Nella seconda ondata,
«chi resta saldo?»
di Simone Morandini *
Non è facile disporsi a leggere questa seconda fase della pandemia; soprattutto ciò che si coglie facendolo non è affatto piacevole da portare a parola. Per questo ho tardato a stendere questo post, che pure è ormai da settimane nella mia penna e nella mia mente.
Tempo di sconcerto
Perché questo è per me soprattutto un tempo segnato dallo sconcerto, dalla confusione, dalla malattia che passa vicina (toccando magari amici o parenti) e che troppo spesso conduce alla morte, dal senso di un possibile disastro incombente.
Un tempo nel quale assistiamo al prevalere della cura per interessi particolari – pur magari lodevoli (l’economia, la cultura, la socialità) – rispetto all’attenzione per quel grande bene comune che è la salute di tutti/e e di ognuna/o.
Sembra che ci siamo ormai assuefatti alle centinaia di morti quotidiane; sembra che le misure necessarie a contenere il contagio siano solo fastidi, da tenere a distanza e da aggirare in ogni modo possibile; sembra che, anzi, il vero nemico da combattere non sia questa devastante pandemia, ma le autorità che cercano di contenerla. Persino dinanzi al Natale qualcuno grida allo scandalo, se si assumono misure finalizzate a contenere gli assembramenti e se esse interessano anche gli orari delle liturgie
Ma perché non sappiamo reggere la condizione – anomala ma inevitabile – di questo tempo sospeso? Perché non sappiamo attendere le condizioni necessarie per uscirne in sicurezza? Non sarà un tempo infinito: la prospettiva del vaccino non sembra distante. Perché continuare a chiedere – anzi a esigere – tutto e subito?
Leadership appannate
Del resto, in questa fase anche le figure di leader sono profondamente appannate. Perché dovremmo fidarci oggi di chi fino a ieri si affannava a dire che il virus era finito o che la mascherina celava una dittatura sanitaria e andava boicottata?
E, d’altra parte, come mantenere alta la fiducia in chi è stato così improvvido nell’affrontare una seconda ondata di cui eravamo avvisati e da tempo? Penso per esempio a un ministro che – nei giorni in cui quasi si è toccato il migliaio di morti quotidiani – continuava pervicacemente a interrogarsi su come affrettare la riapertura di tutte le scuole, senza peraltro indicare concrete prospettive che garantiscano a esse una ripresa più sicura.
Quante morti, quante sofferenze si potevano evitare con azioni più tempestive? Moralia ha segnalato più volte la necessità di un’«etica dell’imprevisto», capace di adattarsi con duttilità al mutare improvviso delle condizioni.
A essa occorre però anche uno sguardo lungimirante, capace di prevedere ciò che può esserlo; occorre un approccio competente, capace di prepararsi in anticipo a far fronte a ciò che incombe su di noi. C’è molto da lavorare in questa direzione: questa pandemia ci sta insegnando che la progettazione del futuro non può essere lasciata al litigio di breve periodo, all’irresponsabilità di chi guarda solo a interessi particolari e di breve termine, all’improvvisazione dei compromessi di basso livello.
Tenaci nella speranza
Nella sua Etica Dietrich Bonhoeffer, nel pieno di quella fase catastrofica che è stata il nazismo, si chiedeva: «Chi resta saldo?», chi può continuare ad agire moralmente dinanzi al collasso di tante evidenze etiche?
Dovremmo tornare a porci simili domande, in un tempo certo diverso, per ricercare sempre e di nuovo energie di resistenza nel tempo dell’incertezza; frammenti di speranza nel cuore di un lungo inverno.
Perché la Luce viene e illumina, anche da luoghi che non sapremmo prevedere, se solo abbiamo occhi per vederla, se solo restiamo saldi ad attenderla.
* Simone Morandini è coordinatore del progetto «Etica, teologia, filosofia» della Fondazione Lanza e insegna all’Istituto di studi ecumenici San Bernardino di Venezia; è coordinatore del blog Moralia.
(Fonte: Il Regno)