venerdì 3 settembre 2021

DON SACCO (PAX CHRISTI): "LE NOSTRE COLPE IN AFGHANISTAN"

(la foto è stata scattata in Afghanistan nel 2011 da don Renato Sacco)

DON SACCO (PAX CHRISTI): 
"LE NOSTRE COLPE IN AFGHANISTAN"

La denuncia del coordinatore di Pax Christi Italia, il movimento che sabato 4 aprirà il congresso nazionale ad Assisi : "la guerra non è mai una soluzione di un problema ma, semmai, la creazione di altri, come afferma giustamente Papa Francesco, e l'epilogo a Kabul lo sta a dimostrare drammaticamente ancora una volta".

don Renato Sacco
“Se ci fosse ancora bisogno di una conferma per dimostrare che la guerra non è mai una soluzione di un problema ma, semmai, la creazione di altri, come afferma giustamente Papa Francesco, la vicenda afghana col suo tragico epilogo sta là a dircelo: è il fallimento totale. E l’Afghanistan è come l’Irak. Là con l’Isis, qua con i talebani. E’ stata fatta la stessa scelta. E’ stata usata la stessa logica di chi esporta la guerra e il risultato è il medesimo”.

La denuncia è di don Renato Sacco, coordinatore nazionale di Pax Christi, che ben conosce la realtà dell’Afghanistan e che visitò nel 2011 con una delegazione promossa dalla Tavola della Pace. Da tempo il sacerdote, anche dalle nostre testate, invita a riflettere sui disastri causati dalla guerra scatenata dagli Usa 20 anni fa. Scriveva su FC nel 2011: “A cosa è servito scatenare una simile guerra? E ora, cosa dobbiamo fare? Sono domande fondamentali non solo per noi qui a Kabul, ma per ogni persona che si interroga sul senso di scelte che segnano la vita di tante, troppe persone. La guerra e il terrorismo distruggono, sempre. Lo abbiamo visto con le Torri gemelle, lo vediamo a Kabul, ma è sotto gli occhi di tutti anche la situazione dell’ Irak, della Palestina e di Israele, della Libia”. E oggi ribadisce quel giudizio.

Lei ha affermato pochi giorni fa che “noi occidentali dobbiamo fare un serio esame di coscienza sulla situazione afghana”. L’ha colpita l’ipocrisia di certi commenti. Ci spieghi.

“Mi preoccupa e mi indigna sentire oggi politici e commentatori che ieri sostenevano a tutti i costi la guerra, e che oggi pontificano e fanno i maestri in tv. Almeno abbiano la decenza di tacere di fronte alla tragedia afghana. Solo l’Italia ha investito otto miliardi e mezzo di euro in Afghanistan, cioè due milioni al giorno. Con questi soldi l’Afghanistan avrebbe dovuto diventare la Svizzera del Medio Oriente”.

E invece?

“Ho visto coi miei occhi la mancanza di ospedali (il migliore a Kabul era quello di Emergency di Gino Strada), l’assenza di ambulatori e di scuole, le fogne a cielo aperto, il problema enorme del rifornimento idrico. L’investimento nella guerra ha distrutto l’economia, non l’ha fatta decollare. E, intanto, ha voluto creare i talebani, che sono stati armati in funzione antirussa e anticomunista e li ha stimolati nel loro integralismo religioso”.

Nel frattempo chi ci ha guadagnato?

Solo chi faceva affari con le armi e l’economia di guerra. Basti pensare solo al business dell’acqua potabile per i militari. Mi sovviene il “Finché c’è guerra c’è speranza”, come diceva Alberto Sordi, nel film omonimo del 1974. Vent’anni dopo i risultati li vediamo adesso e sono disastrosi per quella gente”.

Gli americani se ne sono andati, ma ora si usano i droni per colpire gli obiettivi strategici, dicono i militari…

“Riflettevo: si bombarda da cinquemila metri. Un pilota che colpisce da quell’altezza non vede il volto della persona che vuole bombardare, punta al suo obiettivo. Il drone viene comandato addirittura da tantissimi chilometri di distanza. E’ solo tecnologia. Un crudele gioco tecnologico fatto da adulti. Ma ci scandalizziamo, giustamente beninteso, se i talebani vogliono che le donne si coprano il volto. Ma in fondo è la stessa paura: quella di vedere in faccia una persona, che è poi la grande novità del cristianesimo: cercare il volto e il nome dell’uomo. Quest’assenza di volti ti mette a posto la coscienza, perché non vedi il terrore negli occhi, non vedi l’orgoglio di queste donne afghane”.

