martedì 26 maggio 2020

TEMPO DI LEBBRA Contagio e guarigione nella Bibbia Pino Stancari S.I. (testo parziale)

TEMPO DI LEBBRA
Contagio e guarigione
 nella Bibbia
Pino Stancari S.I.




La caduta nella sfera dell’impurità
Come tutte le malattie, anche la lebbra segna la parziale caduta dell’ammalato nella sfera dell’impurità. L’«impuro» è la forma più elementare di ciò che Israele percepisce come abominevole per il Signore, perché si pone in contraddizione con la vita. Mentre attende con speranza che la «santità» di Dio giunga finalmente a inglobare ogni impurità profana nella gloria della sua presenza, Israele sente con spavento la pressione minacciosa di un male profondo, che invade il mondo e penetra fin negli angoli più reconditi della creazione materiale.

Male fisico, peccato e impurità sono quindi termini che spesso risultano interscambiabili, in quanto alludono alla medesima potenza, da cui Israele si sente schiacciato, a meno che il Signore stesso non venga in suo aiuto. 

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L’impatto sul piano sociale e comunitario
Se l’elemento che serve a identificare concettualmente la lebbra è dato dal suo carattere di «impurità», l’espressione oggettivamente più concreta di tale impurità non si deve ricercare tanto sul piano  edico-terapeutico, quanto su quello sociale e comunitario. La lebbra interrompe le relazioni vitali. È davvero un anticipo di morte, alla maniera di uno strappo che rende impossibili gli incontri, i
contatti amicali, le forme di cordialità e di condivisione della fatica, oltre che dell’umana conversazione

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Nella Sacra Scrittura, dunque, il lebbroso condensa in sé l’esperienza più forte e più tangibile dell’emarginazione umana. Ciò fa sì che nei racconti evangelici in cui si narra la guarigione di lebbrosi l’elemento qualificante di tali avvenimenti, ben più che nel mero dato empirico del fatto prodigioso, consiste nell’incontro a cui Gesù si rende disponibile. In questa apertura di rapporti, che superano l’emarginazione e l’isolamento degli esclusi, Gesù annuncia l’avverarsi di uno dei segni messianici: «Andate e riferite… i lebbrosi sono purificati…» (Mt 11,4-5). Sta qui il principio e il fondamento di ogni intervento terapeutico.


Interrogativi dell’angoscia, imbarazzo della preghiera
Nella Sacra Scrittura, i lebbrosi non sono soltanto personaggi guardati da lontano, di solito con sospetto e solo talvolta con compassione, ma sono personaggi che parlano in prima persona:
personaggi ai quali spesso il testo biblico offre la parola perché ci comunichino il tormento del loro dolore, gli interrogativi della loro angoscia, l’imbarazzo della loro preghiera… E le loro voci così sono diventate parola di Dio.

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Se il lebbroso è un escluso, che ogni giorno trova nemici e oppressori lungo il suo cammino, egli non è affatto allontanato o rifiutato da Dio: «Perché io attendo te, Signore; tu mi risponderai, Signore,
mio Dio» (Sal 38,16). Nonostante la solitudine della sua esistenza emarginata, la lenta e amara ruminazione della sua preghiera pian piano scava nella sua coscienza la dolce certezza che il Signore sta preparando un tempo di misericordia per l’intera comunità del popolo di Dio: «I miei giorni declinano come ombra, e io come erba inaridisco. Ma tu, Signore, rimani in eterno, il tuo ricordo di generazione in generazione. Ti alzerai e avrai compassione di Sion: è tempo di averne pietà, l’ora è venuta!» (Sal 102,12-14).

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Proprio Giobbe viene raffigurato con i tratti del lebbroso:  ...

Salvezza e guarigione
Dal nucleo dell’esperienza religiosa d’Israele emerge la consapevolezza che Dio solo è in grado di guarire; la stessa esperienza della salvezza viene rivissuta nei termini di una «guarigione». È lo stesso Signore che dice: «Io sono il Signore, colui che ti guarisce!» (Es 15,26). Allo stesso modo, la confessione di fede ufficiale d’Israele proclama: «Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso”» (Dt 26,8; affermazioni analoghe a questa compaiono lungo tutto il corso dell’Antico Testamento; esse descrivono il gesto dell’ostetrico che interviene per estrarre dal grembo materno una creatura che nasce: cfr Sal 136,10-12). Si può dunque parlare del Signore come del «medico» e del «liberatore».
A lui anche i lebbrosi, tra gli altri ammalati, gridano: «Guariscimi! » (Sal 6,3; Ger 17,14). Solo Dio infatti può guarire i lebbrosi, come ben sa Eliseo (cfr 2 Re 5,7-8). Ogni ammalato risanato, poi, nei suoi canti di ringraziamento ricorda: «Tu mi hai guarito!» (Sal 30,3; 103,3).

Le figure dei lebbrosi spuntano ed emergono, dalle pagine della Sacra Scrittura, come immagini esemplari del discorso di salvezza che Dio rivolge all’umanità. La guarigione del mondo passa anche attraverso la vita, la malattia e la morte dei lebbrosi.

Sono costoro, quasi morti-viventi, che sperimentano all’estremo la gratuità della vita, la novità dell’incontro e la pienezza della Parola che riconcilia.

Non è il caso di stupirsi, quindi, se quel misterioso personaggio in cui il Deuteroisaia identifica il Servo di Dio, dalla cui sofferenza scaturisce la vita per tutti, viene raffigurato con alcuni fra i tratti tipici del lebbroso: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima…»
(Is 53,3; tutto il quarto canto del Servo merita di essere letto: Is 52,13–53,12).

Leggendo e meditando a lungo questa pagina profetica, Gesù scoprirà che in questo Servo era raffigurata la sua vocazione messianica, e a tale vocazione corrisponderà pienamente. In lui, Gesù nostro Messia, che si è fatto lebbroso per noi, la comunità umana ha ritrovato benedizione e vita: «Egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori; e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per le nostre colpe, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,4-5). Se ci copriamo la faccia, è perché sappiamo di poterci specchiare nel suo volto. È il volto del Dio fatto uomo che si è chinato a guardare la condizione dei lebbrosi che lo avevano pregato, ne ha avuto compassione e li ha purificati (cfr Mt 8,2-4; Mc 1,40-44; Lc 5,12-14; 17,11-19).
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