martedì 19 gennaio 2021

"Dal primo sguardo negli occhi" di Alberto Pellai


La paternità deve porre le sue basi emotive e psichiche già negli istanti della nascita

Dal primo sguardo negli occhi
di Alberto Pellai*



Quando nasce un figlio, nascono anche i suoi genitori. È il bambino che viene al mondo a rendere una donna madre e un uomo padre. Se le mamme recano inscritto nel proprio corpo il percorso della loro genitorialità, visto che il bimbo che danno alla luce è “letteralmente” carne della loro carne, un padre diventa ufficialmente tale nel momento in cui riconosce davanti alla legge quel bambino come proprio, dotandolo del suo cognome. Diventare padri dal punto di vista anagrafico non significa però essere padri capaci di soddisfare le implicazioni emotive, affettive ed educative che tale ruolo comporta. Il mondo è pieno di padri che hanno dato ai figli un cognome e poco più. Padri assenti, padri violenti, padri “evaporati” (come disse Lacan e oggi ribadisce Recalcati) che si sono sottratti al proprio ruolo educativo, incapaci di accogliere dentro sé e dentro la propria vita quelle trasformazioni che permettono a chi diventa padre di “sentirsi” a tutti gli effetti padre del proprio bambino, rivelandosi risorsa emotiva, affettiva ed educativa per lui e la sua crescita. 

I padri che nelle fotografie di inizio secolo si facevano fotografare in piedi, accanto al proprio figlio, senza guardarlo negli occhi, senza alcun contatto tra i due sono l’effigie di un modo di vivere la paternità alla stregua di una dimensione da concentrare soprattutto sulle funzioni normative e poco su quelle affettive. Quei padri “tutti d’un pezzo” declinavano il loro essere padre riconoscendo, davanti allo Stato, i figli da loro generati, prendendosi la responsabilità della loro sussistenza attraverso il proprio lavoro, imponendo il codice etico e normativo cui la vita dei figli doveva ispirarsi che, quando trasgredito, li trasformava in padri sanzionatori, capaci di punizioni fisiche e morali. I film Padre padrone” dei Fratelli Taviani oppure Il nastro bianco” di Michael Haneke ci mostrano figure di padri che fanno dei propri figli ciò che vogliono, comminando violenze e abusi, ritenendosi portatori del diritto di educarli secondo regole e principi di cui loro sono gli indiscutibili detentori. 

