giovedì 6 febbraio 2020

Nel cammino il senso della vita di Enzo Bianchi



Nel cammino 
il senso della vita

di Enzo Bianchi




Alberto Giacometti, Homme qui marche (Projet puor Chase Manhattan Plaza), 1959
Ho camminato tanto nella mia vita, e ora che sono vecchio non posso più camminare a lungo, ma in me si è molto accresciuto il desiderio di fare passeggiate.

Camminare significa mettere un piede davanti all’altro e spingersi verso un altrove, lasciando che il proprio corpo si muova e percorra un tragitto segnato da altri che hanno camminato prima di noi, fino a lasciarne le tracce. “Camminando si apre cammino”, aveva ben intuito il grande poeta Machado. Camminare è decisivo per noi umani, ma purtroppo lo scopriamo tardi, così come tardi ci accorgiamo che la vita è un cammino da percorrere giorno dopo giorno, verso una meta che non sempre abbiamo chiara davanti a noi. Non rifletto dunque sul cammino dei pellegrini sulle vie sante, che portano a Compostela, Roma o Gerusalemme.

Oggi il camminare non è più una pratica quotidiana necessaria, perché ricorriamo all’automobile o ai mezzi pubblici. Un tempo, invece, lungo la strada c’era sempre gente che camminava con i suoi bagagli, con i suoi “fagotti” e con pesi da portare, a volte schiaccianti.

Oggi i medici raccomandano di dedicare almeno mezz’ora al giorno al camminare spedito, perché questo è un esercizio benefico per la salute del corpo, ma secondo me lo è soprattutto per la salute della mente e dello spirito. Anche perché, se si cammina veloci, lo si fa da soli, e allora, nella concretezza del mettere un passo dietro l’altro, silenzio e solitudine diventano fecondi, stimolati da tutti i sensi accesi dal camminare.

Non a caso il filosofo greco Diogene ripeteva, di fronte agli interrogativi più difficili: “Solvitur ambulando”, “camminando il problema sarà risolto”. E quando si passeggia in due, allora la conversazione, lo scambio, gli sguardi incrociati, diventano linguaggi carichi di complicità, affettività e tenerezza.

Camminare insieme a un altro è mai inutile, mai tempo perso, ma guai a fare passeggiate, soprattutto in mezzo alla natura, eliminando il silenzio con musiche o voci immesse direttamente nei padiglioni auricolari. Solo nel silenzio, infatti, si può fare l’esperienza che “niente è senza voce”, come scriveva Paolo di Tarso. Sì, quando cammino e non resto distratto o chiuso in me, ogni cosa ha un messaggio da offrirmi, anzi diventa essa stessa una parola.

È così che emergono presenze insospettate, domande essenziali, e avvengono anche dialoghi immaginari con una volpe che ci osserva o con un corvo che ci saltella davanti… Nel camminare, soprattutto in campagna e tra i boschi, c’è un’adesione del corpo alla terra che ci fa sentire più che mai terrestri. Noi abitiamo la terra, non il cielo e neppure il mare, e la sentiamo percorribile a piedi. Camminare su questa terra è immergersi in un flusso di vita in cui siamo co-creature, tutte conviventi – umani, animali, alberi, muschi, fiori, sassi –, e in questo fiume spetta a noi farci loro voce e loro pensiero, in una reale comunione. Mi diceva un monaco dell’Athos: “Ho camminato tanto nella mia vita, e ora che sono vecchio e paralizzato alle gambe posso dirmi: ‘Siediti e cammina!’”.

Pubblicato su: La Repubblica (03/02/2020)