecipativa la presenza e la voce dei laici. Non si tratta di dare adito a una sorta di “parlamentarismo” laicale, dal momento che l’autorità del collegio episcopale non dipende da una delega espressa dai fedeli, quanto piuttosto si presenta come un preciso carisma – volto all’edificazione comune e alla custodia dell’unità – di cui lo Spirito ha dotato il corpo ecclesiale.


Il nostro vescovo Corrado, che sicuramente crede in questo cammino, nella lettera per l’avvio del cammino sinodale della chiesa palermitana pubblicata il 6/8/21 scriveva: “ questo è un tempo opportuno per fare apparire la vera natura della chiesa…, che non possiamo rima - nere arenati in una sterile nostalgia del passa - to o farci risucchiare dalle sabbie mobili della paura dell’inedito”. Percorsi tutti da scoprire e da discernere insieme e poi avere il coraggio di praticare. Ma la chiesa è disposta a rinnovarsi ? 

Ci attendono nuove sfide. Andando oltre le emergenze, ha detto il card. Bassetti, l’Italia deve  ricomporre le quattro fratture (sanitaria, sociale, educativa, delle nuove povertà) che l’hanno piegata, con una capillare opera di riconciliazione. Questa riconciliazione deve essere illuminata dal discernimento. Papa Francesco incalza: “Non siamo nella cristianità, non più. Oggi non siamo più gli unici che producono cultura, né i primi, né i più ascoltati. Abbiamo pertanto bisogno di un cambiamento di mentalità pastorale. Tutto ciò vuol dire “fare memoria di come lo Spirito ha guidato il cammino della Chiesa nella storia e ci chiama oggi a essere insieme testimoni dell’amore di Dio; vivere un processo ecclesiale partecipato e inclusivo, che offra a ciascuno – in particolare a quanti per diverse ragioni si trovano ai margini – l’opportunità di esprimersi e di essere ascoltati per contribuire alla costruzione del Popolo di Dio; riconoscere e apprezzare la ricchezza e varietà dei doni e dei carismi che lo Spirito elargisce in libertà, per il bene della comunità e in favore dell’intera famiglia umana; sperimentare modi partecipativi di esercitare la responsabilità nell’annuncio del Vangelo e nell’impegno per costruire un mondo più bello e più abitabile; esaminare come nella Chiesa vengono vissuti la responsabilità e il potere, e le strutture con cui sono gestiti, facendo emergere e provando a convertire pregiudizi e prassi distorte che non sono radicati nel Vangelo; accreditare la comunità cristiana come soggetto credibile e partner affidabile in percorsi di dialogo sociale, guarigione, inclusione e partecipazione, ricostruzione della democrazia, promozione della fraternità e dell’amicizia sociale; rigenerare le relazioni tra i membri delle comunità cristiane come pure tra le comunità e gli altri gruppi sociali, ad esempio comunità di credenti di altre confessioni e religioni, organizzazioni della società civile, movimenti popolari; favorire la valorizzazione e l’appropriazione dei frutti delle recenti esperienze sinodali a livello universale, regionale, nazionale e locale”. 

L’attuale pandemia può essere uno sprone ad aprire nuove strade ed a superare i tanti fallimenti che la Chiesa ha sperimentato negli ultimi decenni? Il clericalismo è una vera perversione nella Chiesa, come dice Papa Francesco? 

Il documento preparatorio alla XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sottolinea la necessità di avere un approccio olistico alla complessità del reale e di fare memoria dei fallimenti vissuti per la ricerca di strade nuove: “La pandemia pur tra grandi differenze, accomuna l’intera famiglia umana, sfida la capacità della Chiesa di accompagnare le persone e le comunità a rileggere esperienze di lutto e sofferenza, che hanno smascherato molte false sicurezze, e a coltivare la speranza e la fede nella bontà del Creatore e della sua creazione. Non possiamo però nasconderci che la Chiesa stessa deve affrontare la mancanza di fede e la corruzione anche al suo interno. In particolare non possiamo dimenticare la sofferenza vissuta da minori e persone vulnerabili: per troppo tempo quello delle vittime è stato un grido che la Chiesa non ha saputo ascoltare a sufficienza. Si tratta di ferite profonde, che difficilmente si rimarginano, per le quali non si chiederà mai abbastanza perdono e che costituiscono ostacoli, talvolta imponenti, a procedere nella direzione del camminare insieme. La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso. Insieme chiediamo al Signore la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio”.

(Fonte: Poliedro - Dicembre 2021)