venerdì 5 novembre 2021

"La giustizia e la bellezza di Dio" Mons. Bruno Forte - Lettera pastorale per l'anno 2021-2022 per la Diocesi

"La giustizia e la bellezza di Dio"
Mons. Bruno Forte 

Lettera pastorale per l'anno 2021-2022 
per l'Arcidiocesi di Chieti -Vasto



Con la riflessione sulla giustizia si conclude l’itinerario che ho proposto con le lettere pastorali degli ultimi anni, dedicate alle virtù cardinali. Queste virtù – prudenza, giustizia, fortezza e temperanza – costituiscono le attitudini spirituali che ci aiutano ad accogliere la grazia del Signore e ad agire in obbedienza alla Sua volontà. In particolare, come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, la giustizia è «la virtù che consiste nella costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto. La giustizia verso Dio è chiamata “virtù di religione”. La giustizia verso gli uomini dispone a rispettare i diritti di ciascuno e a stabilire nelle relazioni umane l’armonia che promuove l’equità nei confronti delle persone e del bene comune. L’uomo giusto, di cui spesso si fa parola nei Libri Sacri, si distingue per l’abituale dirittura dei propri pensieri e per la rettitudine della propria condotta verso il prossimo» (n. 1807).

Quando Gesù afferma che nel giudizio finale «i giusti splenderanno come il sole» (Mt 13,43), ci fu capire come la giustizia rifletta la luce e la bellezza di Dio, perché ci aiuta a rapportarci a Lui e al prossimo nel modo che meglio corrisponde allo splendore della verità e alla forza contagiosa del bene. Essa chiede di dare a ciascuno il suo (“unicuique suum”, fra i principali precetti ispiratori del diritto romano) e di vivere le relazioni fondamentali dell’esistenza – quella al Signore e quella ai nostri compagni in umanità – in maniera da non fare preferenze o discriminazioni verso nessuno e da trattare tutti nel rispetto della loro dignità e dei loro diritti. «Non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia», afferma il libro del Levitico (19,15). E l’Apostolo Paolo, richiamando il riferimento supremo al Signore, esemplifica: «Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo» (Col 4,1).

1. Perché la giustizia? Le ragioni che rendono particolarmente attuale la riflessione sulla giustizia sono diverse: la prima riguarda l’essere giusti verso il Signore ed è fondata sull’esigenza di rivolgerci con fiducia e adorazione a Dio, urgenza che si è accresciuta e approfondita in tanti proprio a motivo delle prove prodotte dalla pandemia che ha colpito la famiglia umana Alla giustizia verso Dio, fondamento di quella verso gli altri, esorta Papa Francesco con queste parole: «Invito quanti sono chiamati a operare per la causa della giustizia – eminente virtù cardinale – a non temere di perdere tempo dedicandone in abbondanza alla preghiera. Nella preghiera, e solo in essa, noi attingiamo da Dio, dalla sua Parola, quella serenità interiore che ci permette di adempiere i nostri doveri con magnanimità, equità, lungimiranza. Il linguaggio della pittura e della scultura spesso rappresenta la giustizia intenta con una mano a soppesare con la bilancia interessi o situazioni contrapposti, e pronta, con l’altra mano, a difendere i diritti con la spada. L’iconografia cristiana aggiunge alla tradizione artistica precedente un particolare di non poco conto: gli occhi della Giustizia non sono bendati, bensì rivolti verso l’alto, e guardano il Cielo, perché solo nel Cielo esiste la vera giustizia» (Discorso del 27 marzo 2021 per l’apertura dell’Anno Giudiziario in Vaticano). 
L’impegno per la giustizia, dunque, nasce anzitutto da un intenso rapporto con il Signore.

Anche guardando alle situazioni storiche che ci circondano, però, il bisogno di giustizia ci appare urgente: innumerevoli sono nel mondo le violazioni dei diritti umani; amara è la constatazione – fatta già da Paolo VI nella Populorum Progressio (26 marzo 1967) – che «i poveri restano sempre poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi» (n. 57). Come ha detto ancora Papa Francesco, <<la pandemia sta aggravando le disuguaglianze già presenti nelle nostre società… Oggi, forse più che mai, il nostro mondo sempre più globalizzato richiede urgentemente un dialogo e una collaborazione sinceri e rispettosi, capaci di unirci nell’affrontare le gravi minacce che incombono sul nostro pianeta e ipotecano il futuro delle giovani generazioni» (Discorso agli Ambasciatori di recente nomina presso la Santa Sede, 4 dicembre 2020). Anche da questa costatazione è ispirata l’Enciclica Fratelli tutti (3 ottobre 2020), tesa a «far rinascere tra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità». Un mondo senza giustizia – quale troppo spesso è il villaggio globale in cui ci troviamo – è un mondo senza fraternità e senza bellezza, che nega Dio nei fatti e calpesta la dignità di gran parte degli esseri umani.

