martedì 16 marzo 2021

500 ANNI DELL'EVANGELIZZAZIONE DELLE FILIPPINE - «Dio è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia. ... La vera gioia è sentirci amati gratuitamente ... Le donne filippine sono “contrabbandiere” di fede! Voglio dirvi grazie per la gioia che portate nel mondo intero e nelle comunità cristiane.» Papa Francesco Omelia 14/03/2021 (foto, testo e video)

SANTA MESSA IN OCCASIONE DEI 500 ANNI DELL'EVANGELIZZAZIONE DELLE FILIPPINE

Basilica di San Pietro
Domenica, 14 marzo 2021



La danza-processione che ha aperto la messa di oggi all’altare della confessione è il simbolo che contiene tutto il significato della celebrazione dei 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine, che papa Francesco ha voluto sottolineare con la sua presenza, affianco al card. Luis Antonio G. Tagle, già arcivescovo di Manila e oggi prefetto di Propaganda Fide, e al card. Angelo De Donatis, vicario del papa nella diocesi di Roma. Fra i fedeli distanti secondo le regole anti-pandemia, tanti filippini e filippine che vivono come migranti nella diocesi.

Durante la processione-simbolo un giovane e una donna portavano l’uno la croce di Magellano, con cui nel 1521 è stata celebrata la prima messa di Pasqua a Limasawa (Leyte medidionale, Visaya orientale), l’altra la statuetta del Santo Niño, la cui devozione raduna milioni di fedeli nell’arcipelago. Dietro di loro, sei ragazze con vestiti bianchi e d’oro danzano avanzando e sventolando un fazzoletto bianco. I fedeli dai banchi partecipano col canto e con loro sventolio dei loro fazzoletti.

Nella sua omelia, Francesco ha dapprima commentato la frase del vangelo «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). ...

“Con la vostra gioia – ha concluso - potrete fare in modo che si dica anche della Chiesa: “ha tanto amato il mondo!”. È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona se stessa. Che sia così, nelle Filippine e in ogni parte della terra”.  (fonte: AsiaNews)

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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO


«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Qui c’è il cuore del Vangelo, qui c’è il fondamento della nostra gioia. Il contenuto del Vangelo, infatti, non è un’idea o una dottrina, ma è Gesù, il Figlio che il Padre ci ha donato perché noi avessimo la vita. Gesù è il fondamento della nostra gioia non è una bella teoria su come essere felici, ma è sperimentare di essere accompagnati e amati nel cammino della vita. “Ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio”. Soffermiamoci, fratelli e sorelle, un momento su questi due aspetti: “ha tanto amato” e “ha dato”.

Prima di tutto, Dio ha tanto amato. Queste parole, che Gesù rivolge a Nicodemo – un anziano giudeo che voleva conoscere il Maestro – ci aiutano a scorgere il vero volto di Dio. Egli da sempre ci ha guardati con amore e per amore è venuto in mezzo a noi nella carne del Figlio suo. In Lui ci è venuto a cercare nei luoghi in cui ci siamo smarriti; in Lui è venuto a rialzarci dalle nostre cadute; in Lui ha pianto le nostre lacrime e guarito le nostre piaghe; in Lui ha benedetto per sempre la nostra vita. Chiunque crede in Lui, dice il Vangelo, non va perduto (ibid.). In Gesù, Dio ha pronunciato la parola definitiva sulla nostra vita: tu non sei perduto, tu sei amato. Sempre amato.

Se l’ascolto del Vangelo e la pratica della nostra fede non ci allargano il cuore per farci cogliere la grandezza di questo amore, e magari scivoliamo in una religiosità seriosa, triste, chiusa, allora è segno che dobbiamo fermarci un po’ e ascoltare di nuovo l’annuncio della buona notizia: Dio ti ama così tanto da darti tutta la sua vita. Non è un dio che ci guarda indifferente dall’alto, ma è un Padre, un Padre innamorato che si coinvolge nella nostra storia; non è un dio che si compiace della morte del peccatore, ma un Padre preoccupato che nessuno vada perduto; non è un dio che condanna, ma un Padre che ci salva con l’abbraccio benedicente del suo amore.

E veniamo alla seconda parola: Dio “ha dato” il suo Figlio. Proprio perché ci ama così tanto, Dio dona se stesso e ci offre la sua vita. Chi ama esce sempre da se stesso – non dimenticatevi di questo: chi ama esce sempre da se stesso. L’amore sempre si offre, si dona, si spende. La forza dell’amore è proprio questa: frantuma il guscio dell’egoismo, rompe gli argini delle sicurezze umane troppo calcolate, abbatte i muri e vince le paure, per farsi dono. Questa è la dinamica dell’amore: è farsi dono, darsi. Chi ama è così: preferisce rischiare nel donarsi piuttosto che atrofizzarsi trattenendosi per sé. Per questo Dio esce da se stesso, perché “ha tanto amato”. Il suo amore è così grande che non può fare a meno di donarsi a noi. Quando il popolo in cammino nel deserto fu attaccato dai serpenti velenosi, Dio fece fare a Mosè il serpente di bronzo; in Gesù, però, innalzato sulla croce, Lui stesso è venuto a guarirci dal veleno che dà la morte, si è fatto peccato per salvarci dal peccato. Non ci ama a parole Dio: ci dona suo Figlio perché chiunque lo guarda e crede in Lui sia salvato (cfr Gv 3,14-15).