A proposito delle donne afghane, molto s’è detto in questi giorni sul rischio che l’abbandono degli Usa e l’occupazione talebana possano portare alla perdita delle conquiste sociali ottenute in questi anni. Cosa ne pensa?

E’ vero. Il rischio è fortissimo. Ma la mia esperienza mi fa dire qualcos’altro. Come piccola parrocchia di Cesara (diocesi di Novara), tramite associazioni locali, da anni stiamo aiutando una cooperativa di donne afghane che coltivano lo zafferano, che è tra i migliori del mondo. Ebbene nel 2011, quando andai in Afghanistan, potei costatare che queste donne non venivano per nulla supportate in questa attività che significavano riscatto, autonomia. Siamo solo riusciti a far aumentare la produzione di oppio in questi anni. Perché non abbiamo aiutato queste donne quando eravamo presenti? E adesso che ne sarà di loro? Abbiamo consentito ai talebani che ciò accadesse. In tanti anni non abbiamo capito come funziona questo Paese, e non abbiamo lavorato davvero per farlo crescere. Se avessimo “bombardato” non con le bombe, ma coi quaderni o col pane, non avremmo dato ai talebani la possibilità di farsi i paladini degli interessi del loro Paese. Adesso non so davvero cosa si potrà fare. Li abbiamo abbandonati al loro destino e ai loro sogni”.

Gli afghani, tra l’altro, è da un po’ che scappano e sono ben presenti nella Rotta balcanica…

Esatto. E ricordiamoci come li stiamo “accogliendo” in Europa, dalla Croazia, alla Bosnia, dall’Ungheria alla Polonia, con i manganelli della polizia che li respinge, spacca loro i piedi, li percuote. Se dobbiamo dare un segno di umanità dobbiamo darlo subito. ‘Cosa ti è successo Europa?’ denunciava Papa Francesco. Ora ne arrivano cinquemila nel nostro Paese? Neanche uno per Comune italiano, che problema possono creare?”.

Un ricordo particolare del suo viaggio in Afghanistan?

“Lo stupore di una bambina che vendeva cicche all’angolo di una strada, che vedendomi in abiti civili, non riusciva a darsi ragione della mia presenza e col ditino mi chiedeva “you bodyguard?”. Non aveva nemmeno la possibilità di immaginare che in quel luogo potesse esservi un occidentale non militare per strada”.

Il caso Afghanistan rischia di far dimenticare altri Paesi dove i diritti fondamentali sono minacciati. E’ così?

Già. Perché non ci scandalizziamo allo stesso modo del trattamento disumano di donne, giornalisti e oppositori ai regimi in Arabia Saudita o negli Emirati Arabi? In Qatar ci andremo a fare i mondiali di calcio. Vogliamo parlare della Turchia? O dell’Egitto? Ci vogliamo dimenticare di quanto è stato fatto a Giulio Regeni e di quanto stanno facendo a Patrik Zaki? La differnza è che l’Egitto è partner economico e gli stiamo vendendo arsenali, dalle navi ai sommergibili”.

Tra pochi giorni ci sarà il congresso di Pax Christi italiana. Di cosa parlerete?

Ci riuniremo alla Pro Civitate Christiana di Assisi, il 4 e 5 settembre. Il titolo è “Abbi cura delle relazioni. Preparerai la pace”, prendendo spunto dal messaggio del Papa per la giornata della pace dello scorso Primo gennaio. Credo che avremo bisogno, proprio parlando di Afghanistan, prima che di strategie, tattiche e calcoli politici, di riprendere il valore della cura intesa come avere attenzione dell’altro che ci deve disarmare nella politica, nella società, nella cultura e nell’ambiente. Proprio la guerra, oltre che fare vittime umane, è fonte di inquinamento e distruzione della nostra terra”.


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