2. La giustizia verso il Signore. 
L’esigenza di vivere una relazione giusta con Dio nasce nel credente dalla consapevolezza che all’amore infinito del Signore si deve corrispondere con amore umile e fiducioso. Dio è Amore (cf. 1 Gv 4,8.16) e si diventa capaci di amare e di crescere nell’amore quando ci si scopre amati da Lui, avvolti e condotti dal Suo amore infinito verso un futuro, che siamo chiamati a costruire con Lui. Alla scuola di quanto è avvenuto sulla Croce e nella Resurrezione del Signore, lo sguardo della fede scruta nelle profondità dell’unico e adorabile mistero divino l’eterna sorgente dell’Amore nella persona del Padre, la pura accoglienza dell’Amore nella persona del Figlio, eterno Amato che ci insegna come divino sia non soltanto il dare, ma anche il ricevere, e la comunione e la fecondità dell’ Amore nella persona dello Spirito, che unisce l’Uno e l’Altro nel vincolo dell’Amore eterno, li apre al dono di sé nella creazione e nella storia della salvezza, e viene in noi a liberare l’amore, a renderlo sempre nuovo, generoso e irradiante. Amata così dal Dio vivente, la creatura umana può divenire capace di amare, obbedendo al comandamento di Gesù: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). La risposta della fede alla Grazia divina, vissuta nella preghiera, nell’accoglienza del dono che viene dall’alto nella liturgia e nell’esercizio della carità, ci aiuta a relazionarci all’Eterno secondo giustizia, lasciandoci amare da Lui, accogliendo il Suo dono e dandone testimonianza nelle parole e nelle opere. 
Chiediamoci allora: 
Amo Dio con tutto me stesso? Accolgo con umiltà e gratitudine i Suoi doni? Testimonio con la vita l’urgenza di celebrare in tutto il primato di Dio, tutto ricevendo da Lui con fede e offrendogli tutto di me con amore?

3. l.a giustizia verso noi stessi. 
Essere giusti verso noi stessi vuol dire non abdicare mai alla nostra dignità di persone, create a immagine e somiglianza di Dio. L’elaborazione dell’idea di “persona” fu un frutto prezioso dei dibattiti cristologici dei primi secoli cristiani: con l’incarnazione la Persona divina del Figlio ha assunto la natura umana, sì che Gesù è l’alleanza in persona, vero Figlio unigenito del Padre e vero uomo. In questa luce, la persona è intesa come il soggetto libero e consapevole delle proprie azioni, che gestisce se stesso come sorgente delle proprie scelte e del suo rapporto agli altri. Si fonda qui il valore assolutamente unico e irripetibile di ogni persona, la ragione della resistenza da opporre ad ogni massificazione: «La persona – scrive Emmanuel Mounier – non è un oggetto: essa anzi è proprio ciò che in ogni uomo non può essere trattato come un oggetto» (Il personalismo, Ave, Roma 1964). Singolare nella sua originalità irripetibile, la persona è però tutt’altro che chiusura gelosa o separatezza altera: essa, anzi, tanto più realizza sé stessa quanto più sa donarsi agli altri e sa accoglierli. Praticare la giustizia nei confronti di sé stessa vuol dire per la persona non rinunciare mai alla consapevolezza e alla libertà dei suoi atti ed affermare la propria dignità in ogni sua espressione, cominciando dal rispetto dovuto al suo corpo, che è la linea di frontiera fra interiorità ed esteriorità, attraverso cui passa ogni sua relazione con il mondo e con gli altri. L’essere giusti verso sé stessi fonda la responsabilità e la giustizia nei confronti degli altri, perché riconoscere la propria dignità personale implica riconoscerla nella persona di ogni altro. 
Chiediamoci allora: 
Sono giusto verso me stesso? Mi voglio bene come il Signore desidera da me, corrispondendo a quello che Lui vuole per me? Rispetto la mia dignità di persona, come quella di ogni altro?