Più si ama e più si diventa capaci di donare. Questa è anche la chiave per comprendere la nostra vita. È bello incontrare persone che si amano, che si vogliono bene e condividono la vita; di loro si può dire come di Dio: si amano così tanto da dare la loro vita. Non conta solo ciò che possiamo produrre o guadagnare, conta soprattutto l’amore che sappiamo donare.

E questa è la sorgente della gioia! Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. Da qui prende senso l’invito che la Chiesa rivolge in questa domenica: «Rallegrati […]. Esultate e gioite, voi che eravate nella tristezza: saziatevi dell’abbondanza della vostra consolazione» (Antifona d’ingresso; cfr Is 66,10-11). Ripenso a ciò che abbiamo vissuto una settimana fa in Iraq: un popolo martoriato ha esultato di gioia; grazie a Dio, alla sua misericordia.

A volte cerchiamo la gioia dove non c’è, la cerchiamo nelle illusioni che svaniscono, nei sogni di grandezza del nostro io, nell’apparente sicurezza delle cose materiali, nel culto della nostra immagine, e tante cose… Ma l’esperienza della vita ci insegna che la vera gioia è sentirci amati gratuitamente, sentirci accompagnati, avere qualcuno che condivide i nostri sogni e che, quando facciamo naufragio, viene a soccorrerci e a condurci in un porto sicuro.

Cari fratelli e sorelle, sono passati cinquecento anni da quando per la prima volta l’annuncio cristiano è arrivato nelle Filippine. Avete ricevuto la gioia del Vangelo: che Dio ci ha amato a tal punto da dare il suo Figlio per noi. E questa gioia si vede nel vostro popolo, si vede nei vostri occhi, nei vostri volti, nei vostri canti e nelle vostre preghiere. La gioia con cui portate la vostra fede in altre terre. Tante volte ho detto che qui a Roma le donne filippine sono “contrabbandiere” di fede! Perché dove vanno a lavorare, lavorano, ma seminano la fede. Questa è – permettetemi la parola – una malattia generazionale [genetica], ma una beata malattia! Conservatela! Portate la fede, quell’annuncio che voi avete ricevuto 500 anni fa, e che portate adesso. Voglio dirvi grazie per la gioia che portate nel mondo intero e nelle comunità cristiane. Penso, come ho detto, a tante esperienze belle nelle famiglie romane – ma è così in tutto il mondo –, dove la vostra presenza discreta e laboriosa ha saputo farsi anche testimonianza di fede. Con lo stile di Maria e di Giuseppe: Dio ama portare la gioia della fede con il servizio umile e nascosto, coraggioso e perseverante.

In questa ricorrenza così importante per il santo popolo di Dio nelle Filippine, voglio anche esortarvi a non smettere l’opera di evangelizzazione – che non è proselitismo, è un’altra cosa. Quell’annuncio cristiano che avete ricevuto è sempre da portare agli altri; il vangelo della vicinanza di Dio chiede di esprimersi nell’amore verso i fratelli; il desiderio di Dio che nessuno vada perduto domanda alla Chiesa di prendersi cura di chi è ferito e vive ai margini. Se Dio ama così tanto da donarci se stesso, anche la Chiesa ha questa missione: non è inviata a giudicare, ma ad accogliere; non a imporre ma a seminare; la Chiesa è chiamata non a condannare ma a portare Cristo che è la salvezza.

So che questo è il programma pastorale della vostra Chiesa: l’impegno missionario che coinvolge tutti e arriva a tutti. Non scoraggiatevi mai nel camminare su questa strada. Non abbiate paura di annunciare il Vangelo, di servire, di amare. E con la vostra gioia potrete fare in modo che si dica anche della Chiesa: “ha tanto amato il mondo!”. È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona se stessa. Cari fratelli e sorelle, mi auguro che sia così, nelle Filippine e in ogni parte della terra.

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Prima della conclusione, il card. Tagle, in rappresentanza di tutti i migranti filippini, ha ringraziato il pontefice per la partecipazione alla celebrazione: “Le portiamo qui l'amore filiale dei filippini delle 7641 isole del nostro paese. Ci sono più di dieci milioni di migranti filippini che vivono in quasi cento Paesi nel mondo. Sono uniti a noi questa mattina”.

Dopo aver tracciato in breve la storia dell’evangelizzazione nel suo Paese, che ha portato la Chiesa filippina ad essere la terza Chiesa al mondo per numero di fedeli, il card. Tagle ha aggiunto: “Per il misterioso disegno di Dio, il dono della fede che ci è stato dato viene ora condiviso da milioni di migranti filippini cristiani in diverse parti del mondo. Abbiamo lasciato le nostre famiglie, non per abbandonarle, ma per prenderci cura di loro e del loro futuro. Per amore loro, sopportiamo il dolore della separazione. Quando arrivano i momenti di solitudine, noi migranti filippini troviamo la forza in Gesù che viaggia con noi, Gesù che si è fatto un bambino (Santo Nino) e si è fatto conoscere come il Nazareno (Gesù Nazareno), che ha portato la Croce per noi”. A un certo punto, parlando della solitudine vissuta nella fede da tanti migranti, il card. Tagle si è commosso.

“Preghiamo – ha concluso - affinché attraverso i nostri migranti filippini, il nome di Gesù, la bellezza della Chiesa e la giustizia, la misericordia e la gioia di Dio, possano raggiungere i confini della terra. Qui a Roma, quando ci mancano i nostri nonni, sappiamo di avere un Lolo Kiko. Molte grazie, Santo Padre. Salamat. Mabuhai”.

Alla fine, durante l'antifona mariana, due bambini in costume di festa si sono avvicinati con papa all'immagine di Maria e hanno deposto due cestini di fiori. (fonte: AsiaNews)

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