venerdì 4 dicembre 2020

«UNDICESIMO, NON EVADERE»

«UNDICESIMO, NON EVADERE»

«Per noi cristiani la "decima" è un dovere assoluto», spiega l'economista e appassionato lettore della Bibbia Luigino Bruni, «l'Antico e il Nuovo Testamento non fanno che ribadire il comandamento di pagare le imposte. A patto che il tributo sia equo»



Luigino Bruni
L'invito a tutti i fedeli e a tutti gli uomini di buona volontà a pagare le tasse, pronunciato dal Pontefice nel corso dell’Angelus del 18 ottobre scorso, non sorprende Luigino Bruni, uno degli economisti più ascoltati da papa Francesco (è stato il direttore scientifico del meeting dei giovani di Assisi “The economy of Francesco”), ma anche scrittore appassionato di teologia e della Bibbia (su Famiglia Cristiana ha avviato una rubrica di commento "laico" al Vangelo). Per Bruni la risposta evangelica di Gesù ai discepoli dei farisei data con in mano un “denario” romano, spesso citata per giustificare il dovere di pagare le tasse, è una delle frasi meno adatte. «In quel caso Gesù sta uscendo da una trappola che gli hanno teso. Se riconosci Cesare sei un idolatra, gli chiedono, se non lo riconosci sei un evasore fiscale, e allora come te la cavi? E lui allora mostra su una faccia della moneta il volto dell’imperatore Tiberio e risponde: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio».

Da dove cominciare allora?

«Di inviti a pagare i giusti tributi ce ne sono molti nell’Antico Testamento, di solito legati ai poveri, a cominciare dalle vedove e dagli orfani. I libri sacri del popolo ebraico hanno sempre avuto grande attenzione per la ridistribuzione della ricchezza. Il Pentateuco, per esempio, ne parla in tutte le salse a cominciare dalla decima, l’istituzione fondamentale di Israele. La decima, si badi bene, non dei profitti ma dei ricavi, quindi comprensivi dei costi di gestione, si badi bene. Anche il Tempio di Salomone aveva grande funzione di attenzione e assistenza ai poveri, alle vedove e agli orfani, e dunque servivano fondi per mantenerli. C’è questo tema, che è molto presente in tutto l’Antico Testamento, che le tasse vanno pagate perché bisogna occuparsi dei beni pubblici, del culto e, ultimo punto ma non da meno, dei poveri. E a quel tempo (ma anche oggi a ben vedere) i più poveri di tutti erano le vedove e gli orfani. Parte delle tasse sono per loro, come è giusto».

C’è nelle pagine dell’Antico Testamento qualche passo in cui i profeti tuonano contro gli evasori?

«Diciamo che il tema del pagamento dei tributi è molto forte nei profeti, da Ezechiele a Isaia. Se vuoi il tempio, dicono senza mezzi termini, lo devi mantenere. Le tasse sono un sottoinsieme del tema della giustizia, che è un tema enorme della Bibbia. “Voi portate sacrifici all’altare ma vi dimenticate della giustizia”, dice Isaia. I profeti biblici sono molto duri su questo: chi ha di più deve contribuire di più».

Dunque nella Bibbia sono già contemplati, per così dire, gli scaglioni progressivi Irpef? 

«Non proprio, però c’era l’idea della proporzionalità. Il dieci per cento di chi possiede un milione è 100 mila ma il dieci per cento di chi ha un miliardo è 100 milioni. Quindi il ricco paga una somma maggiore. La decima è – per usare un termine moderno – una “flat tax”, perché vuol dire che in termini assoluti si paga di più. È dunque una tassa proporzionale, anche se non progressiva». E nel Vangelo come e quando si parla di tasse? «Nel Vangelo c’è un pubblicano, Matteo, che fa l’esattore delle imposte a Cafarnao, in Galilea, ed entra tra i discepoli, addirittura tra i più intimi di Gesù. Quindi non era certo un lavoro incompatibile con l’essere cristiano. Oltretutto non risulta che abbia cambiato mestiere. Poi abbiamo il disegno grandioso di San Paolo nella Lettera ai Romani, che si sofferma sul rispetto delle leggi e quindi anche dei tributi, che sono leggi. L’apostolo delle genti ci vede una dimensione divina nel rispetto dell’autorità costituite, che sono anche quelle fiscali».

Nei libri sacri si parla mai espressamente di evasori? 

«Ezechiele predica: “abbiate bilance giuste” (al capitolo 45). Vuol dire tasse giuste. Questa, spiega poco più avanti, sarà l’offerta che voi preleverete. Vuol dire che anche sei secoli prima di Cristo si tendeva a fregare nelle tasse, per esempio denunciando una quantità minore del raccolto. Negli Atti degli Apostoli Anania e Zafira nascondono una parte del raccolto e vengono addirittura fulminati. Lo stesso Giuda ruba sulla cassa degli apostoli, di cui è incaricato. Tra l’altro l’unica volta che Gesù usa la parola “amico” nei Vangeli è per Giuda».

Che cosa rappresentano le tasse per un cristiano?

«Sono un contributo. Papa Francesco ne parla molto anche nell’enciclica Fratelli tutti riferendosi a un sistema fiscale equo. Se tu ti riconosci in un legame con gli altri (la fraternità è l’unico principio di rapporto con gli altri) allora ti prendi cura di chi non ha e paghi le tasse. Ma se tu non riconosci nessun legame non le paghi. Ecco perché oggi si evade di più e si protesta contro i tributi: perché è in crisi il principio di fraternità».