4. La giustizia nei riguardi di ogni persona. 
Sul piano delle relazioni affermare la giustizia vuol dire costruire rapporti autentici, impegnandosi a creare le condizioni per superare le diverse possibili forme di ingiustizia. Tra queste, una prima, grave ingiustizia riguarda i giovani: fra di loro molti che hanno raggiunto l’età dell’accesso all’occupazione sono senza lavoro e – quel che è peggio – sono indotti a pensare che siano stati inutili i sacrifici fatti per studiare e formarsi a un domani, in cui contribuire col proprio impegno alla realizzazione di sé, dei propri cari e dell’intera comunità. Togliere la speranza ai nostri ragazzi, spingendoli talora ad abbandonarsi a forme pericolose di evasione, è una clamorosa negazione della giustizia, che una sana democrazia dovrebbe garantire. Un’altra diffusa forma di ingiustizia riguarda le donne: non di rado esse subiscono violenze verbali o fisiche, e la loro reazione – espressione del diritto a difendere la loro dignità – è valutata in maniera erronea e non come un atto di giustizia verso se stesse. Parimenti ingiusto è il diverso trattamento che viene spesso loro riservato nel mondo del lavoro: non solo ci sono frequenti discriminazioni in questo campo, ma è soprattutto iniquo che non di rado sia offerta loro una retribuzione inferiore a quella degli uomini che lavorano con analoghi compiti e responsabilità. Se poi si aggiunge a questa la situazione dei tanti che in età matura hanno perso il lavoro – specialmente in questo tempo segnato dalla gravissima prova della pandemia – e non riescono a garantire a sé e ai propri cari le condizioni necessarie a una vita serena, si comprende quanto la sperequazione sul piano lavorativo sia una inaccettabile ingiustizia: a fronte di chi non lavora contro la sua volontà e le sue attitudini, ci sono situazioni di privilegio e favoritismi legati al potere, se non talvolta alla corruzione, che offendono la coscienza morale e la promozione responsabile del bene comune da parte di tutti. Il lavoro è un diritto e, dove esso viene fatto passare come un favore, è lesa gravemente la giustizia: e questo vale in particolare per le persone fragili e vulnerabili. Da ciò consegue spesso che le relazioni interpersonali di chi non si sente realizzato in ambito lavorativo siano appesantite dall’amarezza e sfocino in tensioni dolorose, anche all’interno delle famiglie. Il bisogno di giustizia si collega qui al dovere che una democrazia matura ha di provvedere al benessere dei cittadini e alla piena espressione delle potenzialità di ciascuno. 
Ci chiediamo allora: 
come viviamo la giustizia nei nostri rapporti interpersonali? Come influisce il contesto sociale sulla serenità o meno dei nostri rapporti? Quanto le delusioni che spesso la politica ci fa sperimentare sono avvertite come ferite alla giustizia che vorremmo sperimentare a tutti i livelli, e specialmente nelle nostre relazioni con gli altri? Quali reazioni tutto questo produce in noi e nei nostri compagni di strada?


5. La giustizia nella società
La sperequazione lavorativa si associa spesso nella nostra vita sociale a quella retributiva: a fronte di persone che non riescono ad arrivare a fine mese con quanto guadagnano, ce ne sono altre che godono di guadagni spropositati o di pensioni d’oro, tanto più inaccettabili quanto più riguardano protagonisti della vita politica, che avrebbero dovuto fare dell’equità il loro programma di vita. Un mondo in cui c’è chi guadagna in un anno o meno quanto la stragrande maggioranza dei lavoratori non riuscirà a guadagnare per tutta la vita, è malato: in esso si alimenterà inevitabilmente una situazione di disagio diffuso e di disgregazione, fino a che non si troveranno vie per far crescere la giusta distribuzione dei beni fra tutti i cittadini. Anche in questo campo il principio da scardinare è quello del privilegio e il coraggio del legislatore non deve fermarsi di fronte ad alcuna pretesa di diritto acquisito, tanto più se essa viene sollevata a difesa di posizioni che avallano sperequazioni insopportabili. Soprattutto nell’ambito degli stipendi pubblici occorre che siano fissati tetti massimi di guadagno che garantiscano l’equità: se l’esempio comincerà ad essere dato nel pubblico, è possibile che esso si estenda al mondo del privato. L’urgenza di attuare condizioni di equità diffusa nella distribuzione dei guadagni deve costituire un pungolo cui corrisponda l’azione dei politici, al fine di conformare al primato del bene comune e alla giustizia per tutti gli stili di vita e le scelte operative di chi più ha. Ogni forma di sfruttamento in ambito lavorativo, poi, va denunciata come ingiustizia che offende la dignità della persona umana. Un’attenzione va data anche alla giustizia penale, ossia all’atteggiamento di giustizia da tenere nei confronti di chi ha sbagliato o di chi commette crimini: fino a quale punto la giustizia implica la punizione e a quali condizioni può e deve trasfigurarsi nella dimensione del perdono? In ogni caso, la pena non potrà mai essere fine a sé stessa, ma dovrà tendere alla reintegrazione piena della persona nella vita civile. Una progettualità sociale veramente solidale deve inoltre esprimersi in una riforma organica della giustizia: una giustizia lenta e con meccanismi farraginosi risulta lesiva della dignità della persona, perché la priva di diritti e di garanzie civili irrinunciabili in un’autentica democrazia. 
Ci chiediamo pertanto: 
Riconosco l’ingiustizia che esiste nella differenza a volte scandalosa fra guadagni e stili di vita, che c’è nella nostra società? Mi impegno a stimolare tutti al suo superamento, anche attraverso le scelte del mio stile di vita e il mio personale contributo alla causa di una più grande equità e giustizia per tutti in campo sociale e politico? Mi impegno nel sostenere ogni lotta allo sfruttamento di chi lavora? Vigilo e sostengo ogni impegno a favore di una giustizia che sia veramente tale nei tempi e nelle modalità del suo esercizio?


