Diversamente felici
Il ragazzo autistico che insegna la serenità
Federico è un ragazzo romano di 26 anni e diverso tempo fa ha fatto un sogno che lo ha portato a ridefinire le sue coordinate verso un destino che si sta rivelando sempre più stupefacente. Ma la sua storia inizia da molto lontano, in anni in cui la solitudine, l’insensatezza, il dolore e un forte senso di frustrazione governavano gran parte delle sue giornate. Da bambino, infatti, gli venne diagnosticata una forma severa di autismo che lo condannava a una sorta di “lockdown esistenziale”, ma che soprattutto non lasciava speranze di miglioramento. Eppure il grande desiderio di «sfuggire all’incomprensione e strappare ogni giorno frammenti di significato» (come racconta nel suo libro di esordio Quello che non ho mai detto scritto a soli 20 anni) lo ha portato a cercare di irrompere nell’indecifrabilità del mondo dei “neurotipici”, fatto di regole e modalità difficili da integrare con il suo sistema cognitivo: un mondo che era chiaro non si sarebbe mai accorto di lui se non fosse stato lui stesso a fare il primo passo. E di passi Federico ne ha fatti davvero tanti.
Negli anni e con grandi sforzi, nonostante ancora oggi non sappia parlare, ha trovato il modo per comunicare e raccontare il mondo dell’autismo dal di dentro con un essenziale e nitido senso di realismo, infrangendo le barriere del pregiudizio e dell’invisibilità. «Sono i sogni che fanno la storia» afferma con decisione e oggi ha appena dato alle stampe il suo terzo libro, tiene conferenze, scrive su riviste (su internet è facile trovarlo). Federico ha visto un destino possibile e così ha trasformato la sua diversità da punto di disfatta in vocazione di vita, senza fuggire da essa e da se stesso.
Il tuo motto di vita ormai noto è «diversamente abile e diversamente felice». L’essenza del tuo messaggio irradia il fascino della contentezza che si coglie esserne l’approdo. D’altra parte questo stesso fascino crea in noi anche un senso di destabilizzazione: come può una persona autistica affermare di essere felice? C’è forse un segreto per la felicità che tu puoi insegnarci visto che noi neurotipici talvolta sembriamo esserne sguarniti?
Perché una persona autistica dovrebbe essere infelice? Perché la sua mente non funziona come la vostra? Ecco il feroce razzismo insito nel concetto di normalità, un razzismo ancora più pericoloso in quanto inconsapevole. Con i propri comportamenti di sottile esclusione si costruiscono campi di sterminio esistenziale per i non normali. Escludere non è omicidio esistenziale dell’altro? Per quanto riguarda la felicità, il discorso è molto semplice. Bisogna superare dentro di sé ogni paura e ogni pretesa verso la vita. Deporre la propria tirannia verso la propria vita. Ciò apre l’occhio e rende capaci di vedere che l’esistenza vita è meravigliosa di suo, anche se alcuni eventi desiderati non si realizzano.
C’è un passaggio nel tuo primo libro in cui descrivi l’autismo come un “trauma” permanente e scrivi che: «Ogni limite che riduce la nostra capacità di gestire la realtà ci allontana dalla vita e diviene quindi un terrore di morte». Pensi che ci sia il modo di “riavvicinarsi alla vita” e di convivere con il terrore e l’incapacità di accettare e gestire il limite, che non riguarda solo le persone autistiche ma specifica l’essere nel mondo di ogni persona?
Il mio limite non va fuggito ma amato. Il tuo limite sei tu allo specchio. Molti vorrebbero fuggire dai propri limiti, lavare via i propri errori, cancellare i propri traumi. Questo è il modo migliore per averli sempre più addosso tutta la vita. Loro implorano inclusione e tu li fuggi? Imploreranno più forte. Tu accoglili e quando si saranno placati potrai serenamente valutare cosa si può fare per loro.
Nonostante la tua giovane età le persone ti riconoscono una non comune saggezza “sulle profondità dell’umano” che tu scandagli in lungo e largo nei numerosi momenti meditativi durante le tue “passeggiate autistiche”, silenziosissime. La tua convinzione è che tutti abbiano un drammatico bisogno di silenzio, sia individuale che relazionale. Eppure a molti il silenzio desta quasi imbarazzo e così si rischia di «riempire il mondo di chiacchiere», come affermi. Puoi aiutarci a capire meglio?
Il silenzio è il più potente strumento di conoscenza dell’universo. Non parlo solo di un silenzio esterno che pure serve ma soprattutto di un silenzio interiore che è prosciugare il flusso dei propri pensieri ed emozioni. Questo farsi morti consente di sperimentare che a morire è solo un io superficiale, quello che senza posa rimesta il nulla. Questa morte fa spazio e rende possibile l’emergere di un io più profondo, vero, essenziale che non ha bisogno di moto perpetuo per esistere. Consiglio vivamente anche il silenzio relazionale. Fare qualcosa insieme, anche solo una passeggiata, senza parlare, guardarsi, pensare ma con il cuore concentrato sul cuore dell’altro. Vedrete che abisso che diventa la relazione.
Racconti spesso del tuo dialogo con Dio, che tu lo immagini a guardare il mondo proprio come fai tu, con il sistema autistico. Può sembrare un’affermazione singolare e non esattamente intuitiva. Puoi spiegarci cosa intendi?
Io non ho pretese su Dio come credo lui non ne abbia su di me. Semplicemente quando sono al culmine del mio silenzio interiore, nella quiete del nulla di me, mi sovviene di essere al cospetto di Dio. Stiamo insieme così senza dire nulla. Non credo ce ne sia bisogno. Parlare mi sembra una sconfitta. Se si è in sintonia vera non ce n’è nessun bisogno.
Che progetti hai per il tuo prossimo futuro?
Oh mamma mia, nessuno! I progetti sono molto pericolosi. Generano aspettative che marciscono in pretese. Io mi sveglio ogni mattina consapevole che avrò bisogno di un po’ di dono di me esattamente come di un po’ di acqua e di cibo. Il dono di sé è un bisogno primario. Mi interrogo su ieri per fare meglio domani. Ho anche dei programmi se qualcuno me li chiede e vedo che sono per il bene. Ma chi è felice ha progetti? Secondo me no perché sta bene così. Sarei folle a sfidare il cielo con una torre di Babele che sotto sotto è idolatria del proprio io. Io sono felice anche solo di fare colazione. Mi basta e questo bastare è meraviglioso. Non c’è limite a quanto si può perseguire la propria essenzialità dentro di sé e facendolo la vita diventa sempre più bella.
(fonte: L'Osservatore Romano, articolo di Raffaella Esposito 26/05/2020)