Oggi invece le fotografie di quelli che giustamente vengono definiti “nuovi padri” ci mostrano uomini che fin dai primi giorni di vita, tengono teneramente in braccio i loro bambini, li coccolano, li guardano negli occhi. Sono padri che interpretano il loro ruolo non solo nella logica della responsabilità normativa (compito di un padre è dare regole ad un figlio e renderlo responsabile), ma anche di quella emotiva e affettiva. Sentono che il loro essere padri, non è solo finalizzato a sostenere la crescita di un figlio, ma è pure un’occasione straordinaria per crescere essi stessi nella propria umanità, per affinare le proprie competenze emotive e spirituali. Un figlio, in questa accezione, diventa per un uomo la più grande occasione per la sua crescita umana. In questa prospettiva, il nuovo padre è quello che non solo fa il padre, ma anche che si “sente” profondamente padre e intorno a ciò costruisce, dentro e fuori di sé, una nuova identità. Così nel percorso verso la paternità, un uomo diviene in grado di trasformare l’idea di sé, connettendosi intimamente e profondamente con il proprio figlio, fino ad essere sintonizzato, preoccupato, assorbito nella e dalla relazione con lui. Il padre, per diventare tale, deve cominciare a far nascere il proprio figlio nella propria mente già durante i mesi della gravidanza, generandolo nello spazio del cuore e della mente. Accompagnare la futura mamma alle visite prenatali, condividere con lei il percorso nascita e la preparazione al parto, predisporre la cameretta del futuro bambino dentro casa (tutte operazioni sconosciute ai padri normativi del passato) sono passaggi che permettono ai nuovi padri di percepirsi attivamente coinvolti nel percorso dell’attesa. La grande rivoluzione associata all’ingresso del padre in sala parto, evento relativamente recente, ha in realtà un enorme correlato anche sul piano neurobiologico. Le neuroscienze hanno rivelato che il cervello di un uomo che vede nascere il proprio bambino, vive proprio lì, di fronte a quell’evento — indimenticabile per ogni uomo che l’abbia vissuto — la sua prima potente trasformazione che tende a mantenersi e consolidarsi nelle giornate e settimane seguenti. Quanto più il papà resta intimamente presente sulla scena famigliare, guardando negli occhi il proprio figlio, tenendolo in braccio e sostenendo la neomamma nel periodo neonatale, tanto più il suo sistema nervoso centrale aumenta la produzione di prolattina e ossitocina, ormoni che facilitano l’accudimento tenero e affettuoso verso il “cucciolo d’uomo”. Contemporaneamente, si assiste ad un calo del testosterone, l’ormone che influenza la forza muscolare dell’uomo e il suo desiderio sessuale. È come se l’interazione precoce tra il neonato e il suo papà, spingesse quest’ultimo verso la ricerca di una vicinanza intima e tenera con il proprio bambino, riducendo invece i suoi bisogni esplorativi e di permanenza nello spazio esterno al nido domestico. Le neuroscienze sembrano dimostrare quello che l’evoluzione ha probabilmente selezionato per i papà della specie umana, unici nel regno vivente: chiede loro di stare lì dove c’è il proprio figlio, di instaurare con lui una relazione sin dai primi istanti che non si sostituisce a quella materna, ma che la integra e completa. Tra l’altro, le ricerche evidenziano che il padre coinvolto e presente nelle prime settimane di vita del proprio figlio è uno straordinario stabilizzatore emotivo della neo-mamma, permettendole di attraversare più facilmente l’ansia e la paura associate ai nuovi compiti di accudimento, favorendo l’attaccamento e l’allattamento tra lei e il neonato e riducendo il suo rischio di depressione post-partum. Bowlby, lo psicologo che formulò la teoria dell’attaccamento, ha dimostrato come il bambino necessiti, per garantirsi il benessere psicofisico, di avere a fianco a sè adulti capaci di rispondere ai suoi bisogni innati di attaccamento, adulti in grado di fornirgli cure e accudimento, di sintonizzarsi emotivamente con lui. Le mamme rispondono in modo istintivo e immediato a questi bisogni, ma spesso — nel farlo — si sentono stanche, isolate, affaticate. È qui che il padre interviene, offrendo una triangolazione supportiva che sostiene sia la mamma che il bambino e che si rivela fondamentale proprio nella fase precoce di vita del neonato, quella da cui il “pater familias” del passato è stato sempre escluso, per tradizione intergenerazionale. La ricerca dimostra che un padre che si coinvolge in fase precoce nella vita del proprio bambino, diventa un padre efficace e autorevole anche in tutte le successive fasi dell’età evolutiva. L’adolescenza dei figli è più protetta dal rischio comportamentale e meno soggetta a forme di disagio emotivo e psicologico se il padre rimane sulla scena della loro crescita, mescolando le tre dimensione alla radice del suo ruolo e funzioni: responsabilità, disponibilità emotiva e coinvolgimento attivo. Papa Francesco nel proporre al mondo la figura di un Dio Padre amorevole e tenero, lontano dall’immagine castigatrice e giudicante che imperava in passato, ha proposto anche in chiave teologica gli assunti con cui gli uomini oggi cercano di testimoniare un nuovo modo di essere papà: autorevoli ma non autoritari, affettivi e non solo normativi, accoglienti e non respingenti. Molte ricerche rivelano che questo tempo di pandemia da covid-19, che ha visto molti padri convivere 24 ore su 24 con i propri figli, ha migliorato in molti casi il loro coinvolgimento e il modello di co-genitorialità condivisa in famiglia. La reclusione forzata e la convivenza ininterrotta ha permesso, in molti casi, di renderli presenti ed attivi molto più di prima. Cosa che ci fa immaginare che in futuro il tema della conciliazione lavoro/famiglia potrebbe riguardare anche i padri. Stimolare e rinforzare presenza e ruolo dei padri nella vita dei loro figli risulta essere oggi un obiettivo presente all’interno delle politiche famigliari di molti Stati. Rinforzare e sostenere gli uomini, supportandone le funzioni genitoriali, potrebbe rivelarsi protettivo non solo per i loro figli, ma per l’intera collettività. Sociologi e psicologi hanno più volte descritto i pericoli di una società senza padri. E un padre capace di essere un buon genitore per il proprio figlio potrebbe rivelarsi un grande promotore di quella genitorialità sociale, declamata da più parti, come un bisogno assoluto del mondo moderno.

*Medico, psicoterapeuta, ricercatore presso il Dipartimento scienze biomediche dell’Università degli studi di Milano, autore del libro «Da uomo a padre. Il percorso emotivo della paternità» (Mondadori, 2019)

(fonte: L'Osservatore Romano 16 gennaio 2021)