6. Giustizia, ambiente e mondialità. 
Infine, non è difficile rilevare la diffusa ingiustizia che esiste nel villaggio globale: chi ha la fortuna di nascere o vivere e produrre in alcune aree geografiche del mondo, ha accesso a possibilità e vantaggi del tutto impensabili in altre zone. Il divario si è acuito con gli effetti prodotti dalla pandemia sull’economia di molte aree e Paesi. In non pochi casi l’impatto che la crisi ha avuto sulle reti produttive e commerciali più prossime ai cittadini e al territorio è stato drammatico. Non basterà, perciò, distribuire aiuti a pioggia, se non si attiveranno processi virtuosi di produzione e di consumo. Occorre, poi, che cresca in tutti la coscienza del dovere di giustizia da esercitare rispettando l’ambiente, tutelandone la salubrità e difendendolo da sfruttamento e manipolazioni irreversibili. Raggiungere forme di sviluppo sostenibile esige la cooperazione e l’impegno di tutti, anche attraverso una vigilanza responsabile sui consumi. Ovviamente, il generale bisogno di giustizia non potrà essere soddisfatto ai vari livelli senza il protagonismo di uomini e donne che si sforzino di essere giusti nelle loro scelte e nei comportamenti pubblici e privati. L’auspicio di un mondo più giusto risulta inseparabile da quello di avere cittadini più motivati e impegnati nella promozione di una società equa e solidale, in particolare se si tratta di protagonisti della vita politica o dell’economia. Senza una diffusa tensione morale, senza un profondo amore per la giustizia radicato nei cuori, il superamento delle ingiustizie resterà lettera morta. Per chi crede è riconoscibile l’importanza di attingere nell’impegno per la giustizia a una forte motivazione spirituale, fondata nel giudizio e nell’amore del Dio vivente. L’auspicio per il tempo che verrà dopo la pandemia si fa qui preghiera, affinché possano sempre più realizzarsi per ciascuno e per tutti le parole della Scrittura: «Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85,11). 
Ci chiediamo: 
Nella mia sete di giustizia ho presenti le sfide decisive, connesse ai rapporti del “villaggio globale”? Prego e opero per un mondo più giusto, dove la pace sia non solo assenza di conflitti, ma equità e giustizia per tutti, singoli e popoli?

7. Chiediamo a Dio il dono della giustizia. 
Per imparare a essere giusti guardiamo a «Gesù Cristo giusto. Egli è vittima di espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (1 Gv 2,1). Gesù ci insegna a essere giusti pagando di persona. Seguire Lui richiede l’impegno fattivo a imitarlo: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). Tanti Santi nella storia seguendo Gesù sono stati operatori di giustizia, come il nostro San Giustino che nel IV secolo da buon pastore riconciliò nella giustizia e nella pace la città di Chieti, divisa a quel tempo dall’eresia di Ario che negava la divinità di Cristo, o in epoca moderna il nostro San Camillo, che si adoperò per praticare la giustizia soprattutto verso i deboli e gli infermi, e ancora il nostro San Francesco Caracciolo, che si spese senza riserve per i poveri del suo tempo, attingendo luce e forza dalla prolungata adorazione eucaristica. Chiediamo a Dio di essere operatori di giustizia e di pace nel modo il più possibile simile a quello in cui lo è stato Gesù e lo sono stati i Santi. Confidiamo sull’intercessione e l’aiuto della Vergine Madre, alla quale con fiducia ci rivolgiamo: 

«Maria, umile serva del Signore, che in ascolto obbediente della Sua volontà sei divenuta luogo dell’avvento del Figlio eterno fra noi, grandi cose ha fatto in Te l’Onnipotente: ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili, ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Strumento docile della Sua giustizia, Tu hai collaborato ad essa con la Tua fede e il Tuo amore operoso. Santuario del Dio vivente, aiutaci a essere tempio vivo della gloria del Padre, imitatori del Cristo nella grazia dello Spirito, operatori di giustizia e di pace in tutte le espressioni del nostro impegno d’amore e di servizio a Dio e al prossimo. Amen»

+ Bruno Forte Arcivescovo di Chieti-Vasto