giovedì 9 aprile 2020

Lavando i piedi ai discepoli, Gesù non compie un gesto di umiltà, ma di un profondo e decisivo insegnamento per la comunità dei credenti.

UN VANGELO POCO SPIRITUALE (Gv 13,1-20)
Lavando i piedi ai discepoli, Gesù non compie un gesto di umiltà,
 ma di un profondo e decisivo insegnamento per la comunità dei credenti.
di Alberto Maggi
tratto da "ROBA DA PRETI"



Alle persone molto pie e devote sembra strano che la liturgia per il giovedì santo, questa solenne celebrazione della “Cena del Signore”, non abbia un altro vangelo da proporre: uno un po’ più spirituale. Infatti, a queste persone, così tanto spirituali, il brano di Giovanni dove Gesù lava i piedi a discepoli non sembra adatto alla solennità del momento. E magari si chiedono come mai non è stato scelto, per esempio, sempre di Giovanni, la Preghiera di Gesù (Gv 17), così sublime o il discorso sul Pane di vita, (Gv 6,22-59), così mistico.
Eppure la lavanda dei piedi è la condizione per comprendere e quindi partecipare alla cena di Gesù.
L’evangelista richiama i credenti alla realtà.
Non sono ammesse fughe nello spiritualismo.
Lavando i piedi ai discepoli, Gesù non compie un gesto di umiltà, ma di un profondo e decisivo insegnamento per la comunità dei credenti.
Il compito di lavare i piedi era riservato agli esseri considerati inferiori nei confronti di quelli superiori: la moglie verso il marito, i figli verso il padre e i discepoli al proprio maestro.
Mettendosi a servizio dei suoi discepoli, Gesù non si abbassa, ma dimostra di non riconoscere le disuguaglianze di rango esistenti tra gli uomini, dove ci sono quelli che servono e quelli che vengono serviti.
Servendo l’altro, l’uomo non perde la propria dignità, ma acquista quella vera, quella divina. L'unica grandezza dell’uomo consiste nell'essere come Gesù dono totale e gratuito di se stesso.
Per questo Gesù, Maestro e Signore, lava i piedi ai suo discepoli. Se lo chiamano Maestro i suoi discepoli devono imparare da lui la disponibilità ad amare incondizionatamente e l'amore se non si traduce in servizio, rimane una parola vuota di contenuto, parola sterile di cui renderne conto (Mt 12,36).
Il servizio reso ai discepoli, non ha diminuito Gesù, era e rimane il Signore, ma lavando i piedi ai suoi e facendosi loro servo, li innalza al suo stesso livello, dando anche a essi la categoria di Signore.
L'azione di Gesù, Uomo-Dio, verso l'umanità non si compie dall'alto verso il basso, come elemosina, beneficenza, ma dal basso, innalzando l'uomo verso il proprio livello.
Solo se si comprende che il servizio verso l'altro non diminuisce l'uomo, ma costituisce la sua vera grandezza, è possibile partecipare pienamente alla cena del Signore, tangibile dimostrazione di un amore che, tradotto in servizio, comunica vita a quanti lo accolgono.

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*Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici «G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere.
Maggi ha pubblicato diversi libri, tra cui: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi, L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita, Di questi tempi e Due in condotta.