martedì 27 aprile 2021

"È il momento della vergogna" Ancora 130 persone 'lasciate morire' nel Mediterraneo nell’indifferenza generale del mondo. #BastaMortiInMare

"È il momento della vergogna" 
Ancora 130 persone 'lasciate morire' nel Mediterraneo nell’indifferenza generale del mondo.



Ocean Viking testimone delle conseguenze di un naufragio

Dichiarazione di Luisa Albera, coordinatrice di Ricerca e Soccorso a bordo della Ocean Viking

Ocean Viking, Mediterraneo centrale – 22 aprile 2021: “Oggi, dopo ore di ricerca, la nostra peggiore paura si è avverata. L’equipaggio della Ocean Viking ha dovuto assistere alle devastanti conseguenze del naufragio di un gommone a Nord-Est di Tripoli. Mercoledì mattina era scattato l’allarme rispetto a questa stessa imbarcazione con circa 130 persone a bordo.

Nelle ultime 48 ore, il network telefonico civile Alarm Phone ci ha avvisato di un totale di tre barche in difficoltà in acque internazionali al largo della Libia. Tutte si trovavano ad almeno dieci ore dalla nostra posizione nel momento in cui abbiamo ricevuto le segnalazioni. Abbiamo cercato due di queste barche, una dopo l’altra, in una corsa contro il tempo e con il mare molto mosso, con onde fino a 6 metri.

In assenza di un coordinamento efficace da parte dello Stato, tre navi mercantili e la Ocean Viking hanno cooperato per organizzare la ricerca in condizioni di mare estremamente difficili. Oggi, mentre cercavamo senza sosta – nella totale mancanza di supporto dalle autorità marittime competenti – tre cadaveri sono stati avvistati in acqua dalla nave mercantile MY ROSE.

Un aereo di Frontex ha individuato poco dopo il relitto di un gommone. Dal momento in cui siamo arrivati sul posto oggi non abbiamo trovato nessun sopravvissuto, ma abbiamo visto almeno dieci corpi nelle vicinanze del relitto. Abbiamo il cuore spezzato. Pensiamo alle vite che sono state perse e alle famiglie che potrebbero non avere mai la certezza di ciò che è successo ai loro cari. 
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"Vi confesso che sono molto addolorato per la tragedia che ancora una volta si è consumata nei giorni scorsi nel Mediterraneo. Centotrenta migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane, che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è arrivato. Fratelli e sorelle, interroghiamoci tutti su questa ennesima tragedia. È il momento della vergogna. Preghiamo per questi fratelli e sorelle, e per tanti che continuano a morire in questi drammatici viaggi. Preghiamo anche per coloro che possono aiutare ma preferiscono guardare da un’altra parte. Preghiamo in silenzio per loro." (Papa Francesco dopo la recita del Regina Coeli 25/04/2021)


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130 morti nel Canale di Sicilia. 
Dov’è l’Europa?



Dal 2014, l’anno successivo alla più grande tragedia dell’immigrazione nel Canale di Sicilia, quando si è cominciato a documentare i viaggi della speranza (e del terrore) di queste persone, al giorno prima della tragedia di giovedì scorso, i morti e i dispersi nel Mediterraneo sono stati 23.135.
“Solo” quelli di cui siamo a conoscenza.

Giovedì sono stati 130 i morti in mare, in un’altra strage annunciata.
Tutte le autorità europee sapevano, da due giorni, che nel Canale di Sicilia c’erano 3 barconi messi in mare dai trafficanti libici.
Ma nessuno ha inviato navi per soccorrere queste persone in balia del mare grosso, prossime all’annegamento.

Possiamo fermarci un attimo per immaginare i loro ultimi pensieri? Le loro paure?
Un attimo.
Sapevano di dover morire e non c’era nessuno a salvarle.
Sapevano che non avrebbero rivisto chi amavano.
Sapevano che sarebbero annegate.
Se fa male immaginare è un bene. Crediamo che debba fare male.

La portavoce dell’Oim, l’organizzazione dell’Onu per i migranti, Safa Mshli ha detto: “Gli Stati si sono opposti e si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”.

Per la prima volta, da molti anni, tre navi commerciali hanno deciso di unirsi alla Ocean Viking di Sos Mediterranee nella ricerca dei dispersi. Ma non sono state coordinate da nessuna delle centrali di soccorso. Nell’area sono passati velivoli di Frontex, ma nessun messaggio di allerta è stato diramato.

Quando sarà abbastanza? Povere persone. Quante speranze, quante paure. Destinate a schiantarsi contro tanta indifferenza”, ha scritto Carlotta Sami, portavoce dell’alto commissariato per i rifugiati (Unhcr-Acnur).

