lunedì 27 settembre 2021

«Catene di libertà - Per due anni rapito nel Sahel» Padre Gigi Maccalli «I miei piedi erano in catene, il cuore no»

«Catene di libertà - Per due anni rapito nel Sahel» 
Padre Gigi Maccalli 
«I miei piedi erano in catene, il cuore no»

Il rapimento, il deserto, l’isolamento. Padre Pier Luigi Maccalli è stato per 752 giorni (rapito nella notte tra il 17 e il 18 settembre 2018 in Niger e rilasciato l'8 ottobre 2020 in Mali)  prigioniero dei terroristi nell’estremo Nord del Mali, parla soprattutto di fede, preghiera, umanità e di relazioni perché, come ha detto ai suoi stessi sequestratori, «un giorno saremo tutti fratelli».


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Il rischio più grande, di fronte a storie eccezionali come quelle di padre Gigi Maccalli è quello di ridurre le persone in “personaggi” e i santi in “santini”.



Condensare anni di poche e frammentarie notizie, dal rapimento in Niger il 17 settembre 2018 da parte dei jihadisti del Sahel vicini ad Al Qaeda alla sua liberazione, due anni più tardi, in Mali l’8 ottobre 2020, in un ritrattino agiografico di poche righe, uguale a mille altri. Eppure, dietro la storia di padre Gigi Maccalli, classe 1961, originario della diocesi di Crema e missionario della Sma, Società Missioni Africane, c’è l’ennesima dimostrazione della forza rivoluzionaria del Vangelo, capace di elevare i deboli nel momento della loro maggiore vulnerabilità, di trasformare il dolore in grazia e di rendere persino naturale il dono della vita.

... «Ogni missionario ha la sua storia – racconta – la mia è nata quando, da giovane seminarista, ho incontrato dei missionari che hanno aperto in me la finestra su un desiderio: testimoniare il Vangelo in Africa».

“Missione: ascoltare con Dio il grido dell’umanità” è il titolo dell’assemblea missionaria della Diocesi di Padova di quest’anno: «Risuonano in me le parole del gesuita Francois Varillon: “Ciò che l’uomo umanizza Dio divinizza”. Per me la missione è ascoltare il grido dell’umanità sofferente, è umanizzazione, è compartecipazione. La missione non è fare miracoli, ma vivere davvero nel quotidiano la compassione di Gesù, facendosi prossimo di ogni persona che si incontra». Anche se le persone sono guerriglieri jihadisti con il kalashnikov in mano: «Ho chiamato le persone per nome, ho fasciato le ferite di un soldato, ho dato le medicine a chi stava male, ho persino insegnato un po’ di francese a uno che lo voleva imparare. Non siamo schiavi dello sguardo da nemico, ma ci possiamo guardare come persone».

In quei primi mesi, mentre il mondo non sapeva nemmeno se padre Gigi fosse ancora vivo, il Signore ha chiamato di nuovo. «Mi sono chiesto che missionario fossi quando mi hanno messo le catene. I miei piedi erano in catene, ma il cuore no. Il fondatore della Sma, mons. Marion de Bresillac, ci voleva “missionari dal profondo del cuore”. La patrona delle missioni, santa Teresina di Lisieux, voleva essere “nella Chiesa il cuore”. La missione nasce dal cuore, e con il cuore cammina. E allora mi sono detto: “Sarò preghiera per le periferie del mondo, per tutti i missionari per la pace”, ed è quello che ho fatto. Non avevo tabernacolo, non avevo breviario, non avevo una Bibbia, non ho potuto mangiare l’Eucarestia per 752 giorni, ma in ogni domenica, celebravo sull’altare del mio deserto la mia messa, e alla consacrazione mi fermavo sulle parole “questo è il mio corpo offerto, questo è il mio cuore spezzato, io non ho altro da offrirti Signore”. Lì capisci che non è soltanto un rito, è un’offerta della vita, è profonda comunione con il corpo di Cristo donato, offerto. Così ho offerto la mia vita, ero pronto ad andare fino in fondo. Ho detto: “Signore, questa è la mia vita che offro, vada come vada, continuo a essere tuo discepolo, tuo testimone».

