mercoledì 16 giugno 2021

#L’ALBERO DEL RANCORE di Gianfranco Ravasi

#L’ALBERO DEL RANCORE 
di Gianfranco Ravasi



Se seghi un albero, getterà di nuovo, se ferisci una persona con una spada, la ferita guarirà dopo un po’, e se qualcuno ti conficca una freccia nel cuore, puoi estrarla, ma la ferita provocata da una parola non guarisce mai. Non si può annullare l’effetto di quella parola. L’albero del rancore che hai piantato getterà radici profonde nel terreno e i suoi rami arriveranno fino alla stella rossa.

Calila e Dimna è «uno dei sei o sette libri antichi persiani più importanti, la nostra prosa più bella»: così scrive Kader Abdolah, nato in Iran nel 1954, rifugiato in Olanda per ragioni politiche e da allora scrittore nella sua nuova lingua. Egli ha rielaborato quell’«antico gioiello» della sua terra d’origine (ma dalla genesi antica, indiana e araba). In un caleidoscopio di racconti, che s’intrecciano tra loro come nelle Mille e una notte, affiorano ininterrottamente moniti ed esortazioni morali, come quella da noi oggi proposta sull’efficacia perversa della parola. Chi non sa che una frase cattiva, emessa in pochi secondi su impulso dell’ira, può lasciare tracce che non si cancellano più e che striano di odio per anni anche le relazioni tra fratelli? L’«albero del rancore», lussureggiante nei suoi frutti avvelenati, nasce dal seme microscopico di una parola maligna: essa sembra morta appena detta, il suo suono subito si dissolve, ma la sua energia negativa comincia allora a fiorire dando origine a un male che non si estingue. Per questo dovremmo essere sorvegliati appena apriamo le labbra, come suggeriva a se stesso il Salmista: «Veglierò sulla mia condotta, per non peccare con la mia lingua, porrò un freno alla mia bocca» (39,2).

(Fonte: "Breviario" - Il Sole24Ore Domenica del 6 giugno 2021)