Quando sarà abbastanza?
Oltre le nostre parole, oltre i numeri che servono per capire le dimensioni immani di una ecatombe senza fine, ci sono storie su storie, storie di vite che erano e avrebbero potuto essere, ogni volta che un barcone affonda.
Storie di famiglie spezzate, di bambini che volevano crescere, di donne che magari li avevano ancora in grembo.
Eppure restano solo corpi, corpi accarezzati dall’acqua, rimasti abbracciati stretti anche in fondo al blu più profondo. Uomini, donne e bambini che cercavano un futuro, proteggendosi a vicenda oltre l’ultimo respiro.

Naufragio, migranti, Mediterraneo.
Sono parole che sembrano scivolare velocemente, senza che quasi ce ne accorgiamo. Le leggiamo, le scriviamo, le ripetiamo, nella quotidianità.

Si levano, assurdamente, fazioni al cospetto di tragedie simili, laddove c’è invece bisogno di immediate soluzioni, di corridoi umanitari sicuri per persone che al sicuro non sono e meritano una vita migliore. Una vita.
Non certo una morte in fondo al mare, con la zavorra dell’indifferenza, senza che nessuno si sia neanche mosso per salvarle dalla morte.

“Nell’indifferenza generale del mondo è la similitudine tra ieri e oggi, non è tanto il triste fatto specifico, ma l’indifferenza con cui si chiude il mare, con i barconi degli immigrati che senza nome vengono dimenticati, annegano e il mare si chiude sopra. È il mare dell’indifferenza”.
Liliana Segre

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Una foto che parla. 
Quelle grida senza ascolto pensiamoli nostri figli


In una foto diffusa da Sos Mediterranée il cadavere di un uomo galleggia in mare, avvinto a un salvagente. Indossa una giacca a vento, il cappuccio nero gli nasconde il volto. Non è annegato: forse ha retto a lungo, nell’attesa di un salvataggio che non è arrivato. L’uomo è morto di ipotermia, cioè di freddo, giovedì scorso, insieme ad altri 130 migranti. In acque Sar, acque internazionali di competenze libica quanto ai soccorsi. Alarm Phone, il centralino civile che raccoglie gli Sos, aveva lanciato l’allarme mercoledì alle 14. In oltre 24 ore né Frontex né la cosiddetta Guardia costiera libica si sono mosse. Nemmeno un mezzo militare italiano. «Li hanno lasciati morire», dicono dall’Oim, l’Agenzia Onu per i migranti.
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Poi, per ore e ore, nessuno interviene. Quando la Ocean Viking e tre mercantili civili arrivano sul posto trovano un gommone sfasciato, e dieci annegati.


Sos Mediterranee / Flavio Gasperini

Quel poveretto ferocemente attaccato, nel rigore della morte, a un salvagente, è quanto ci è dato di vedere di questa terribile notte. Guardiamolo bene, però. È giovane, come lo sono tutti quelli che riescono a superare estenuanti odissee dall’Africa subsahariana, e poi fuggono dalla Libia. Sotto alla giacca a vento chissà quante maglie aveva: fanno così, i migranti, contro il freddo, s’infilano addosso tutto il poco che hanno. Ben coperto, l’uomo confidava di farcela. Come i suoi compagni certo sapeva a memoria il cellulare della madre o del padre, per chiamare, appena toccato terra. Vent’anni aveva, forse? L’età in cui i nostri figli ci sembrano ancora ragazzini, cui perdonare ogni cosa.
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Non succede a voi di sovrapporre per un istante la faccia di un figlio, alla faccia dello sconosciuto in mare? (Forse per questo tre mercantili hanno deviato dalle loro rotte, perché, stando in mezzo alla tempesta, qualcuno ha pensato ai suoi figli, e ha avuto pietà).

Ma ai centralini di soccorso di Tripoli e a quelli di Roma, di La Valletta e dei controllori europei dei confini l’allarme rimbalzava reciprocamente (tocca a loro, tocca ad altri – e poi, nel caso, dove li portiamo?) In Libia è vietato riportare migranti. Non restava che l’Italia, o Malta. Che notte fonda, quella di questo 22 aprile, e non solo nel Mediterraneo. Mentre tutti i media italiani ed europei erano su Superlega o sul Covid, sui lockdown o i colori delle zone, sui permessi per le seconde case, quanto nera doveva essere la notte, negli occhi di quegli uomini in mare. Di quell’uomo forsennatamente attaccato a un salvagente, tanto che nessuna onda è riuscito a strapparglielo.

Che disperata voglia di vivere doveva avere, e che forza nelle braccia – la forza dei vent’anni. Guardiamo i nostri figli, questa sera. Davvero non gli somigliano per niente? E questa Europa, invece, a cosa somiglia? A un’enclave chiusa da alte mura. Dentro, stiamo morendo di paura più ancora che di Covid. E, ossessionati, non alziamo lo sguardo. A un disperato Sos non risponde nessuno. «Gentile signore/ signora, grazie della vostra email…». Come una voce registrata nell’ufficio vuoto di una città abbandonata, a Ferragosto. A questo, l’altra notte, somigliavamo.