Dopo il rapimento di padre Maccalli, in Niger la situazione è peggiorata: «I cristiani devono riunirsi nelle case con molta discrezione. Ma sono convinto che questo periodo di fatica e persecuzione porterà i suoi frutti, le comunità torneranno a fiorire. L’Africa sarà salvata non dalla violenza, ma nel dialogo e nell’incontro con i fratelli musulmani. Chi mi ha rapito era schiavo di video di propaganda e di una forma deviata del Corano: ho tanti amici musulmani che hanno ringraziato Dio per la mia liberazione. Questa sofferenza va trasformata in attenzione all’altro: siamo tutti cercatori di Dio e cerchiamo insieme di costruire la pace».

Il suo libro in uscita nei prossimi giorni ...


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Padre Gigi, la Chiesa la vergogna e l’orgoglio

di Beppe Severgnini

L’ammirazione per Padre Gigi Maccalli, prigioniero dei jihadisti in Africa per 752 giorni, tra il 2018 e il 2020. E che vergogna un parroco come quello di Prato, che usava i soldi delle offerte per pagarsi i festini di droga e sesso

Mi ha chiamato «compaesano», e mi ha fregato. Padre Gigi Maccalli, prigioniero dei jihadisti in Africa per 752 giorni, tra il 2018 e il 2020, è nato e cresciuto nel paese di mia mamma Carla: Madignano, sulla strada per Cremona. Mi ha scritto, in estate, e mi ha chiesto se potevo presentare il suo libro. A Crema e dintorni resto a distanza dai microfoni (un tentativo di rendermi meno insopportabile ai concittadini). Ma davanti a Pier Luigi Maccalli da Madignano non ho potuto, né voluto, dire no.

L’incontro pubblico è avvenuto ieri sera. «Catene di libertà - Per due anni rapito nel Sahel» (Emi) uscirà per il Salone del Libro di Torino: ne scriverà «La Lettura», Annachiara Sacchi intervisterà padre Gigi. L’ho letto in bozza, e mi ha colpito. Quella che state per leggere non è una recensione: solo una riflessione piena di ammirazione.

Quanto coraggio, quanta umiltà, quanta umanità nel racconto di un uomo che ha passato due anni sballottato nel deserto, sotto un albero, cambiando rifugio in continuazione, spesso incatenato, con le vipere come vicine e ragazzini armati come guardiani. Eppure, non una parola di odio verso i carcerieri. Padre Gigi è venuto a pranzo da noi, giorni fa: è uguale all’uomo del libro, e non succede spesso. È appassionato, concreto, autoironico (un tratto della bassa padana). Racconta la sofferenza «per la mancanza di relazioni, non di comodità», Racconta di Dio, «che pensiamo di conoscere troppo». Racconta dell’attesa, della preghiera, del sogno di lavarsi i capelli, dell’attività gastrointestinale («la vita interiore», la chiama). Tra gli uomini di fede, l’ho sentito fare solo al Dalai Lama e a papa Francesco.

Ascoltando padre Gigi sotto la magnolia cremasca, e leggendo il suo libro, ho pensato: che orgoglio, per i cristiani, un missionario così. E che vergogna un parroco come quello di Prato, che usava i soldi delle offerte per pagarsi i festini di droga e sesso. D’accordo: la Chiesa è fatta di essere umani. Ma chi la guida — i vescovi, per cominciare — non dovrebbe essere più attento? Anche a Crema abbiamo conosciuto sacerdoti che hanno fatto del male, purtroppo. Ma poi dall’Africa torna padre Gigi Maccalli. Il Dio del cielo, e i suoi compaesani in terra, possono essere orgogliosi di lui.

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Vedi anche la scheda del libro di Padre Maccalli:

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Per approfondire vedi anche il nostro post (all'interno i link a quelli precedenti)